Lou Von Salomè e l’umano come donna
«Osar tutto e non aver bisogno di nulla»
Di Alice Vergnaghi
160 anni fa nasceva a San Pietroburgo una donna che sarebbe diventata un’icona di quella sonnecchiante Europa che si affacciava a un Novecento stravolgente come lei. Non è un caso, ma forse un chiaro segno del destino che nacque nello stesso anno in cui in Russia vennero emancipati i servi della gleba. Nell’ultima pellicola che le hanno dedicato nel 2016, ma trasmessa in Italia solo nel 2019, di Corbula Kablitz-Post è soprattutto musa ispiratrice di grandi uomini come Paul Rée, Friedrich Nietzsche, Rainer Maria Rilke, Sigmund Freud, ma se dovessi descriverla per come l’ho vista io utilizzerei una canzone della mia adolescenza: un singolo della cantante olandese Anouk e che già nel titolo esprime il significato profondo del pezzo, Nobody’s Wife, proprio perché Lou von Salomé lottò tutta la vita per non essere la donna di nessuno.
Nella Russia degli Zar il padre, francese di religione ugonotta, era immigrato e aveva intrapreso la carriera militare che gli consentì di ottenere un titolo ereditario da Nicola I. Con Gustav, questo era il suo nome, Lou, diminuivo di Louise, aveva un rapporto privilegiato: l’uomo comprese subito la perspicacia e la non comune intelligenza della figlia tanto da farle molte concessioni che non erano sempre accolte favorevolmente dalla madre, cattolica di origine tedesca. L’educazione di Lou, ultima figlia dopo cinque maschi, venne affidata a Hendrik Gillot, un pastore olandese dall’eclettica personalità che contribuì alla formazione filosofica, spirituale e sentimentale della giovane. Lui era più vecchio di 25 anni, ma chiese lo scioglimento del suo matrimonio e propose a Lou di sposarlo, fu il primo di molti “no” che lei disse agli uomini.
Nel 1880 si trasferì a Zurigo con la madre per curare una tubercolosi peggiorata a causa del clima russo e qui continuò gli studi di storia dell’arte e di teologia all’università; nel 1882 le due donne si spostarono a Roma dove Lou venne introdotta nel salotto della nobile tedesca Malwida von Meysenburg, profonda sostenitrice della parità dei diritti delle donne, e affascinò tutte/i per la sua intelligenza. Tra chi frequentava il salotto, c’era anche il filosofo Paul Rée che si innamorò perdutamente di Lou e volle condividere quella straordinaria conoscenza con l’amico Friedrich Nietzsche che giunse a Roma il 23 aprile 1882 e quando incontrò la donna in San Pietro pronunciò la famosa frase: «Da quale stella siete caduta perché ci potessimo incontrare qui?». I tre avrebbero voluto realizzare un progetto di studio e di convivenza fondato sull’amicizia e sullo scambio intellettuale e in effetti vissero insieme per circa sei mesi che furono importanti per l’elaborazione di due opere fondamentali della filosofia europea quali Così parlò Zarathustra e La gaia scienza di Nietzsche. Poi però il desiderio di possedere Lou prevalse in entrambi gli uomini e lei rifiutò prima Nietzsche e poi Rée. Nel 1894 la giovane donna si dedicò alla scrittura di un’importante biografia di Nietzsche, a quell’epoca già colpito dalla follia, che ci restituisce un’immagine intima e personale del filosofo di cui lei volle soprattutto sottolineare la piena coincidenza tra vita ed opere indagando con acuta introspezione psicologica l’uomo e la sua natura, proponendoci una sintesi molto soggettiva del suo pensiero ed evidenziando quello che per lei era l’elemento centrale della sua teoria e cioè l’afflato religioso. Non mancano anche parti intense legate alla profonda solitudine di Nietzsche e alla devastante malattia che lo colpì.
