Le identità e i ritratti interiori nelle opere di Stefano Porcini in mostra a New York
Stefano Porcini sarà in mostra a New York dal 3 al 31 maggio prossimo in occasione dell’AD ART SHOW 2021 che si terrà presso l’Oculus del Westfield World Trade Center di Manhattan”. A parlare della mostra e dell’arte di Porcini è Manuela Antonucci, dalle pagine del giornale bilingue on line La Voce di New York.
“Stefano Porcini nasce in provincia di Varese, una cittadina a metà fra la natura delle Alpi e l’energia metropolitana di Milano, in una famiglia piena di passioni per la cultura, costantemente circondato da bellezza: artisti, architetti, designer e umanisti tra i quali passa l’infanzia e l’adolescenza; sperimentando tecniche e forme creative sempre nuove. Studia al liceo scientifico e si laurea in Disegno Industriale al Politecnico di Milano.
Lavora per marchi importantissimi e aziende multinazionali, da Maserati a MV Agusta, da Aperol a Italia Independent. Infine, crea i suoi brand di moda. Da anni è imprenditore e anche consulente, nonché designer e artista, e l’arte lo ha accompagna ovunque; da sempre è parte della sua vita.
Curioso e attento a tutto ciò che vive e a ogni contesto in cui si trova, intuisce che la ricerca è una sua attitudine, la direzione cui tendere, l’unico percorso che può compiere e che, infatti, non ha mai abbandonato, né mai abbandonerà: non ha obiettivi né traguardi narcisisti da raggiungere Porcini; tantomeno ambizioni vanesie.
La sua ricerca si compie ogni giorno e continua da allora fino a oggi, è in quel suo divenire che scopre, prima, e realizza, poi, l’essenza del suo stile e della sua arte.
Energie, attenzione ai dettagli, voglia di capire, comprendere tutto quello che il mondo offre, al fine di sentire, rielaborare, sperimentare e, infine, creare l’opera, come unica possibilità di vivere e che lo stesso autore si concede, nel suo essere totalmente svincolato da qualsiasi condizionamento e limite.
Mi soffermo su uno dei suoi ultimi lavori e vengo immediatamente incuriosita dai ritratti, sculture su lastre bianco latte, lucide, oppure cromate, metalliche e in rame. L’impatto visivo è forte e deciso e richiama la mia curiosità, come pure l’esigenza di approfondire i suoi lavori. Noto che i volumi emergono dal piano verticale – l’opera è posta sulla parete – e i tratti di colore spezzano l’armonia della linea – sono luminosi, acidi, accesi, finanche fluo – per imporsi in contrasto sul bianco fluido e liscio delle dimensioni armoniose, così poeticamente raggiunte nel ritratto dei visi e che, in tal modo, subiscono una interruzione brusca, a tratti violenta, ma che evidenza la natura più autentica dell’opera.
Non solo perché questi ritratti mi suggeriscono istintivamente un contesto artistico molto particolare, quello relativo al progetto Gazing Balls (2013), dello statunitense Jeff Koons, nel quale le statue bianche di stile classico sono valorizzate dal contrasto con la sfera blu, talvolta sospesa, riflettente il mondo, compreso quello dello stesso spettatore, che proprio in quella sfera, si rivede riflesso nell’opera.
Ma Porcini non cerca alcun riflesso, nessun gioco a mescolarsi con la realtà, bensì una nota concreta e reale, una personale indagine per giungere all’entità vera dei soggetti che decide di ritrarre, un indizio inconfutabile che l’autore coglie e poi restituisce in un particolare che inserirà nell’opera.
L’inclinazione studiata della scultura, la sua posizione, talvolta la composizione del corpus ritratto, la volumetria, sono dettagli che l’autore sceglie con precisione al fine di far emergere l’entità e l’identità dei soggetti ritratti. Stesso dicasi per la definizione del colore, come pure per il movimento cui affida il suo personale valore dell’opera e dunque del soggetto.
Ed è così che i suoi colori risaltano, sbattuti sullo sfondo bianco, talvolta come fossero bende poste a coprire – o accendere? – lo sguardo dei suoi ritratti; altre, è il colore bianco a prevalere sugli occhi e sullo sfondo colorato del viso caratterizzato da tonalità fluo.
E così via, i suoi contrasti lasciano interrogare lo spettatore nel mentre lo stesso si sofferma a pensare sul senso di ciò che sta osservando, incantato dalla immobilità delle opere, le quali, in quella staticità risoluta e imperturbabile, sembra restino a guardare ciò che di noi non sappiamo riconoscere, né crediamo ci appartenga.
Da questo “mood” così solenne, si passa a tutt’altra dimensione che, pur richiedendo la medesima attenzione, riesce a trasportare lo sguardo e il proprio status interiore in contesti che, forse, non ci appartengono più e che, anzi, Porcini ci fa desiderare, guardandoli. Mi riferisco ai ritratti posti letteralmente nell’azzurro del cielo, tra le nuvole: i volti di bambini – Nico in the sky, il mio preferito – ci trasportano, nell’attimo di un colpo d’occhio, in una dimensione passata e riescono a farci toccare e respirare l’odore della libertà, la purezza, l’ingenuità e la spensieratezza che l’adulto non possiede più; uno sguardo che è un tutt’uno col mondo, la semplicità, la bellezza, quella indiscutibile di un cielo azzurro mescolato a forme più o meno definite di bianco e di fanciullezza (forse, trasportandoci, per una frazione di secondo, nel surrealismo onirico di Magritte).
