Le rivendicazioni del Mezzogiorno nelle mani di una dirigenza politica debole
Gerardo Lovaglio, cultore di Spinazzola
Un Paese di massonerie, di consorterie e di mafie. Quali futuro per il Sud?
Giovanni Mercadante
Le riflessioni sul Meridionalismo, sul Mezzogiorno lanciate dal direttore del nostro giornale, Dr. Antonio Peragine, di cui ho apprezzato la sensibilità e mi sono reso autore di un articolo sulla TAV pubblicato il 30 luglio 2019 su giornale on line RADICI, www.progetto-radici.it, ha suscitato l’interesse di molto nostri lettori.
Questo significa che l’argomento è sempre attuale; nessuno è dormiente. I meridionali sentono la necessità di un cambiamento di rotta sempre più impellente. Del resto la presa di posizione netta e decisa del Vice premier Matteo Salvini insieme con i governatori del Veneto, della Lombardia e dell’Emilia Romagna, regioni molto ricche, di rendersi più indipendenti utilizzando le loro risorse con maggiore oculatezza, rende la partita molto complicata per il governo in governo in carica retto da 5Stelle e Lega.
Cosa dice il popolo murgiano? Ci sono teste pensanti che possono illuminare la classe politica attuale per avviare una tavolo di trattive con tutte le regioni del Sud coalizzandosi e facendo proprio un progetto di riscatto sociale, senza dipendere da Roma?
Ecco un primo interlocutore: Gerardo Lovaglio di Spinazzola, cultore locale.
Domanda: Qual è la Sua posizione in merito al Mezzogiorno?
Risposta: Dovremmo riflettere sul fatto che finora nella politica italiana l’identità del Mezzogiorno non è mai esistita. Sappiamo che esiste una questione meridionale, cioè che il Sud è un problema, ma non sappiamo cosa sia il Sud; quale sia la sua connotazione politica, il suo corpo.
D: Lei ritiene che il Mezzogiorno debba richiedere una carta di riconoscimento per il suo status?
R: Penso, che il Mezzogiorno debba pretendere innanzitutto il riconoscimento della sua esistenza e perché ciò avvenga occorre una incarnazione istituzionale del Mezzogiorno. Qualcuno tempo fa propose di costruire una macroregione che comprendesse tutte le regioni del Sud, dalla Campania alla Sicilia e alle due isole maggiori.
Forse potrebbe essere proprio questa la rivendicazione del Mezzogiorno: una riforma costituzionale che dia identità al Mezzogiorno, che gli dia rappresentatività e strumenti politici che gli permettano di contare al tavolo italiano e a quello europeo, con la forza della sua millenaria storia, degli oltre 20 milioni di abitanti residenti e degli almeno altrettanti emigrati. Una riforma Costituzionale che riconosca nei fatti la sua esistenza e la realizzi.
Credo che questo sia un modo per risolvere due problemi: quello del peso politico del Mezzogiorno in Europa e quello della drammatica debolezza della sua classe dirigente.
D: Lei crede nella classe politica dirigente meridionale?
R: Non credo che quel che resta della classe dirigente meridionale sia oggi in grado di rappresentare le regioni del Sud, i suoi interessi, le sue ragioni. Il Sud, deve capire che è creditore verso il nord Italia e verso quasi tutti i paesi europei. Non ce la farà mai se diviso in otto, nove regioni, tutte marginali, tutte subalterne.
Un Paese pietrificato agli ultimi 159 anni, con il cittadino che conta zero. In Italia si accorre sempre in soccorso del vincitore, un paese dove, a guerra perduta, milioni di fascisti divennero democristiani e comunisti nel giro di una notte d’aprile del 1945.
Un Paese senza colpe, che non processa mai sé stesso, che ha persino vinto la seconda Guerra Mondiale, ma che senza l’intervento degli Alleati oggi avrebbe statue del duce in ogni piazza.
Un paese di particolarismi, di familismi, di favori dati e ricevuti, di massonerie, di consorterie, di mafie. Un cerchio formato da chi vive di potere e di coloro che sopravvivono con le briciole.
L’italiano vive in Italia da turista come se fosse all’estero, come se la strada in cui abita, la città in cui è nato, lo Stato, non gli appartenessero.
Vive con indifferenza, talvolta con la superbia dell’osservatore che non si mette mai in gioco, mentre critica le Istituzioni, seduto in poltrona quando ascolta i talk show delle solite facce a cui delega la sua vita.
Questo Paese ha assorbito tutto: dalle leggi razziali, al fascismo, alla P2, ai patti tra lo Stato e la mafia, alle stragi, alle morti dei suoi eroi, nessuno lo può aiutare; niente lo può cambiare; nulla lo può salvare, se prima non cambia sé stesso.
Sarà velleità sperare di porre fine a questo sistema che con la complicità delle mafie di allora e di ora hanno determinato quasi tutti i nostri mali.
Per rompere questo schema, non basta la buona volontà , occorre una innovazione costituzionale, che congiunga il passato al presente e ci proietti nel futuro.
E’ ora di scuotere le coscienze dei politici meridionali e di tutti gli uomini di buona volontà in favore di questo nostro Sud vilipeso, umiliato dai passati governi.
Tutto quello che è stato realizzato è stato fatto con atti di sussistenza, non con scelte programmate per mettere in condizione il Sud di camminare con le proprie gambe.
Vive di assistenza, di beneficenza a cui si accoda anche la beffa delle regioni ricche del Nord che si sentono defraudate della loro ricchezza.
Il Meridione ha delle eccellenze in tutti i settori produttivi e imprenditoriali. E’ la classe politica che baratta le infrastrutture facendole sembrare un dono con il dovere della riconoscenza. Il Sud è la colonia di smercio dei prodotti del Nord; quindi alimentiamo le loro catene di produzione con un ritorno economico, almeno questo dovrebbe esserci riconosciuto.