Milano tra cultura, storia ed arte
di Adele Quaranta *
Milano visitata dal 29 gennaio al 4 febbraio 2020, è il secondo comune in Italia per popolazione e centro di una delle più popolose aree metropolitane d’Europa. Annovera circa 1.500.000 di abitanti ed è considerata base di riferimento di primissimo piano dal punto di vista economico e politico-culturale. Attorno al V secolo a.C., Galli di stirpi diverse occuparono l’attuale area milanese, fino al 222 a.C. quando vennero sconfitti dai Romani. Nei primi secoli dell’impero, Mediolanum crebbe di importanza e prosperità, ma nel V secolo venne occupata dai Bizantini, Goti e, infine, Longobardi che la dominarono per 200 anni. Attorno all’anno Mille, divenne, tuttavia, la più popolosa d’Italia, batté moneta e rimase militarmente forte, tanto che, nella battaglia di Legnano del 29 maggio 1176, insieme ai comuni della Lega Lombarda, sconfisse Federico I Hohenstaufen (meglio noto come “Barbarossa”, imperatore del Sacro Romano Impero, contrastandolo nel suo tentativo di restaurare l’influenza imperiale nell’Italia settentrionale. La Lega godeva del supporto di papa Alessandro III, anch’egli desideroso di veder declinare il potere imperiale in Italia. La città di Alessandria, fondata in Piemonte dalla Lega Lombarda, prese il nome proprio dal Pontefice e nacque come fortezza antimperiale ai confini del marchesato del Monferrato, alleato del Barbarossa. Dopo la sconfitta di Legnano, l’imperatore accettò un armistizio di sei anni (la cosiddetta “Tregua di Venezia”), fino alla pace di Costanza, in seguito alla quale i comuni medievali dell’Italia settentrionale accettarono di restare fedeli all’Impero in cambio della piena giurisdizione locale sui loro territori. Nel 1277 i Visconti si impadronirono della città (in particolare, Gian Galeazzo cominciò la costruzione del duomo) e la tennero per due secoli, mentre nel Quattrocento iniziò, con la dinastia sforzesca, forse il periodo più fulgido. Alla fine del secolo, Luigi XII, re di Francia, si impadronì del ducato, ma, nel 1535, ai Francesi subentrarono gli Spagnoli che governarono incontrastati, tra carestie, peste e malversazioni fino agli inizi del Settecento. Nel 1706 la città passò sotto il controllo austriaco e con Maria Teresa, nel periodo dell’Illuminismo lombardo, attraversò una fase di benessere e riforme. Nel 1796 Napoleone entrò a Milano, che divenne capitale sia della Repubblica Cisalpina, sia, nel 1805, del Regno Italico. Quindi, fu restaurato nuovamente il dominio austriaco, ma gradualmente si rafforzavano gli ideali rivoluzionari, ai fini dell’indipendenza nazionale, che sfociarono, dapprima, nelle eroiche “Cinque giornate di Milano” (1848), concluse con la cacciata degli occupanti (nel 1859 Milano fu unita al Piemonte) e, in seguito, nel Regno d’Italia. Dopo la prima guerra mondiale, la città diventò un polo industriale di rilevanza europea, mentre, con l’occupazione nazista nel secondo conflitto, centro della Resistenza. Nel dopoguerra, fu notevole la ricostruzione urbanistica, commerciale e morale. Pur essendo una città moderna e dotata di importantissime attività industriali, evidenzia un significativo e diversificato patrimonio turistico-culturale, rappresentato da molteplici opere architettoniche, quali mausolei, tombe, obelischi, colonne, archi trionfali, palazzi, teatri, resti archeologici, etc). Nucleo vitale della metropoli da oltre sette secoli, nonché luogo d’incontro dei Milanesi e turisti, è Piazza del Duomo, vero e proprio centro geometrico-commerciale (progettato da G. Mengoni nella seconda metà dell’Ottocento). La zona, circondata da diversi edifici risalenti a periodi differenti e dominata dall’imponente cattedrale, presenta, nella parte centrale, il monumento equestre dedicato a Vittorio Emanuele II, commissionato allo scultore italiano Ercole Rosa da re Umberto I alla morte del padre Vittorio Emanuele (avvenuta nel 1878), ma collocato nel centro della piazza solo nel 1896, in quanto lo scultore morì prima di averlo terminato.