Seguì per Lou il legame con Friedrich Carl Andreas, un professore di lingue orientali di Gottingen. L’ottima intesa intellettuale spinse Andreas a chiederle di sposarlo, lei rifiutò, lui tentò il suicidio che invece riuscì a Paul Rée, morto nel 1901. Alla fine, Lou acconsentì alle nozze, ma pretese e ottenne un matrimonio bianco e libertà assoluta dal punto di vista sentimentale. Intrattenne altre due importanti relazioni che le permisero di conoscere la dimensione sessuale e fisica dell’amore con il medico viennese Friedrich Pineles e il famoso poeta Rainer Maria Rilke prima di approdare a quello che forse fu il suo unico e più grande amore: la psicoanalisi. Se Freud, conosciuto nel 1911, ne è il padre, non è azzardato dire che Lou von Salomé ne fu la madre indagando soprattutto il complesso edipico femminile e la dimensione erotica della donna. Ancora più interessante e sorprendente è che lei era giunta a delle conclusioni prepsicoanalitiche prima di conoscere Freud. Veramente fulminante è stata per me la lettura di un breve saggio del 1899 dal titolo L’umano come donna in cui Lou von Salomé affronta i temi della differenza sessuale e dell’autonomia femminile giungendo a dimostrare la superiorità dell’umano femminile. Partendo dall’analisi dei gameti femminile e maschile, l’autrice individua in entrambi le caratteristiche proprie della natura femminile, quali l’autosufficienza e l’autonomia, e di quella maschile, come l’irrequietezza e l’inquietudine di chi deve continuamente muoversi in avanti dividendosi e disperdendosi con slancio e violenza. Utilizzando delle immagini simboliche sempre molto calzanti, Lou von Salomé associa il femminile all’antica aristocrazia nobile ed elegante che non ha bisogno di nulla e vive nel proprio castello; il maschile al nuovo ricco che si sente padrone di un mondo che vuole dominare e da cui vuole avere sempre di più o anche ad un viaggiatore la cui meta si allontana sempre più nonostante i continui sforzi per raggiungerla. Se da un lato l’autrice è contraria a chi sostiene che il maschile e il femminile siano complementari visto che sono portatori di due opposti modi di vivere, riconoscendo comunque che entrambi concorrono a portare al più alto livello di sviluppo la vita; dall’altro si oppone anche a chi ritiene che nell’atto sessuale l’essere maschile sia colui che genera e quello femminile colei che riceve. In realtà per Lou von Salomé sia l’uomo che la donna secernono cellule dalla cui unione nasce un embrione che le contiene entrambe anche se riconosce al femminile un privilegio, un plus, che è quello di essere il luogo di incontro dei due elementi e generatore attivo della vita.
Un’altra parte del saggio è dedicata agli errori più comuni nei confronti della donna che viene considerata o come un’appendice dell’uomo e, quindi, dipendente e passiva o come madre che rinuncia a sé nell’atto generatore. In entrambi i casi si viene a determinare una situazione per la quale si perde la considerazione della donna come essere autonomo in quanto non si vede il fatto che nella donna l’essere e l’agire sono intimamente connessi, si potrebbe dire coincidenti, lei si definisce con quello che è e non con quello che fa. Inoltre, fra i due esseri, quello femminile è il più fisico perché è in contatto diretto con la sua natura, questo lo porta a vivere la propria vita sessuale in modo differente rispetto al maschile in cui la sessualità può manifestarsi anche attraverso una pulsione momentanea e isolata. Per Lou von Salomé, la sessualità della donna si presenta in ogni sua manifestazione di femminilità e andrebbe considerata psicologicamente con criteri valutativi diversi rispetto a quelli utilizzati per l’uomo dove può manifestarsi senza alcun tipo di coinvolgimento sentimentale come soddisfacimento rozzo e momentaneo di una pulsione. L’erotismo femminile esige un’interazione intima intensa tra impulsi dell’anima e sensi e può essere vissuta pienamente anche al di là dell’esperienza sessuale. Questa peculiarità femminile conferisce alla donna una maggiore autonomia e libertà del suo sé nell’esperienza sessuale rispetto all’uomo.
Risulta poi estremamente interessante nel saggio l’ipotesi dell’autrice in merito alla misteriosa interazione tra fisico e psichico nella sessualità femminile che per lei si rivela eccezionalmente al medico che cura una donna malata o disturbata psichicamente, ma che potrebbe mostrarsi anche in condizioni di normalità qualora le donne sviluppassero un’arte di genere in grado di mostrare al mondo come loro lo vedono. Lou von Salomé denuncia la mancanza o la scarsa disponibilità di opere d’arte femminili e i limiti dell’arte maschile nel descrivere il mondo femminile anche se riconosce la vicinanza dell’uomo artista all’anima della donna in quanto è in grado di superare certi tratti maschili ed avvicinarvisi senza però mai raggiungerne l’essenza.
