Voglio fare la mia parte.
Di Sabrina Galasso
Questo non é l´articolo che avrei voluto pubblicare oggi, ma sento di dover mettere in pausa ogni altro pensiero ed esprimere le emozioni che mi scuotono. Probabilmente andró fuori strada, mi allontaneró dallo spazio che mi é stato assegnato, ma non posso tacere.
Lo devo a me stessa e lo devo alle mie figlie e a tutte le ragazze.
In questi giorni i giornali hanno raccontato del video di Beppe Grillo, commenti e notizie sono rimbalzati vorticosamente da una testata all´altra ed hanno riacceso, fortemente, l´attenzione su un modo di pensare che persiste nella nostra societá, che nonostante gli sforzi compiuti da tante donne non é scomparso, anzi é piú vivo che mai.
Ho letto tanto, anche sui social; ho seguito conversazioni in tanti gruppi ed ho lasciato qualche piccolo pensiero in risposta, ma leggere stamane della lettera scritta al sindaco di Genova da una giovane cittadina che ha portato alla luce le molestie che in molte devono subire sugli autobus, é stata la famosa goccia che il mio vaso non é riuscito a contenere.
Oltre al profondo dolore che ogni racconto di violenze subite mi suscita, oggi sono riuscita a dare un nome alle emozioni che mi agitano.
Questa non é solo una denuncia, oggi vorrei chiedere scusa. Oggi non grido spinta dalla collera, ma uso toni sommessi, mesti, silenziosi che esprimono tristezza. Con tutto il mio essere combatto la violenza, con tutto il mio essere rifiuto ogni forma di prevaricazione ma oggi non c´é posto per la collera, oggi trovo spazio solo per sentimenti di amaro sconforto.
Sento di aver tradito le ragazze, sento di non aver fatto abbastanza. Leggere le parole della giovane genovese che si lamenta di un episodio accaduto alla sua amica del cuore e che in breve tempo diviene destinataria del dolore di tante altre, molte minorenni, mi ha fatto pensare “cosa ho fatto io?”.
Leggere dei commenti di molti ragazzi increduli che atti osceni possano verificarsi sui mezzi di trasporto pubblici, che assumono che le ragazze stiano esagerando o mentendo, é stato quel brivido che scorre sulla schiena e che ti gela. Come adulto non riesco a guardare negli occhi chi ha dovuto vivere una esperienza di violenza. Perché la sento nel cuore la domanda: perché é successo?
Nei commenti e nelle prese di posizione che ho letto scorre l´angoscia nell´aver constatato che la nostra societá non si é evoluta, non ha prodotto quel necessario cambiamento che avrebbe portato rispetto per tutti. Leggo la dolorosa veritá che stiamo ancora allo stesso punto, di questo mi scuso. Non siamo riusciti a superare quel fastidioso modo di pensare che ho vissuto quando anch´io ero adolescente, poi quando ero giovane donna e che continuo a vivere oggi da donna matura. Mi rendo conto che la camminata veloce dopo aver parcheggiato per entrare nel palazzo, continua ancora. Mi rendo conto che camminare veloce e a testa bassa quando qualcuno fa “complimenti” pesanti, continua ancora.
Mi rendo conto che un gergo, un modo di parlare e di rivolgersi nei confronti della donna, esiste ancora. Mi rendo conto che quando vedo mia figlia uscire cerco di pensare che tutto andrá bene, continuo a farlo.
E mi accorgo che camminare veloce, allontanarsi il prima possibile, guardare in basso é qualcosa che tutte noi abbiamo imparato a fare e purtroppo continua ancora. Questo significa che tutte noi cerchiamo di evitare il danno, viviamo una parte del nostro essere donna in termini di difesa. Il pensiero dominante della societá in cui viviamo ci obbliga a fuggire, ad evitare e ci sentiamo private dal senso di protezione che invece dovrebbe esserci.
Da uno studio ripreso dal Ministero della Salute italiano si legge che nel mondo la violenza contro le donne interessa 1 donna su 3 e che i dati Istat mostrano che in Italia il 31,5 delle donne ha subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale.
E mi sono ritrovata a dover spiegare alle mie figlie come non ritrovarsi in situazioni di pericolo, di fare attenzione, di essere in allerta, praticamente di vivere trattenendo il respiro. E tutto questo é sbagliato, io ho sbagliato. Avrei dovuto camminare a testa alta e rispondere al tipo che
“ha espresso il suo complimento in un modo un pó pittoresco (ma in fondo mi ha detto che sono bella)”, avrei dovuto esprimere il disgusto nel sentire battute o barzellette che calpestano il valore della donna, avrei dovuto esprimere il mio disgusto verso chi si avvicinava troppo nell´autobus e lo avrei dovuto fare ad alta voce, avrei dovuto essere piú forte e invece non lo sono stata.
E oggi voglio scusarmi, per non aver fatto la mia parte e per aver scaricato tutto ció sulle spalle di chi é venuto dopo di me.
Come coach sono allenata ad analizzare una situazione, a comprendere gli ostacoli che si materializzano tra me e l´obiettivo e a muovermi verso il cambiamento che si definisce anche in azione. Oggi compio questo delicato passo, dalla consapevolezza dell´emozione che mi appartiene in questo momento voglio muovermi verso il futuro e lo voglio fare attraverso il movimento.
Decido di non piegarmi a quel pensiero che mi chiede di accettare perché cosí fan tutti, che mi chiede di non espormi, che mi dice che questa é la societá in cui viviamo. No. Oggi decido di denunciare ogni atto che viene fatto in nome di una superioritá inesistente, di lottare accanto ai giovani affinché possa essere realtá la paritá di genere, di usare la mia esperienza e la mia energia a favore di un mondo in cui il rispetto in ogni sua forma ed espressione sia la condizione essenziale.
Non voglio aspettare perché il cambiamento richiede tempo, voglio fare la mia parte.
Non smuoveró le masse, ma anche un piccolo gesto é importante, mi piace pensare all´effetto domino. Sono una sostenitrice del potere dell´onda: parte da noi, dentro di noi e colpisce l´ambiente in cui ci muoviamo e l´urto puó contagiare.
“Possiamo essere liberi solo se tutti lo sono”- Hegel
Sabrina Galasso corrispondente Progetto Radici Helsinki Finlandia
Redazione@progetto-radici.it