Di forma rettangolare, la piazza ha una superficie di circa 17.000 mq e presenta edifici disposti in funzione del Duomo, che chiude la prospettiva di sfondo ed è considerato il più importante monumento artistico e religioso della città, nonché il simbolo distintivo per molte generazioni di Milanesi. I lavori iniziati nel 1386, sotto Gian Galeazzo Visconti, si protrassero nella progettazione e costruzione per cinque secoli, fondendo culture eterogenee, ma senza alterare la primitiva struttura gotica, caratterizzata da giochi di linee ascensionali. Al centro ricade l’altare maggiore, sormontato da un tempietto con cupola bronzea ricoperta d’oro e d’argento e, poco più avanti, il grande candelabro Trivulzio, capolavoro d’arte orafa attribuito a maestri di scuola francese del XII o XIII secolo.
I terrazzi della cattedrale – si possono raggiungere a piedi utilizzando una scala, oppure ascensori esterni –, da cui è possibile ammirare il vastissimo panorama della città. Sono caratterizzati da una grande quantità di guglie (135 in tutto), dove, sulla più alta, nel 1774, è stata collocata la famosa Madonnina dorata (realizzata dall’orefice Bini), punto più elevato della città prima dei moderni grattacieli.
Il Museo del Duomo di Milano si estende su 2.000 mq circa di superficie e le sue 26 sale raccolgono le opere d’arte provenienti dalla cattedrale, collocate in un percorso cronologico che permette di scoprire le fasi di costruzione dell’edificio sacro, dalla sua fondazione nel 1386 fino al XX secolo. Dopo un ampio intervento di ristrutturazione e riallestimento, la struttura museale è stata inaugurata nel 1953. All’ampia esposizione di scultura si accostano preziose testimonianze di dipinti, arazzi, vetrate, ricami, bozzetti in terracotta e grandi modelli architettonici.
Dall’interno del Duomo, è possibile accedere all’Area Archeologica, che conserva i resti monumentali dell’articolato complesso di culto sviluppatosi tra il IV e il XIV secolo d.C., un patrimonio di altissimo valore culturale e religioso che ricrea l’aspetto della sezione centrale della città, prima dell’edificazione della cattedrale così come la vediamo oggi. Qui si trovano i resti dell’antica Basilica di Santa Tecla e del Battistero di San Giovanni alle Fonti, il primo della cristianità con vasca ed edificio ottagonale. Sant’Ambrogio, che l’avrebbe iniziato nel 387, probabilmente s’ispirò alla costruzione di otto lati del mausoleo imperiale di Massimiano: i catecumeni “entravano nel sepolcro per farvi morire l’uomo vecchio che era in loro per risorgere a nuova vita nell’acqua purificatrice”. Al suo interno, il battistero presenta otto nicchie (rettangolari e semicircolari), che si affacciano ai lati della grande vasca centrale, cui si accede scendendo tre gradini. Il sito archeologico è stata inserito, nel 2009, in un nuovo percorso didattico aperto alle visite del pubblico.
Il Palazzo Reale, per molti secoli sede del governo della città, con la facciata rientrante rispetto a piazza del Duomo, è un importante centro culturale, sede di mostre ed esposizioni (in particolare, la Sala delle Cariatidi al piano nobile, occupa il luogo dell’antico teatro distrutto da un incendio nel 1776), sopravvissuto, anche se gravemente danneggiato, al pesante bombardamento anglo-americano del 1943, che distrusse buona parte degli interni neoclassici. La struttura ha origini antiche: nacque con il nome di Palazzo del Broletto Vecchio e fu sede del governo cittadino nel periodo dei Comuni nel Basso Medioevo. Divenne centro politico sotto le signorie Torriani, Visconti e Sforza, quando assunse il ruolo di Palazzo Ducale, residenza dell’amministrazione milanese nel Cinquecento, periodo cui risale anche l’edificazione del primo Teatro di Corte, rimasto attivo fino al Settecento allorquando fu edificato il Teatro alla Scala, considerato tra i più prestigiosi al mondo. In epoca napoleonica (fine Settecento), il Palazzo Regio-Ducale, denominato Palazzo Nazionale, divenne sede dei principali organi di governo della nuova repubblica e raggiunse, nel 1805, il massimo splendore in quanto residenza di Eugenio di Beauharnais (figlio adottivo di