Proprio sulla base di questo diverso sentire, Lou von Salomé giudica «una vera e propria mostruosità» il voler provare a tutti i costi di essere uguali all’uomo, di poter svolgere al meglio qualsiasi professione maschile e soprattutto considera nociva l’ambizione che ne deriva perché resta convinta che non serva alla donna per legittimare la nobiltà del suo essere in quanto ha già in sé la gioia di vivere e la capacità di godere appieno la vita. Per l’autrice l’uomo è un corridore ansante che si muove in linea retta verso una meta posta sempre più in alto rispetto a lui per raggiungere la quale è disposto a tutto, anche a rinunciare ad una parte di sé e, una volta raggiuntala, si sente virilmente grande; invece la donna è colei che si riposa in una fertile regione, non ha una meta da raggiungere, ma ha bisogno di uno spazio tutto per sé, e qui Virginia Woolf insegna, per arricchirsi, ampliarsi e trasformare ciò che incontra e accoglie in nuova vita. Se per l’uomo tutto si risolve nel seguire una linea che va avanti dritta e che eventualmente si ramifica, per una donna non è così in quanto spesso accoglie e attribuisce importanza ad un impulso improvviso e devia nel suo percorso dalla via maestra. Se per l’uomo la logica è predominante e la verità ne è dipendente, per la donna una verità convincente è qualcosa che suscita in lei vita e l’essenza della realtà è per lei spesso a-logica e si lega strettamente alla sfera emotiva. Questo per l’autrice non dovrebbe assolutamente far sentire inferiori le donne, ma permettere loro di affermare sé stesse in tutta la loro peculiarità.
Emanciparsi per Lou von Salomé è qualcosa di essenziale, ma non significa imitare gli uomini in qualsiasi settore per dimostrare le proprie capacità, rinunciando a capirsi e ad esperire la propria specifica forza, al contrario è essenziale sostituire la competizione con la comprensione di sé stesse. L’emancipazione a cui fa riferimento in questo saggio l’autrice è soprattutto di tipo intimo ed individuale, non pubblico e collettivo, infatti viene solo accennata la questione della conquista per le donne di uno spazio pubblico. Mentre è più volte sottolineato che ci sono atteggiamenti femminili che, per von Salomé, invece di avvicinare le donne alla loro piena emancipazione in realtà le allontanano: innanzitutto scimmiottare gli uomini per conquistarsi un ruolo pubblico o ancora intraprendere in modo feroce e febbrile un’attività professionale per poter dare un senso alla propria esistenza. Queste condotte sono paragonate a quelle delle donne che si votano completamente ad un uomo e sono disposte a mutilare tutte le loro capacità personali per lui. In tutti e tre i casi, seppur in forme e modi diversi, le donne spostano il loro centro di gravità all’esterno perdendo di vista il fatto che tutto ciò di cui hanno bisogno è dentro di loro perché, come recita la citazione che è anche il titolo di questo articolo, a noi è concesso osar tutto per espanderci attraverso cerchi concentrici, ma non abbiamo bisogno di nulla perché tutto è dentro di noi.
A conclusione di questo breve, ma molto intenso saggio, Lou von Salomé propone alcune osservazioni su quello che lei definisce l’amore più profondo dell’uomo per una donna e che identifica con la ricerca maschile dell’integrità femminile: non di una donna definita come «ebbra dell’uomo» e neppure «ebbra di emancipazione», ma capace di sviluppare e non rinunciare mai alla propria unicità. L’immagine con cui si chiude il testo analizzato è quella di una donna non prostrata ai piedi di un uomo e neppure in punta di piedi nel tentativo di sovrastarlo, ma inginocchiata in un gesto simbolico che riassume la più profonda natura umana: quella di tendere verso il cielo pur collocandosi sulla terra.
La scoperta della psicoanalisi, l’intenso studio prima e poi la proficua collaborazione con Freud permisero a Lou von Salomé di diventare un’ottima psicoterapeuta, attività che continuò ad esercitare anche dopo l’avvento del nazismo in Germania e fino alla morte avvenuta il 5 febbraio 1937 a Gottingen. Dopo il suo funerale, la Gestapo fece irruzione nella sua casa per portare via scritti, libri, documenti con l’accusa di «propugnatrice della psicoanalisi, scienza giudaica», per questo il suo ricordo andava cancellato. L’impresa si rivelò vana visto che i più stretti collaboratori avevano già messo in salvo la maggior parte del suo veramente vasto corpus di scritti che oggi possiamo leggere, studiare e riscoprire come merita una figura femminile molto discussa, accusata di essere spregiudicata, immorale, narcisista o forse semplicemente assolutamente fedele a sé stessa. Storpiando un po’ il motto dannunziano di Andrea Sperelli del Piacere, habere non haberi (possedere, non essere posseduto), si potrebbe pensare per Lou von Salomé a se habere non haberi intendendo il primo termine nel significato che poi assunse nel derivato italiano abitare, dimorare e quindi renderlo con abitarsi cioè essere consapevoli di sé al punto di non poter essere mai possedute da nessun altro se non da sé stesse.