Quando Dio ballava il tango

Quando Dio ballava il tango


di Paola Cecchini

Prendo a prestito il titolo del bel romanzo di Laura Pariani (che assume una metafora musicale per rappresentare il movimento della vita, per cui Dio è colui che scrive la musica e gli uomini coloro che la ballano con ‘passi incerti’) per ricordare a tutti gli amanti dell’Argentina e della musica che cento anni fa, l’11 marzo 1921, nasceva a Mar del Plata Astor Piazzolla.
Di origine italiana (il nonno era un pescatore di Trani) apportò una vera e propria rivoluzione al tango che era al tempo una delle poche espressioni dell’identità argentina, in una terra che accolse durante 80 anni oltre 6 milioni e mezzo di migrati (tra cui oltre 3 milioni di italiani).

‘El asesino del tango’ fu dapprima emarginato nella cerchia dei musicisti del tempo e poi quasi costretto a scegliere la via dell’esilio per tutelare la propria incolumità. D’altronde anche Jorge Luis Borges (il celebre scrittore di ‘Finzioni’) preferiva il tango delle origini, quell’arte sbocciata nel barrio sur, tra i tram trainati da cavalli, terreni incolti e pantani, tra compadritos e ragazze di vita, guappi dal coltello facile e improvvise sfide all’ultimo sangue ‘che dava agli argentini la certezza di essere stati valorosi, di avere già adempiuto ai loro obblighi di coraggio e di onore’.

‘Dove nasce il tango?’- mi chiedono talvolta di ritorno dai miei viaggi in Sudamerica.
Nasce attorno al 1880 nello spazio compreso fra le due città che fiancheggiano l’estuario del Rio de la Plata: Buenos Aires (Argentina) e Montevideo (Uruguay), nei poveri quartieri periferici chiamati ‘orillas’ o ‘arrabales’, abitati da emarginati, soldati che avevano combattuto nella guerra del Paraguay (1864-70) ed immigrati europei, giuntivi in gran numero.
Sto parlando dei quartieri di Corrales Viejos, Miserere, Bassa Belgrano e soprattutto La Boca, tanto che ‘uscire da La Boca’, significherà nel corso degli anni, ‘avercela fatta socialmente’.

Qui fiorisce il business del ‘prostibulo’ che diventa il principale luogo di socializzazione per tutti quegli uomini soli. Nei ‘prostíbulos porteños’ detti ‘quilombos’, si rende necessario intrattenere i clienti con della musica presa in prestito dai piccoli ritrovi di svago popolare dove era nata ed era stata rifiutata dalla buona società che ancora coltivava -in totale contro-tendenza rispetto al resto del mondo- danze e quadriglie europee del secolo precedente.
Originate da un miscuglio di culture popolari e di generi musicali – tra cui la payada pampera, la habanera spagnola, il candomblé africano ed il waltzer europeo – le melodie del tango vengono improvvisate all’istante e, almeno all’inizio, non sono mai trascritte. Gli uomini le ballano tra loro, aspettando di intrattenersi con le prostitute.

Nei lupanari del porto dove diventano ‘poesia recitata e cantata’, i testi dei primi tanghi sono incentrati sul sesso. I titoli parlano chiaro: ‘El Queco’ (il bordello o la ‘danza di bordello’), ‘Dame la lata’ (dove si allude al pagamento della prestazione), ‘El choclo’, ‘El serrucho’, ‘La budinera’ (metafore degli organi sessuali), ‘Taquerita’ (prostituta di strada, il cui nome deriva dal rumore dei tacchi sul selciato), ‘El fierrazo’ (l’orgasmo) … tanto per citarne alcuni.
Al pari dei titoli, i testi sono pornografici ma cantati in ’lunfardo’, gergo usato dai carcerati per non essere compreso dalla polizia (che lo comprende perfettamente). Si tratta di oltre 2000 italianismi la cui caratteristica principale è il ‘vesre’, ossia la pronuncia delle parole cambiando l’ordine delle sillabe: tango diventa gotta, viejo è jovie, cabeza è zabeca e così via. Col tempo nascono testi intrisi di struggente malinconia e nostalgia (‘dolore dolce’, lo chiamano gli argentini) per la terra lontana, la famiglia persa, gli amori generalmente infelici, per colpa di donne inaffidabili (tutti testi scritti da uomini!)

Pian piano il tango entra nei café, nelle accademie (dove inizialmente si incontrava e ballava la collettività nera), poi nelle ‘fiestas de Carnaval’ ed infine nei teatri di Buenos Aires dove fioriscono le commedie popolari con numeri di canto e ballo.
La rivoluzione porta il nome di Astor Piazzolla, in assoluto il più talentoso tra tutti gli autori, ricercatore instancabile delle possibilità di questa musica dove vi profonde jazz, musica classica e polifonia. E’ una musica che si può suonare con quasi tutti gli strumento: il pianoforte, l’organo Hammond, il flauto, la marimba, il basso elettrico, la batteria, le percussioni e la chitarra elettrica.
Spende tutta la vita ad ‘innalzare’ il tango al livello della musica classica. E ci riesce, almeno in Europa.

‘In Argentina la discriminazione esiste ancora perché le associazioni musicali sono gestite dalla classe più agiata della popolazione che ancora conserva un giudizio discriminante su questo genere musicale, probabilmente per le sue origini. Pensi che nei conservatori statali, il bandoneón ancora non si insegna!’ – mi disse qualche anno fa il pianista bonaerense Hugo Aisemberg, fondatore e direttore artistico del Centro ‘Astor Piazzolla’ di Pesaro (il primo sorto in Italia) di cui era presidente onorario Laura Escalada, moglie del Compositore.

Tra tutti i brani scritti da Piazzolla e cantati anni fa anche da Milva (Morte del ángel, Rio Sena, Chau Paris, Adiós Nonino, Oblivion, Years of solitude, La muerte del ángel, Jeanne y Paul, Fracanapa, Libertango, tanto per citarne alcuni) uno dei miei preferiti é ‘Oblivion’, suonato qualche giorno fa al Festival di Sanremo dalla Banda della Polizia di Stato in vista della ricorrenza.
Riporto in allegato il video Mp4 che riproduce l’interpretazione del brano ad opera dell’autore, unitamente al testo scritto da Angela Denia Tarenzi (la differenza con i testi scritti dagli uomini salta immediatamente agli occhi!).
Buon ascolto!

Redazione@progetto-radici.it

Redazione

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