Napoleone), nominato viceré del neonato Regno d’Italia con capitale Milano. Dopo l’Unità (1861), divenne proprietà della famiglia reale dei Savoia, che, tuttavia, frequentava il palazzo solo in occasioni ufficiali – in quanto dimorava, in pianta stabile, nella Villa Reale di Monza –, tanto da venderlo, nel 1919, allo Stato italiano, con la clausola che i reali potevano usufruire di alcuni appartamenti. A gennaio 2020, l’edificio, in occasione delle celebrazioni per i cinquecento anni dalla morte di Leonardo, ha ospitato la mostra “LEONARDO DA VINCI, 4.0. IL CODICE ATLANTICO IN REALTÀ AUMENTATA”, promossa dal Liceo Artistico Statale “Umberto Boccioni”, in collaborazione con il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano. Un evento espositivo multimediale con animazioni bi-tridimensionali ed alcuni modelli 3D ispirati agli studi di uno dei più grandi geni dell’umanità. Inoltre, ha accolto, le mostre “VAN CLEEF & ARPELS. IL TEMPO, LA NATURA, L’AMORE” (dal 30 novembre 2019 al 23 febbraio 2020) – esposizione internazionale di oggetti preziosi creati sia dalla Maison di Alta Gioielleria e costituiti da oltre 400 gioielli (orologi e oggetti preziosi), realizzati, fin dalla sua fondazione, nel 1906, sia provenienti da prestiti privati – e “GUGGENHEIM. LA COLLEZIONE THANNHAUSER. DA VAN GOGH A PICASSO” (dal 17 Ottobre 2019 all’1 Marzo 2020), composta da circa cinquanta capolavori dei grandi maestri impressionisti, post-impressionisti e delle avanguardie dei primi del Novecento, tra cui Paul Cézanne, Edgar Degas, Édouard Manet, Paul Gauguin, Pierre-Auguste Renoir, Claude Monet eVincent van Goghe, oltre ad un nucleo importante di opere di Pablo Picasso.
Ai lati maggiori di Piazza del Duomo, si contrappongono, simmetrici, i portici Meridionali e Settentrionali, da cui si accede alla Galleria Vittorio Emanuele, costruita tra il 1865 e il 1877. In stile neorinascimentale, è tra i più celebri esempi di architettura del ferro europea, al pari delle principali capitali, dove si costruivano passaggi con copertura in metallo e vetro per scopi commerciali, come le Gallerie Vivienne di Parigi e Burlington Arcade di Londra. La galleria fu al centro anche delle novità tecnologiche dell’epoca e, nel periodo iniziale, venne illuminata a gas. Per l’accensione delle lampade fu usato un marchingegno automatico, costituito da una piccola locomotiva che accendeva progressivamente i lumi e richiamava una moltitudine di curiosi (il rito si ripropose fino al 1883, con l’utilizzazione dell’elettricità). Per la presenza di eleganti negozi e locali, fin dall’inaugurazione, fu sede di ritrovo della borghesia milanese e soprannominata il “salotto di Milano”. La struttura è formata da due bracci incrociati – di cui il principale (lungo 196 m) congiunge le piazze della Scala e del Duomo, mentre il laterale (105 m) le vie Foscolo e Pellico –, sormontati da una cupola dotata di decorazioni parietali con cariatidi, telamoni, stucchi e lunette dipinte, che riproducono l’America rappresentata da una figura femminile immersa tra persone di colore e pellerossa, l’Asia seduta su un trono e omaggiata con doni da indigeni ed individui dai lineamenti asiatici, l’Europa in abiti antichi sorvegliata da un uomo alato che impugna un alloro e l’Africa vestita da antica egizia affiancata da un leone e un moro che le dona un fascio di grano.
L’Accademia di Belle Arti di Brera è un ateneo pubblico, con accesso a numero chiuso e superamento di un test d’ingresso (secondo l’offerta formativa – MIUR – l’Università è nel settore dell’alta formazione artistica e musicale). Fu fondata nel 1776 da Maria Teresa d’Austria con lo scopo di «sottrarre l’insegnamento delle belle arti ad artigiani e artisti privati, per sottoporlo alla pubblica sorveglianza e al pubblico giudizio». Nel 1859, in occasione della visita a Milano di Napoleone III, viene collocata al centro del cortile del palazzo la statua in bronzo del Canova di Napoleone I in veste di Marte pacificatore. Nel 1863 venne distaccato il Museo archeologico, mentre nel 1882 la Pinacoteca di Brera venne resa autonoma dall’Accademia, pur rimanendo collocata negli stessi spazi.
