La fine dell’embargo: una nuova strada per i rapporti fra Cuba e Stati Uniti?
“Dobbiamo acquistare esperienza da questi disordini e analizzarli a fondo per superarli ed evitare che vengano ripetuti”. Queste le parole del presidente cubano Miguel Díaz-Canel mentre commentava le manifestazioni avvenute nel suo Paese recentemente. Díaz-Canel ha continuato asserendo che i responsabili per la violenza non riflettono “i sentimenti di solidarietà del popolo cubano” e che i problemi economici interni sono causati dall’embargo imposto dagli Stati Uniti.
Era inevitabile che dopo il suo leggero mea culpa il presidente di Cuba ritornasse alla spiegazione tradizionale additando la politica americana come responsabile per la situazione precaria del suo Paese. Non ha tutti i torti anche se la pandemia ha aggravato la situazione come ha fatto d’altronde in tutti gli altri Paesi del mondo. Il peso dell’embargo e il Covid-19 sono divenuti “alleati” costringendo i cubani a ribellarsi contro il loro governo per mettere alla luce le restrizioni in cui si trovano.
L’economia cubana, difatti, ha avuto una riduzione dell’undici percento durante la pandemia.
Sono 62 anni che gli Stati Uniti impongono l’embargo a Cuba e in tempi di crisi economiche globali è logico che il Paese caraibico a 90 miglia dalla Florida ne risenta. Un’altra crisi similmente grave a quella attuale avvenne nel 1994 dopo la caduta dell’Unione Sovietica che fino ad allora sovvenzionava l’economia cubana. Difatti, anche in quel caso vi furono manifestazioni anti-governative per le ristrettezze economiche.
L’embargo però ha avuto e continua ad avere un effetto soffocante all’economia dell’isola. Nei 62 anni di embargo ulteriori leggi sono state messe in atto in America che continuano a strangolare il paese caraibico. Durante l’amministrazione di George Bush padre nel 1992 la legge Torricelli fu approvata rendendo l’embargo ancora più severo poiché i blocchi commerciali americani furono estesi ad altri Paesi. Per esempio, le navi che entrano nei porti cubani devono registrare le fermate e per altri sei mesi successivi gli è vietato l’ingresso ai porti americani.
Facile da capire che il mercato americano è molto più importante di quello cubano e l’inevitabile impatto negativo per l’isola. Questa pressione è stata aggravata da 240 addizionali sanzioni imposte dall’amministrazione di Donald Trump che l’attuale presidente Joe Biden ha finora lasciato in vigore. Il blocco economico rende difficilissimo ai cubani di ottenere cibo e materiali di prima necessità. La pandemia, che all’inizio non era così grave, negli ultimi mesi ha peggiorato la situazione e persino i vaccini creati da Cuba sono quasi impossibili da utilizzare perché scarseggiano le siringhe che devono essere importate.
L’embargo non vuol dire solamente la proibizione alle aziende americane di interagire con Cuba ma blocca anche aziende di altri Paesi agli scambi commerciali. L’importazione di petrolio, le medicine, e anche il cibo sono praticamente impossibili da realizzare anche per le sanzioni che le aziende straniere dovrebbero confrontare in casi di trasgressioni. Le transazioni bancarie per le rimesse di cubani residenti fuori dal loro Paese sono anche molto difficili. Ovviamente il turismo, fonte importante di entrate per Cuba, è quasi scomparso e stenta a riprendersi a causa della pandemia. La politica soffocante americana verso Cuba è anche riconosciuta dalle Nazioni Unite. Nel mese di giugno dell’anno in corso le Nazioni Unite hanno votato quasi all’unanimità una risoluzione per porre fine all’embargo a Cuba. Gli unici voti negativi alla mozione sono venuti dagli Stati Uniti e Israele.
La reazione alle manifestazioni a Cuba da parte di Biden è stata prudente. Il 46esimo presidente ha dichiarato il supporto per il popolo cubano, incoraggiando il governo a non reagire con violenza per silenziare i manifestanti. Belle parole che però aiutano poco. Fino ad adesso però Biden non ha toccato il tema di ridurre o eliminare la sanzioni imposte dal suo predecessore. Va ricordato che in campagna elettorale Biden aveva dissentito da Trump asserendo che la “pressione massima” dell’allora presidente su Cuba “non aveva contribuito nulla per migliorare la democrazia e i diritti umani”.
Le reazioni della destra alle recenti manifestazioni hanno invece sottolineato una linea ancora più dura di quella di Trump. Marco Rubio, senatore della Florida, favorisce persino il rafforzamento delle già rigidissime sanzioni dell’ex presidente sul governo cubano. L’ala sinistra del Partito Democratico però la vede diversamente. Infatti, nel mese di marzo di quest’anno 80 legislatori democratici hanno mandato una lettera a Biden chiedendo di revocare “le crudeli sanzioni” imposte da Trump a Cuba.
Nel suo discorso sullo Stato dell’Unione del 2015 il presidente Barack Obama dichiarò il suo supporto per porre fine all’embargo a Cuba. Il 44esimo presidente disse che il Congresso doveva iniziare le procedure di cambiamento poiché in mezzo secolo di esistenza il blocco economico non aveva condotto ai desideri sperati. Obama continuò annunciando che avrebbe introdotto una politica di rapprochement con Cuba per il bene del popolo cubano e un miglioramento dei rapporti bilaterali.
Di questi giorni l’amministrazione di Biden sta valutando la sua politica sui rapporti con Cuba.
L’eliminazione dell’embargo è ovviamente sul tavolo delle considerazioni. Sarebbe un’ottima mossa che continuerebbe la politica di Obama e condurrebbe a benefici per il popolo cubano martoriato dalla crisi economica causata in grande misura dalla politica americana ma anche dalla politica interna. La fine dell’embargo non significherebbe una benedizione al sistema socialistico di Cuba. Difatti un’apertura economica verrebbe riconosciuta dai cubani e toglierebbe la scusa ai leader dell’isola che i loro problemi vengono dal di fuori e loro non sono responsabili. La fine dell’embargo potrebbe alla fine cogliere l’obiettivo di un cambiamento di regime desiderato dagli americani da parecchi decenni.
Domenico Maceri, professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California