di Simone Cofferati
MONACO -““Wiedereröffnung der Glyptothek am 27. Januar 2021”. Tradotto nella lingua di Dante: “Riapertura della Glyptothek il 27 gennaio 2021”. Il Corona virus non ha sicuramente aiutato a rispettare la data originariamente prevista del 12 ottobre 2020, per riaprire i battenti di uno dei musei più famosi della capitale bavarese e, quindi, ci vorrà ancora un po’ di pazienza per tornare ad ammirare, ora negli ambienti restaurati, i grandi capolavori dell’arte greca e romana di cui può far sfoggio questa realtà espositiva. Tra questi capolavori va annoverato quello che senza dubbio è uno dei simboli della collezione, sia per l’interesse artistico che per la sua peculiare storia: il Fauno Barberini”. A scriverne è Simone Cofferati su “Rinascita flash”, bimestrale dell’omonima associazione, diretto a Monaco di baviera da Sandra Cartacci.
“Si tratta di una scultura greca realizzata attorno al 220 a.C., in piena epoca ellenistica, e nota anche come il Satiro ubriaco, perché raffigura questo essere mitologico dormiente e con una postura – sdraiato su una roccia, le gambe divaricate, la testa rivolta verso il giaciglio e le braccia riverse a fare da cuscino – che suggerisce gli effetti di una robusta bevuta di vino conclusa da poco. Pur trattandosi di una statua greca originale e non di una copia romana, è proprio però dalla città eterna che il Fauno è giunto a Monaco di Baviera.
Portato a Roma come bottino di guerra probabilmente nel II sec. a.C. a seguito della conquista della Grecia da parte delle legioni romane, la statua vi rimase per secoli, attraversando vicende tanto ignote quanto sicuramente burrascose che la fecero finire nel fossato di Castel Sant’ Angelo, dove venne riportata alla luce nel 1624.
Entrata a far parte della collezione del cardinale Francesco Barberini nel 1628, divenne ben presto una delle statue più ammirate di Roma.
Il Fauno fu più volte restaurato nel corso del tempo: nel 1628 e nel 1635 da Arcangelo Gonnelli, che gli diede una posizione sdraiata; nel 1679 un nuovo restauro cambiò la posa della scultura, da sdraiata a seduta sopra una roccia, e integrò gambe e braccio sinistro in stucco (i restauratori furono fortemente influenzati nella scelta dalla postura del fiume Nilo nella fontana dei fiumi del Bernini a Piazza Navona). Più di un secolo dopo, nel 1799, il Fauno venne venduto dai Barberini, in grave crisi finanziaria, allo scultore e restauratore romano Vincenzo Pacetti, che lo restaurò nuovamente sostituendo i pezzi in stucco con integrazioni in marmo.
Pacetti sperava di vendere la scultura a un ricco acquirente straniero, ma nel 1804, a seguito di una causa giudiziaria, i Barberini riuscirono a rientrare in possesso del Fauno. In realtà il compratore straniero era appena dietro l’angolo, perché nel 1814 Ludwig, principe ereditario di Baviera, acquistò la statua per la Glyptothek che stava allestendo proprio in quel periodo come parte integrante del suo progetto di rendere Monaco “l’Atene dell’Isar”.
Non tutti nella Curia romana vedevano però di buon occhio questa operazione, tant’è che il Cardinale Pacca, Prosegretario dello Stato Pontificio, fece porre un divieto all’esportazione dell’opera, anche su sollecitazione di Antonio Canova, perché questo capolavoro restasse a Roma. Solo dopo alcuni anni di pressioni, la diplomazia bavarese ottenne la revoca del bando e la scultura partì da Roma alla fine del 1819. Il 6 gennaio del 1820, il Fauno arrivò a Monaco, dove fu collocato in un emiciclo a lui appositamente destinato nella Glyptothek, dove ancora oggi lo possiamo (tra breve) ammirare”.