II Castello Sforzesco, uno dei più grandi manieri d’Europa, fu realizzato a partire dal 1450, su una precedente rocca costruita da Gian Galeazzo Visconti nel XIV secolo, per volere di Francesco Sforza, divenuto da poco Duca di Milano. Da dimora principesca, tra il Cinquecento e il Seicento, fu trasformata dagli Spagnoli in una vera e propria fortezza, particolarmente imponente, con muri perimetrali spessi 7 mt. Ha forma di quadrilatero con mura merlate, tre porte d’accesso e grosse torri circolari agli angoli, ciascuna orientata secondo uno dei punti cardinali. All’interno si apre la piazza d’Armi, chiusa in fondo da tre edifici: la Rocchetta, la Torre di Bona di Savoia e la Corte Ducale, caratterizzata da un bel loggiato rinascimentale e fulcro della vita di corte nello stesso periodo. Salito al potere Ludovico il Moro nel 1494, il castello divenne sede di una delle corti più ricche e fastose d’Europa e fu abbellito con il contributo offerto da importanti e prestigiosi artisti, fra cui Leonardo da Vinci ed il Bramante. In seguito, subì molte ristrutturazioni per ampliare gli spazi o potenziare le fortificazioni. All’inizio del Seicento l’opera fu completata con fossati per separarla dalla città. Sul lato sinistro, l’Ospedale spagnolo, edificato nel 1576 per il ricovero dei castellani flagellati dalla peste, è stato restaurato nel corso del 2015, allo scopo di trasferirvi la Pietà Rondanini di Michelangelo, mentre quello destro è adibito ad esposizione di reperti della Milano rinascimentale. Con decreto del 23 giugno 1800 Napoleone ne ordinò la totale demolizione, che fortunatamente riguardò solo parte delle torri laterali e in toto i bastioni. Nel 1815, quando Milano e il Regno Lombardo-Veneto, furono annessi all’Impero d’Austria, il maniero si arricchì di passaggi, prigioni e fossati, ma divenne tristemente famoso, durante la rivolta dei milanesi nel 1848 (le cosiddette “Cinque giornate di Milano”), per aver dato rifugio al maresciallo Radetzky che ordinò di bombardare la città proprio con i suoi cannoni. Dopo l’Unità, la vecchia piazza d’armi venne abbellita con centinaia di piante nel nuovo polmone verde cittadino, il “Parco del Sempione”.
La Basilica di S. Ambrogio, la più importante della città insieme al duomo, sorse probabilmente nel IV secolo, fu rimaneggiata nell’VIII-IX ed assunse l’aspetto romanico attuale nell’XI-XII. Naturalmente, ha subito numerosi restauri fino al 1865, allorquando acquisì la tipica forma a capanna, con archetti sporgenti al di sotto del cornicione superiore, tre portali sormontati da una lunetta musiva, una bifora e due monofore situate al di sopra del portone centrale. All’angolo sinistro, adiacente alla facciata del convento domenicano, è ubicato il pulpito, con i capitelli decorati con elementi pre-romanici (come i motivi a intreccio) e, spesso, con la raffigurazione, all’angolo, di una sola testa, che sormonta poi due corpi lungo i rispettivi lati. L’edificio sacro, che ha mantenuto, nel tempo, la pianta a tre navate absidate, con quadriportico antistante (cioè il cortile porticato su quattro lati), appare oggi come un caso isolato non solo di modello per il romanico lombardo, poiché altri esempi uguali (ad esempio, le cattedrali di Pavia, di Novara e di Vercelli) sono ormai andati distrutti o radicalmente trasformati, ma altresì di espressione di un intenso rinnovamento architettonico, soprattutto nella concezione dell’illuminazione (complessivamente, la luce non risulta diffusa e leggera, come nelle chiese paleocristiane, ma scarsa, spezzata e fortemente contrastata). L’interno venne costruito, inoltre, secondo le più avanzate novità d’Oltralpe, con l’uso di volte a crociera a costoloni, dove ogni elemento confluisce in un’apposita struttura portante, nel rispetto di un’architettura rigorosa e coerente.
