ARGENTINA (2.La politica immigratoria)
Paola Cecchini
Con l’elezione di Bernardino Rivadavia a primo presidente della nazione (8 febbraio 1826) inizia la storia dell’Argentina moderna che ha attirato sul proprio suolo 6,5 milioni di emigrati tra cui oltre 3 milioni di italiani. Non è un caso.
Una delle prime misure adottate dal gruppo dirigente (conosciuto come ‘la generazione dell’80’) fu l’approvazione di norme volte a favorire l’immigrazione straniera, tassativamente vietata dalla Ley de las Indias. Un decreto del 4 settembre 1812 aveva d’altronde già dichiarato che, ‘essendo la colonizzazione il principio dell’industria ed il fondamento del benessere degli stati, era necessario promuoverla con ogni mezzo possibile: furono così offerte concessioni di terre agli stranieri che desideravano lavorarle, garantendo loro gli stessi diritti di cui godevano i nativi, nonché l’aiuto a coloro che, in forma individuale o societaria, intendevano impegnarsi nel settore minerario.
Nel 1824 venne creata la Comisión de inmigración con il compito di ingaggiare artigiani e contadini in Europa: nacquero così agenzie in Gran Bretagna, Germania, Francia e Olanda.
Disciolta nel 1830, la Comisión rinacque nel 1854 con il compito aggiuntivo di registrare gli immigrati nel Paese; operò fino al 1874, allorché venne sostituita dalla Comisaría General de Inmigración a cui subentrò nel 1876 il Departamento General de la Inmigración, diventato poi Dirección Nacional de Población y Migraciones, sempre alle dipendenze del Ministero dell’Interno.
La compilazione di un registro in cui figurassero tutti coloro che sbarcavano ufficialmente, obbediva- oltre ai fini statistici- ad esigenze immediate, come quella di proteggere i passeggeri da imbrogli, furti e truffe, al momento dello sbarco.
Per la particolare configurazione del Río de la Plata (bassi fondali, banchi mobili di sabbia e rive piatte e fangose) e fino a che non venne costruito il nuovo porto, le navi dovevano ancorare lontano dalla costa, mentre passeggeri, bagagli e merci erano trasbordati su carri dalle alte ruote, che entravano in acqua tirati da cavalli.
L’affollarsi di barche e carri, la contrattazione del prezzo del trasbordo, le truffe, lo smarrimento o il trafugamento dei bagagli, producevano infinite liti e discussioni: ad esse cercavano di trovare una soluzione i giudici di pace e la Sociedad Filantrópica de Inmigración che dal 1857 gestiva in alcuni locali sul porto il primo ‘Hotel de Inmigrantes’, offrendo alloggio e vitto gratuitamente per quattro giorni (diventati otto a partire dal 1864) a coloro che si dichiaravano ‘inmigrante’ all’arrivo.
Gli arrivi erano distinti secondo due grandi categorie: ultramar y via fluvial: la prima corrispondeva a tutti i porti non argentini o uruguayani (includeva i porti sudamericani di Punta Arenas, Valparaiso, Santos); la seconda (in cui si specificava anche il cabotaje) comprendeva gli arrivi da Montevideo, Colonia e dai porti sul Paraná.
Forse non tutti sanno che il primo immigrante italiano registrato si chiamava Battista Trovasci; era un agricoltore celibe di quarantanove anni, arrivato il 2 gennaio 1882 con il vapore Correbo III di bandiera italiana, che trasportava dodici emigranti. Era partito da Genova.
Nel frattempo i viaggiatori che avevano visitato il Paese avevano fornito dettagliati resoconti alla Corona britannica in cui si evidenziavano le straordinarie risorse naturali del Paese, sfruttate molto scarsamente anche a causa dell’indolenza dei suoi abitanti.
William McCann, autore de ‘Two Thousand Miles’ Ride through the Argentine Provinces’ (1853) era convinto che legname, pellame, setole, lana, cotone e tabacco potevano essere esportati in grande scala e che i corsi d’acqua avrebbero potuto diventare le principali vie di trasporto del Paese:
‘In un Paese caratterizzato dalla carenza di strade, fatta eccezione per le mulattiere, questi fiumi sono destinati a diventare i grandi canali di commercio, i mezzi attraverso cui diffondere le arti, la scienza, le civiltà…lungo le loro sponde sorgeranno numerose e popolose città, esattamente come è avvenuto nelle rive del Mississippi’.
