SudAmerica: il peggio deve ancora venire?
E se il peggio in America Latina dovesse ancora venire? Se in quest’area del pianeta, che ha già pagato un tributo pesantissimo al nuovo coronavirus, e che la scorsa settimana ha fatto registrare il 35% di tutti i decessi da Covid sul pianeta nonostante ospiti solo l’8% della popolazione mondiale, quello che si è visto finora, nonostante le montagne di cadaveri, si rivelasse nient’altro che il preludio a un infermo di proporzioni ancora maggiori?
La nerissima ipotesi non è da scartare a priori secondo più di un osservatore tanto che nella capitale colombiana, la sindaca, Claudia López Hernández, ha avvertito senza mezzi termini i residenti a prepararsi a “vivere le due settimane peggiori della nostra vita”. L’Uruguay, una volta salutato come un paese modello nella sua capacità di arginare la malattia, attualmente presenta uno dei tassi di letalità più elevati al mondo, mentre il conteggio dei decessi giornalieri ha raggiunto negli ultimi giorni livelli record in Argentina, Brasile, Colombia e Perù. Anche il Venezuela, dove l’esecutivo di Nicolas Maduro è stato, non del tutto a sproposito, accusato di aver fornito cifre molto inferiori al vero rispetto alla situazione epidemiologica, negli ultimi bollettini ha riferito di un incremento dei decessi addirittura dell’86% da gennaio.
E tutto questo senza citare ciò che sta avvenendo in Brasile, dove da settimane la malattia sta uccidendo una media di oltre 2.500 persone al giorno. Insomma, mentre la vaccinazione avanza in alcuni dei paesi più ricchi del mondo i cui cittadini iniziano con cautela a intravedere “la luce in fondo al tunnel” (come in Israele, Gran Bretagna e in diverse aree degli Usa), la crisi in America Latina è peggiorata in modo allarmante e potrebbe mettere a repentaglio i progressi compiuti oltre i suoi confini.
RISCHIO MUTAZIONI. “Se l’America Latina non può contenere il virus – o se il mondo non interviene per aiutarlo – potrebbero emergere nuove varianti più pericolose”, ha affermato Jarbas Barbosa, dell’Organizzazione panamericana della sanità. “Questo può costare tutto lo sforzo che il mondo sta facendo” per combattere la pandemia, ha sottolineato lo specialista, esortando i leader a lavorare il più rapidamente possibile per fornire parità di accesso ai vaccini per tutti i paesi. “Lo scenario peggiore è lo sviluppo di una nuova variante contro la quale gli attuali vaccini non proteggono”, ha detto. “Aiutare il Sudamerica non è solo un’esigenza etica e morale, ma anche una necessità sanitaria per avere il controllo dell’epidemia in tutte le parti del mondo”.
RECIDIVE IN AUMENTO. La diffusione del virus nella regione può essere attribuita, almeno in parte, al ceppo P.1, identificato per la prima volta nella città brasiliana di Manaus alla fine dell’anno scorso. Manaus, la più grande città dell’Amazzonia brasiliana, è stata devastata dal virus a metà del 2020. Ma la seconda ondata è stata peggiore della prima. Sebbene i dati siano tutt’altro che conclusivi, i primi studi indicano che la variante P.1 è più trasmissibile del virus iniziale ed è più probabile che uccida anche i pazienti che non presentino comorbilità. Può anche re-infettare coloro che sono già stati aggrediti dal Covid, anche se non è chiaro quanto spesso la recidiva si verifichi. Il ceppo P.1 è ora presente in almeno 37 paesi, ma sembra essersi diffuso ulteriormente in tutto il Sud America, secondo l’epidemiologo William Hanage dell’Università di Harvard. In tutta la regione, sono decine le testimonianze dei medici che parlano di malati sempre più giovani che, rispetto alla prima ondata, si presentano in ospedale in condizioni gravi, spesso disperate. Di questi contagiati, molti hanno già avuto il Covid. In Perù, l’Istituto Nazionale di Sanità ha documentato 782 casi di probabile reinfezione solo nei primi tre mesi del 2021, in aumento rispetto allo scorso anno. Lely Solari, un virologo dell’Istituto, ha inoltre aggiunto che tale dato è probabilmente “molto sottostimato”.
VACCINAZIONI INSUFFICIENTI. Negli ultimi giorni, i dati ufficiali sulle morti giornaliere hanno superato i record precedenti nella maggior parte dei paesi più grandi del Sud America. Tuttavia, come detto, gli scienziati dicono che il peggio deve ancora venire. Il direttore dell’epidemiologia del ministero della Salute colombiano, Julián Fernández, ha dichiarato che le varianti, principalmente quella brasiliana e inglese, diventeranno i ceppi dominanti del virus in Colombia in due o tre mesi. Ma il paese, come l’intero Sudamerica, non è pronto: appena il 9,8% della popolazione ha ricevuto una dose di vaccino contro il 72,8% degli Stati Uniti e il 72,6% della Gran Bretagna (l’Italia è al 33,7%). E in alcuni stati latinoamericani va ancora peggio: in Ecuador il 5,22% della popolazione ha ricevuto una dose, in Perù il 5,04%, in Bolivia il 6,53% e in Venezuela addirittura lo 0,88%. In Brasile invece si è al 20,25% mentre il Cile si conferma come un paese modello della campagna vaccinale con il 77,65% della popolazione a cui è stata somministrata almeno una dose. Di fronte a un tale stato di fatto, una delle paure degli esperti è che l’America Latina sia sulla buona strada per diventare la macro-area del pianeta con il maggior numero di pazienti affetti dal cosiddetto long Covid al mondo, lasciando cicatrici economiche, politiche, sociali e di salute pubblica più profonde che in qualsiasi altra parte del globo. “È questa la storia che si comincia a intravedere”, ha detto Alejandro Gaviria, economista ed ex ministro della Salute della Colombia, attualmente rettore dell’Università delle Ande. “Ho cercato di rimanere ottimista”, ha scritto inoltre in un recente saggio. “Voglio pensare che il peggio sia passato. Ma l’evidenza risulta opposta”. © 9Colonne