La facciata è imponente, con il loggiato a cinque archi sovrapposto al nartece, mentre ai lati s’innalzano due campanili: quello dei Monaci a destra (VIII secolo) e dei Canonici a sinistra (XII secolo). Nell’interno vanno citati il bellissimo sacello di S. Vittore in Ciel d’Oro (del IV secolo rivestito di splendidi mosaici del V), il ciborio cuspidato, una delle opere più interessanti della basilica, sorretto da quattro colonne di porfido provenienti da templi pagani e l’altare maggiore, interamente realizzato in oro, argento, smalti e pietre dure. Il campanile, sul retro della chiesa, ha ospitato il primo orologio pubblico d’Italia, mentre sulla sommità, in luogo della consueta croce, ricade una stella a 8 punte, simile a quella che guidò i Magi a Betlemme. Secondo la tradizione, il carro, con cui Sant’Eustorgio trasportava le reliquie dei Magi da Costantinopoli nella basilica di Santa Tecla, si fermò inspiegabilmente: le ruote diventarono pesanti come macigni e né buoi, né cavalli riuscivano più a muoverle. Così egli fece edificare un nuovo edificio di culto, al di fuori delle mura cittadine, per deporre il prezioso carico, ma, nel 1162, durante il saccheggio di Milano perpetrato dalle truppe dell’imperatore Federico I di Svevia (detto “Barbarossa”), furono trafugate e portate nella Cattedrale di Colonia, per essere restituite, in parte, solo nel 1904, conservate in una teca della basilica. Il materiale di costruzione è povero (principalmente mattoni di diversi colori, pietra e intonaco bianco), di provenienza locale (materia prima utilizzata anche nella realizzazione degli edifici che costellano la campagna dei dintorni).
II Monastero Maggiore o di S. Maurizio, iniziato ai primi del Cinquecento e rimaneggiato negli anni successivi, è un capolavoro rinascimentale ed ospita importantissime opere d’arte, tra cui tele del Mantegna, di Piero della Francesca, del Pollaiolo e del Botticelli. La chiesa, indicata come la “Cappella Sistina” di Milano o della Lombardia, interamente affrescata dal Luini ed arricchita con opere della scuola leonardesca, fu progettata in due parti: un’aula anteriore, pubblica, dedicata ai fedeli ed un’altra più grande, posteriore, riservata esclusivamente alle monache, le quali, potevano oltrepassare la parete divisoria solo per assistere alle funzioni sacre, dietro una grande grata situata nell’arco al di sopra dell’altare. La costruzione fu prevalentemente finanziata dalla potente famiglia dei Bentivoglio, cui appartenevano Alessandro (governatore di Milano) e la moglie Ippolita Sforza (figlia di Carlo Sforza, mai riconosciuto dal duca Galeazzo Maria Sforza). Quattro delle loro figlie furono destinate a questo convento (Alessandra ne fu per sei volte la badessa). Il monastero, fra i più vasti e ricchi della città, soppresso per decreto della Repubblica Cisalpina nel 1798, fu successivamente adibito a caserma, scuola femminile, ospedale militare nel corso dell’Ottocento, quando fu abbattuto il chiostro maggiore (l’altro fu distrutto, invece, dai bombardamenti durante la II guerra mondiale), Attualmente, il complesso è adibito a sede del Civico Museo Archeologico.
La Chiesa di Santa Maria presso San Satiro, che ingloba il sacello di San Satiro di epoca medievale, presenta un’illusione ottica, realizzata da Donato Bramante, il quale ha fatto fronte allo spazio ridotto della chiesa per creare una prospettiva illusoria, cioè la finta abside che misura 97 cm invece di 9,70 mt previsti nel progetto originale.
