Essere
di Rossella Cerniglia
Il sole dolcemente la scaldava. La calma dove ora stava immersa, era la conquista di un benessere naturale. Si percepiva come uno dei tanti mondi, disposti in quella sapienza dell’essere, in quell’equidistanza dall’unica fonte che irradiava grazia a piene mani. Avrebbe voluto evitare il più possibile il contatto con gli uomini che la riportavano a realtà altre, ove le cose erano piccole e insignificanti e pareva lacrimassero sudiciume, stanchezza. Il solo pensiero di avere qualcuno intorno le causava insofferenza e stizza, mentre aveva bisogno di una pace perfetta, di una pace duratura. Il suo organismo sentiva pesantemente il bisogno di essere, di provare la deliziosa sensazione dell’esistere, senza l’interferenza nefasta del pensiero.
Stava in un angolo del passetto piastrellato che circondava la casa, lì in campagna, colle spalle calde e l’animo leggero. Leggeva “Gli anni” di Virginia Woolf, e le sembravano cose assai preziose. Il sole a un tratto spariva, portando con sé la gioia dell’aria, il mondo illanguidiva.
All’improvviso le pareva inutile tutto, che i pensieri non avessero senso e tutta quella vita fittizia, alla cui creazione aveva aspirato, quel mondo irreale che aveva dentro e che avrebbe voluto partorire consegnandolo alla luce ( perché questo è il mistero: che ogni granello di esistenza sia un mondo a sé, seppur compreso dentro altri mondi, a giustificazione di altri mondi), le parve tutto inutile assai. Per che cosa? Si chiese. Il sole riappariva. Ed ella avrebbe voluto –ma forse lo era già- essere una qualunque di quelle cose eterne e astratte che l’essere aveva predisposto…il monte, forse, l’alta roccia ferruginosa che si ergeva su di lei in grande maestà. Una grandezza e una maestà così enigmatiche! O il filo d’erba mosso da un vento leggero, il corvo che gracchiava lontano, che nulla investigano e nulla chiedono all’essere se non di essere. Ecco, qualcosa nel profondo la chiamava a uno smemorarsi, a un assopirsi sereno.
Attraverso la finestra continuava ad arrivarle il suono di una voce femminile che parlava veloce e sgraziata dalla radio. Poi, all’interno una porta fu richiusa. Quel suono non la feriva più. Era il silenzio. Lesse qualche pagina del libro. Tutto era così bello! La descrizione del paesaggio come era vibrante, come toccava l’anima, come era in linea con quello spegnersi e riaccendersi del cielo, coi suoni vicini e lontani che l’orecchio attento coglieva, desideroso di compenetrazione. Chiuse gli occhi: vedeva arancio sotto le palpebre; e il mondo era una delizia arancio, poi rossa, sempre più rossa. Il mondo era quel rosso e quel calore alle spalle che tutta la fasciava.
Pensò che mai le sarebbe dato in dono di essere una Virginia Woolf, per quanto il suo cuore l’avesse desiderato con strazio; pensò che non c’era nessuno a commuoversi, a impietosirsi dei desideri degli uomini. Il mondo le piovve gelido, illividito: il sole, ancora una volta, era scomparso. A occhi chiusi sentì la carezza dell’aria farsi fredda, rabbrividì con gli altri esseri di questa inconsistenza diafana, malata.
Poi il sole tornò ancora. Gracchiavano uccelli di lontano. Versi singolari le arrivavano ogni tanto cavalcando il silenzio: un abbaiare, un insolito trillo, un gracidio. Tutto remoto, tutto incredibilmente lontano. La sua mente si assopiva. Languidamente si abbandonava a questo desiderio profondo di intimo legame con le cose. Senza sforzo allontanava da sé le categorie indomabili: spazio e tempo erano uno nell’altro, indecifrabili, e tutto trascorreva, e la sapienza dell’essere pareva tutta compendiarsi in abbandono e in trasognato fluire.
Rossella Cerniglia – Da “Il tessuto dell’anima”, 2011