Queste terre rivestivano grande importanza per i paesi che controllavano il commercio a livello europeo, in particolare per la Gran Bretagna; quest’ultima aveva enorme fabbisogno di materie prime per fronteggiare la sovrapproduzione industriale e, al contempo, era in grado di trasformare l’eccedenza monetaria derivante dall’alta produttività delle sue industrie, in prestiti di denaro che l’Argentina esigeva per attuare il suo ambizioso piano governativo.
Vennero così stipulati numerosi contratti con ditte estere per la costruzione di strade e ferrovie tra l’interno del Paese e la capitale, nonché il potenziamento della rete telegrafica.
Due intellettuali sostennero con le loro idee e i loro libri il potere dell’immigrazione: Domingo Faustino Sarmiento con il suo ‘Facundo’, pubblicato nel 1827 come inserto al giornale ‘El progreso’ di Santiago del Chile e Juan Bautista Alberdi col suo ‘Bases y puntos de partida para la organización política de la República Argentina’, comparso a Valparaiso il primo maggio 1852.
Sarmiento affrontò il problema dell’immigrazione attraverso la dicotomia civilizzazione – barbarie: Il male che affligge l’Argentina è l’estensione, il deserto la circonda, la solitudine e lo spopolamento sono i confini naturali che delimitano le varie province…
Secondo Alberdi, l’immigrazione era il mezzo attraverso cui l’Europa avrebbe portato in Argentina il suo spirito nuovo, le sue tecniche industriali, la sue procedure di civilizzazione. Sarebbe così cresciuta di numero la popolazione americana, necessità che racchiudeva in sé tutte le altre. En America gobernar es poblar …solo così si arriverà ad essere un mondo ricco in poco tempo, non a caso le grandi imprese di produzione sono figlie di grandi numeri di uomini.
Il testo costituzionale argentino del 1853 assorbì in gran parte l’opera di Alberdi. Molti sono gli articoli inerenti gli immigranti, in particolare l’articolo 20 laddove si legge che ‘gli stranieri godono nel territorio della Nazione di tutti i diritti civili del cittadino: possono esercitare l’industria, il commercio ed (ogni) professione; possedere beni immobili, comprarli o trasferirli ad altri, navigare i fiumi e le coste, praticare liberamente il proprio culto, fare testamento e sposarsi, sempre che sia conforme alle leggi in materia. Non sono obbligati ad accettare la cittadinanza, né a pagare imposte forzate e straordinarie. Ottengono la cittadinanza dopo due anni non interrotti di residenza nella Nazione; ma le autorità possono abbreviare questo termine in favore di chi lo richiede, adducendo e provando di aver prestato servizi alla Repubblica…’
Nel 1862, durante il governo di Mitre (1862-1868), fu promulgata una legge che autorizzava il governo a contattare immigrati stranieri, sulla base di donazioni di terre; nel 1863 una nuova norma permetteva agli stranieri di far entrare gratuitamente nel Paese gli strumenti di lavoro.
Sarmiento aspirava a qualcosa di più che ad un semplice flusso di emigranti; come Alberdi, riteneva che l’immigrazione non doveva essere indifferenziata ma provenire dal Nord Europa, più industrializzato e provvisto di competenze tecniche capaci di portare l’Argentina allo sviluppo.
Aspirava inoltre a conseguire il miglioramento della razza, tramite l’innesto di elementi anglosassoni che avrebbero sradicato l’indolenza e l’improduttività, caratteristica ispanica dei nativi.
Contrariamente alle aspettative, la maggioranza del flusso migratorio provenne dai paesi con modesto sviluppo economico come Italia e Spagna. Gli immigrati erano per lo più contadini con scarsi mezzi finanziari ed un bassissimo livello culturale
Nel 1876 fu approvata la legge n. 817, nota come ‘Avellaneda’ dal nome del Presidente (1874-1880) che l’aveva fortemente sostenuta. La legge riunì in 128 articoli tutta la normativa inerente la promozione dell’immigrazione e della colonizzazione. Restò in vigore per circa un secolo.