Situato nell’omonima piazza, affiancato dal Casino Ricordi (oggi sede del museo), il Teatro alla Scala – il nome deriva dalla Chiesa di Santa Maria alla Scala, demolita alla fine del XVIII secolo per far posto ad un nuovo edificio – risulta uno dei più famosi del mondo, in quanto, da oltre duecento anni, ospita artisti internazionali ed è committente di opere tuttora inserite nei cartelloni delle sale liriche di tutto il pianeta (le prime strutture deputate furono i teatri di corte, spesso distrutti da gravi incendi). Nel periodo della dominazione austriaca e francese, il complesso fu finanziato – oltre che dagli introiti provenienti dal gioco – anche dalle famiglie che ne avevano voluto la costruzione ed esercitavano, per questo motivo, il diritto di proprietà dei palchi, mediante il possesso delle quote. I primi tre ordini rimasero per molti anni riservati all’aristocrazia, il quarto e il quinto all’alta borghesia a partire dagli anni venti dell’Ottocento, mentre la platea e soprattutto il loggione, ad un pubblico misto di militari, giovani nobili, borghesi e artigiani. Numerosi risultano gli artisti che si sono esibiti: da Niccolò Paganini a Gioacchino Rossini, da Saverio Mercadante a Gaetano Donizetti, da Vincenzo Bellini a Giuseppe Verdi, etc. Dopo la sconfitta degli Austriaci nel 1859, l’attività teatrale riprese con “Lucia di Lammermoor” di Donizetti (alla recita del 9 agosto partecipò anche il re Vittorio Emanuele II). A seguito dell’Unità d’Italia, la Municipalità si sostituì al governo austriaco nell’erogazione di sovvenzioni al teatro, mentre, nel 1909, il quinto ordine fu trasformato nell’attuale “prima galleria” per aumentare la platea degli spettatori, non proprietari di palchi. Tra il gennaio 2002 e il dicembre 2004, l’edificio storico ha subito un profondo intervento di restauro e modernizzazione del palcoscenico e la capienza è passata dai 676 posti iniziali ai 2.030.
La Vigna di Leonardo: nel 1498, Ludovico Sforza, duca di Milano, donò a Leonardo da Vinci questo vigneto, che fu impiantato e coltivato nei campi in fondo al giardino della Casa degli Atellani. Vigna che lo scienziato difese e mantenne a ogni costo negli anni a venire. Ancora oggi è possibile ammirare le viti originarie.
Il Memoriale della Shoah sorge nella zona sottostante il piano dei binari della Stazione Centrale di Milano, dove furono “caricati” su carri bestiame, stipati, migliaia di persone. Esso è, dunque, un luogo simbolo della deportazione degli ebrei e dei perseguitati verso i campi di concentramento e di sterminio. Ma anche luogo di memoria e di conoscenza, nonché un centro polifunzionale dove ospitare incontri, dibattiti e mostre per ricordare le atrocità del passato, creare occasioni di dialogo e di confronto fra le culture, educare i giovani a superare le barriere linguistiche, culturali e sociali, perché la barbarie del XX secolo, che vide nella Shoah il segno del massimo degrado dell’umanità, non possa ripetersi.
La visita a Milano si è conclusa con una gita in barca sul Naviglio Grande, che, alimentato dal Ticino, nasce nei pressi di Tornavento (circa 23 chilometri a sud di Sesto Calende) e sfocia nella darsena di Porta Ticinese al capoluogo, un tempo porto per lo scarico di sabbia, ghiaia, mattoni, creta, paglia, calce, carbone, legna, formaggi, pesce, manufatti, tessuti, stoviglie e bestiame – sale, grano, vini, manufatti, tessuti, stoviglie, letami e ceneri risalivano, invece, verso il Lago Maggiore e la Svizzera –, trasportati, controcorrente, con i barconi (le “cobbie”), trainati, mediante corde (le “alzaie”), da cavalli o buoi, lungo le strade che fiancheggiavano i canali milanesi. Gli animali poi, utilizzando la corrente del corso d’acqua artificiale, venivano caricati sulle chiatte per il ritorno. La complessa rete fluviale (“i navigli”, come i Milanesi l’hanno denominata per quattro secoli), era stata voluta e realizzata nel 1603 dal governatore spagnolo Pedro Enríquez de Acevedo conte di Fuentes (1525–1610). Le piccole barche costituivano il mezzo naturale per traghettare o spostarsi, sui brevi percorsi, verso fiere e mercati, oltre a supportare minuti traffici locali. Un servizio regolare, già attivo dal 1645, raccoglieva i passeggeri dei vari paesi situati nel tratto da Tornavento-darsena milanese. Per secoli, cronache, pitture, incisioni e più tardi fotografie hanno raccontato il via vai dei barconi in darsena, ma non vi sono, tuttavia, statistiche precise sui movimenti dei natanti, qualità e quantità delle merci in entrata e in uscita dal porto. Anche gli anni successivi alla fine del secondo conflitto mondiale, di frenetica ricostruzione postbellica, videro i canali evidenziare una notevole vitalità: nel 1953 la darsena di Porta Ticinese è al tredicesimo posto nella classifica dei porti nazionali, per ricevimento merci. Costruita in rovere, la “barca corriera” era lunga 17,5 mt e larga non più di 2,90 mt, priva di sporgenze esterne per non danneggiare le sponde e dotata di un fondo piatto e di 40 posti a sedere su panche fisse trasversali. Era un modo di viaggiare comodo, sicuro e soprattutto economico. I natanti che effettuavano il servizio, da 2 all’inizio del Settecento, divennero 12 alla fine del secolo successivo. Il Naviglio Grande è stata la prima opera del genere storicamente realizzata in Europa e la più importante tra i corsi d’acqua artificiali milanesi, nonché una delle grandi infrastrutture di ingegneria che sin dall’alto Medioevo caratterizzarono, con strade, ponti e irrigazione, il territorio lombardo e favorirono lo sviluppo dei commerci, dei trasporti e dell’agricoltura.
