Il contrappasso della globalizzazione
di Danilo Breschi
La libera circolazione a livello mondiale non è solo di uomini e donne, beni e capitali, ma anche di virus e malattie infettive varie. Tutto circola, niente è escluso. Se tutto circola, senza alcuna eccezione, viaggia indisturbato anche ciò che blocca la stessa circolazione. L’analogia con il nostro sistema sanguigno è quanto mai esemplare ed eloquente. La circolazione che si svolge nelle nostre vene è un sofisticato sistema idraulico che distribuisce sangue, e quindi ossigeno, a tutto l’organismo, attraverso una fitta rete di vasi, lunga ben centomila chilometri. Dal cuore alla pelle, ossia dal centro sino alla periferia del nostro corpo. E dall’estremità fino di nuovo al cuore. Un ciclo continuo e incessante. Oltre all’età, una cattiva circolazione sanguigna dipende da stili di vita sbagliati.
Uscendo dalla metafora sin qui addotta, dobbiamo dire che nell’ultimo trentennio di globalizzazione incontrollata abbiamo consentito anche a giocatori che baravano e inquinavano il gioco del libero mercato di circolare liberamente. Per essere ancora più espliciti: l’ingresso della Cina nel WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio) l’11 dicembre del 2001 è stata la svolta, forse ancor più dell’11 settembre di quello stesso anno. Anzi, oggi possiamo dire che questo secondo evento, precedente di tre mesi il primo, ha agevolato un’apertura senza le dovute cautele al virus globalmente anti-globale. A partire dagli Stati Uniti, si è considerata la Cina come un Paese in via di sviluppo e in evoluzione verso la democrazia. Niente di più sbagliato. Abbiamo così fatto circolare sostanze altamente nocive nel sistema sanguigno anzitutto occidentale. Ed ecco che siamo caduti nella dantesca legge del contrappasso, letteralmente consistente nel soffrire il contrario (contra patior): tutto si muove, tutto è bloccato. Dall’illimitatezza dell’ideologia globalista all’ipotesi di una limitazione assoluta, a cominciare dalle libertà di circolazione, riunione e associazione all’interno delle singole società occidentali in nome dell’indubbia emergenza sanitaria; dalla circolazione incontrollata dei capitali e dall’altrettanta illimitata diffusione di merci alla pandemia, altrettanto senza limiti ma che ci impone e imporrà forti restrizioni su tutti i fronti della vita individuale e collettiva.
Sempre più evidente appare dunque la data del 2001 e la necessità di comprendere il fenomeno Cina a cominciare dal dopo Tien an Men. Già dieci anni dopo quell’anno fatidico potevamo registrare il rapido declino dell’economia reale dell’Occidente, avente cause che andavano ben al di là della crisi endogena del 2008. Con l’ingresso nel WTO si ebbe il definitivo decollo dell’industrializzazione della Cina a tappe forzate, la sua straordinaria modernizzazione secondo i ritmi marziali di una dittatura totalitaria con mire espansionistiche neo-imperiali. A fine 2011, in occasione delle celebrazioni del decennale dell’ingresso nel WTO, dappertutto in Cina si vedeva scritto, proiettato o stampato, lo slogan sia in cinese sia inglese che recitava così “MADE in China – Better Choice, Better Life”. È stata questa la parola d’ordine del successivo decennio. Sino ad oggi, dunque. Il coronavirus irrompe nell’autunno del 2019 e frana rovinosamente sulla grande operazione di soft power di Xi Jinping e del partito comunista cinese.
Nel decennio appena trascorso abbiamo in effetti assistito ad un’ampia e silenziosa azione di accerchiamento dei mercati occidentali, arte in cui i cinesi sono antichi maestri. Lo hanno fatto anche nel settore automobilistico, e tutto questo è avvenuto nella pressoché totale noncuranza dei governanti europei e, fino sostanzialmente a Trump, degli stessi Stati Uniti, ora quanto mai allertati sul fronte asiatico. Già dieci anni fa la Cina poteva vantare di essere il primo paese esportatore e la seconda economia del mondo. Quest’ultimo ventennio, il primo del ventunesimo secolo, ha visto in contemporanea il declino di molte economie europee strangolate dalla concorrenza in virtù di norme secondo cui, per mantenere il progresso di una nazione, bisogna avere una moneta debole. L’esatto opposto di quanto la Cina ha fatto, ben ligia nella difesa della propria valuta nazionale, magari prestando denaro alle casse sempre più magre di molti Stati occidentali, sottoscrivendo i titoli di debito di quelli più virtuosi e/o benefici importatori di merci cinesi.
Se gli occidentali s’ingannavano, più o meno inconsapevolmente, c’hanno pensato per fortuna – si fa per dire – le contraddizioni interne tipiche di ogni totalitarismo che avanza indisturbato e magari alimentato da politiche di appeasement o da manifeste debolezze degli avversari: è cioè incappato nel peccato della dismisura e nell’eccesso da sogno imperialistico. Dalle cronache cinesi è trapelata una notizia da prendersi con le molle, al pari di ogni altra che da là proviene, ma che merita sicuramente di essere riportata ed esaminata un attimo. Secondo quanto riferito in Italia da Tgcom24, ben prima dell’epidemia internazionale legata al coronavirus, denominato poi Covid-19, ci fu un’esercitazione militare proprio a Wuhan. Le autorità chiesero all’esercito di organizzare per il settembre 2019 delle operazioni di soccorso simulando un pericolo batteriologico. L’esercitazione fu programmata in vista dei Giochi delle Forze Armate cinesi che si sarebbero dovuti tenere il mese successivo a Wuhan. Guarda caso, il nemico da battere fu chiamato “coronavirus”, definizione che, ricordiamolo, riguarda una grossa quantità di virus conosciuti per causare diverse malattie. Due mesi dopo proprio a Wuhan fu registrato il “paziente zero”. Altro dato curioso è il contenuto dell’email spedita il 2 gennaio dall’Istituto di virologia di Wuhan al personale dei suoi dipartimenti: «Il comitato sanitario nazionale richiede esplicitamente che tutti i dati sperimentali dei test, i risultati e le conclusioni relative a questo virus non siano pubblicati su mezzi di comunicazione autonomi» – si legge nella lettera, che prosegue specificando – «non devono essere divulgati ai media, compresi quelli ufficiali e le organizzazioni con cui collaborano. Si chiede di rispettare rigorosamente quanto richiesto». Un classico vaso di Pandora, dove il ruolo della mitica fanciulla creata da Efesto su ordine di Zeus è stato interpretato nell’ultimo trentennio dalla Cina comunista e, nello specifico, dal despota Xi Jinping e la sua corte.
Gli storici ricorderanno dunque questo esordio di 2020 per la pandemia da coronavirus che fece, ahinoi, molte vittime in tutto il mondo, compresa l’ideologia globalista, probabilmente assai meno compianta. Cosa subentrerà dipenderà anche da quanto deste di mente e ferme di animo torneranno ad essere le classi dirigenti europee. Sicuramente bisognerà rimettere mano all’attuale disordine mondiale e re-incastrarlo nei cardini da cui è uscito. Un mondo fuori asse, che traballa. D’altronde Napoleone lo aveva detto due secoli fa: lasciate dormire la Cina, perché al suo risveglio il mondo tremerà.