La verità è che i lavori di Porcini sono contaminati, non solo perché la sua formazione ha origine in campi di svariata natura e interesse, ma anche perché le sue competenze – dalla grafica, la moda, l’architettura, fino al design – sono in grado di regalare valore e immaginazione alle sue idee.
È costante, infatti, l’attenzione che pone al rigore della linea e alla scelta dei colori, sempre in sovrapposizione e in contrasto fra loro, proti a prevaricarsi l’un l’altro, senza tregua, con incessante vitalità ed energia. Contrasti che io stessa indago e, come Porcini afferma, “rappresentano un invito a guardare il mondo in modo diverso, ad esempio, suggerendo uno sguardo positivo o semplicemente nuovo.
Talvolta dotandoli di un colore solare, come il giallo e l’oro; altre, di tenerezza, con delicate tonalità di un romantico rosa”. Viceversa, uno sguardo lasciato bianco – che personalmente mi fa pensare a una sorta di assenza di colore, dunque di vita – “potrebbe rappresentare un invito a mantenere integro il proprio punto di vista, per custodirlo scevro da condizionamenti, non conformato al resto del mondo e fedele a sé”, continua Porcini.
Uno sguardo, dunque, che può essere tutto, a seconda del gesto artistico che l’autore pone, nella verità e nella bugia, nella presenza e nell’assenza del sé, nel rispetto di una vita autentica o nella incapacità, subdola, di non tradirla.
Apprendo, infine, il processo tramite il quale Porcini realizza i suoi lavori: “Ogni pezzo è fatto a mano, facendo leva, in modi ogni volta diversi, su scansione, modellazione e stampa 3D, termoformatura, stampa grafica, pittura a mano e applicazione manuale delle più varie finiture e materiali”, mi spiega l’autore.
Ma non finisco qui: la mia attenzione viene nuovamente catturata da altre sue opere; quelle composte, come la coppia degli amanti, nella quale due volti si guardano in eterno, in cui l’inclinazione delle teste è il particolare che crea la relazione tra i due soggetti, completamente assorbiti in un dialogo costante, assorto, senza fine e, al contempo, sempre diverso.
Trovo inoltre che siano molto affascinanti e carichi di mistero i lavori in cui il ritratto della stessa persona emerge da più prospettive, l’una adiacente all’altra (tre): più sfaccettature a rappresentare, forse, le varie identità che ci appartengono, ma nelle quali siamo sempre noi.
E sempre noi continuiamo a essere, anche quando la scelta della materia che ricopre l’opera è il rame, in continua mutazione: la sua ossidazione, trasforma l’opera e le fa assumere infinite evoluzioni, in cui il cambiamento del colore della materia varia esattamente come la nostra vita e ci trasforma ogni giorno in qualcuno che è diverso da colui che era ieri.
Infine, le opere cromate sono anche le più inquietanti: il volume crea dei riflessi in grado di deformare la realtà e quindi anche l’immagine di chi si riflette. Una visione che suscita dei quesiti nell’osservatore, oramai proiettato in ciò che vede di sé e che, non trovando perfettamente le sue sembianze, ma altre e nuove perché deformate, si interroga su sé stesso e le sue eventuali ulteriori identità, fino a persuadersi del fatto che, in qualche modo, quelle forme gli appartengano.
Personalmente mi ha molto colpita l’uso costante e ripetuto del volto. Certo non possiamo escludere che nelle sue perenni sperimentazioni, Porcini varcherà altri lidi – visivi e grafici – indagando nuovi movimenti e coinvolgendo altre parti del corpo e, come afferma lo stesso autore, forse realizzando volti classici di personaggi meno comuni – è già pronto il ritratto di Dante – o creando delle sculture diverse, più legate al design e utilizzando altri materiali, ad esempio la resina, che Porcini ama molto.
Infine, scopro con emozione che il glitch, ovvero l’”errore di visualizzazione digitale”, attualmente solo in 2D, può prendere vita e materializzarsi, perché Porcini lo sta realizzando in 3D, proiettandolo su lampade e oggetti di vario genere.
Il suo glitch 3D è la dimostrazione della contaminazione di cui l’autore è formato: nato come elemento digitale, viene trasferito da Porcini nell’opera d’arte concreta, lasciando, dunque, che quest’ultima si manifesti proprio nell’imperfezione, nell’errore; l’incidente, l’imprevisto che si insinua nel percorso della vita di ognuno, definendone al contempo la bellezza, reale, effettiva, più imperfetta che mai, soprattutto, vera.
Stefano Porcini sarà in mostra a New York dal 3 al 31 maggio prossimo in occasione del AD ART SHOW 2021 che si terrà presso l’Oculus del Westfield World Trade Center di Manhattan”
DI MANUELA ANTONUCCI