Per questo motivo, da pochi anni, un programma regionale per la valorizzazione dei Navigli lombardi ha consentito il recupero (in parte finanziato dalla stessa Regione Lombardia) sia di numerosi edifici storici lungo il percorso, sia degli approdi e delle sponde dello stesso. Nell’ambito dell’Expo 2015 e del formidabile ruolo di attrattiva turistica e culturale, infine, sono stati recuperati e valorizzati alcuni tratti, fontane, canali e bacini. Sulle rive del Naviglio Grande e di quello Pavese, pedonalizzate, ogni sera si accende la movida: ristoranti (magari su un vecchio barcone ormeggiato e trasformato), bar, pub, osterie e locali notturni attirano, infatti, migliaia di residenti e turisti, negli angoli più pittoreschi intorno alle cappellette illuminate sulle cantonate, studi di artisti, botteghe artigiane, ecc. Dal 1943 il tratto iniziale del naviglio, da Tornavento a Turbigo, non è più attivo (vi scorrono pochi centimetri d’acqua) ed è stato sostituito dal “canale industriale” che alimenta tre centrali idroelettriche.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Milano è considerata la capitale finanziaria ed economica del Paese, diventando luogo di confronto non solo di idee e soluzioni condivise, partecipazione di organizzazioni internazionali, svolgimento di centinaia di eventi artistici e musicali, convegni, spettacoli, laboratori creativi e mostre, che grazie alla moltitudine di percorsi emozionali ricchi di vibrazioni, luci e architetture avveniristiche, attirano visitatori provenienti anche da tutto il mondo. Oltre, naturalmente, al complesso di interventi di riqualificazione ambientale e valorizzazione paesaggistica degli spazi aperti, con il progetto denominato “Vie d’Acqua”, che mira proprio al ripristino della rete di canali infraurbani nella cintura ovest della città, del Naviglio Grande, del Canale Villoresi, degli storici fontanili e più in generale del reticolo idrico. Interventi che prevedono l’ulteriore recupero delle opere idrauliche storiche e la realizzazione di nuovi manufatti atti a migliorare la regolazione delle acque, nonché il potenziamento e il ripristino di antichi percorsi interrotti e circuiti ciclabili lungo i canali, attraverso i parchi a nord e a ovest di Milano per spingersi poi, da una parte, fino al Ticino e al Lago Maggiore e, dall’altra, alla Villa e al Parco Reale di Monza.
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* Adele Quaranta è anche l’autrice del corredo fotografico, realizzato con il cellulare. Già Ricercatrice di Geografia economico-politica presso l’Università del Salento e Presidente dell’Associazione Culturale G.ECO.S. («Geografia Ecosostenibilità Sviluppo»), è impegnata sia nella progettazione e realizzazione di un’ampia gamma di attività scientifico-culturali (incentrate su tematiche geo-economico-sociali), sia nella promozione e salvaguardia, in ambito nazionale e globale, delle specificità e complessità storico-geografiche e architettonico-paesaggistiche, nella convinzione che la “geografia” non è solo scienza dei luoghi, ma degli uomini e che nessun intervento di carattere operativo può essere intrapreso senza una preventiva lettura e analisi dell’organizzazione del territorio e delle vicende dell’habitat (si veda: www.gecos40.it). L’Autrice opera, inoltre, nell’ambito del volontariato coinvolgendo le scolaresche di ogni ordine e grado nella tutela delle “eredità” della società contadina (ormai quasi completamente scomparsa), puntando su numerose attività laboratoriali in grado di rafforzare le identità e tradizioni. Collabora, infine, con riviste e associazioni rivolte alla conoscenza, salvaguardia e valorizzazione del Salento, nonché con emittenti televisive locali (in particolare, Telerama e Terre del Salento, attive nelle province di Lecce, Brindisi e Taranto).