Razza e cittadinanza nel sud-est degli USA: intervista alla scrittrice Jessica Barbato Jackson
Di Umberto Mucci, fondatore e direttore del portale “We the Italians”
“In un periodo in cui dobbiamo ancora dolorosamente constatare quanto la questione razziale sia una ferita aperta nell’evoluzione degli Stati Uniti d’America e una urgentissima situazione da cercare di risolvere, il nostro cuore italiano innamorato dell’America è scosso anche dai pretestuosi e sbagliati tentativi di promuovere ostilità tra le comunità afroamericane e quelle italiane. La storia degli italiani nel sud degli Stati Uniti racconta come se c’è un gruppo etnico non di colore che ha ricevuto umiliazioni, discriminazioni, stereotipi e violenze niente affatto comparabili in termini numerici rispetto agli orrori che sono stati messi in atto contro gli afroamericani, ma non per questo meno gravi, bè quel gruppo etnico è quello italiano. Sono storie interessanti e dolorose, che nessuno ha il diritto di dimenticare o negare o, ancora peggio, manipolare per attuali motivi ideologici. È per questo che ringraziamo molto la Professoressa Jessica Barbata Jackson, autrice di un fondamentale volume per capire questi temi: Dixie’s Italians: Sicilians, Race, and Citizenship in the Jim Crow Gulf South””.
Questa la premessa con cui Umberto Mucci, fondatore e direttore del portale “We the Italians”, ha intervistato l’autrice italo-americana Jessica Barbata Jackson.
Professoressa, prima di tutto ci parli delle sue origini italiane. Da quale regione italiana viene la sua famiglia?
“I miei bisnonni erano italiani, di un piccolo paese, Ginestra degli Schiavoni in provincia di Benevento in Campania. Mio nonno è nato negli Stati Uniti. Il mio bisnonno, Terigio, immigrò intorno al 1910, prima a Ellis Island e poi nella Bay Area vicino a San Francisco. Erano in realtà Barbato, in origine, ma c’è stato un errore a Ellis Island, e sulla carta sono diventati Barbata. L’Italia è l’unico posto dove non ho mai dovuto fare lo spelling del mio cognome da nubile.
Mio padre è cresciuto negli anni ’50, in un ambiente dove c’era una spinta all’americanizzazione: non è cresciuto circondato da grandi tradizioni italiane, e quindi non è stato necessariamente qualcosa che mi è stato trasmesso più direttamente. Però poi io ho studiato a Firenze quando ero all’Università e poi ho insegnato inglese per alcune estati in Italia a bambini delle scuole italiane. Così credo di aver cercato di recuperare l’accesso alle mie origini italiane attraverso i miei viaggi e le mie esperienze di lavoro e poi con la mia ricerca”.
L’intervista integrale disponibile a questo link sia in italiano che in inglese.