Per alcuni italiani la pandemia segna la fine del “sogno australiano”

Per alcuni italiani la pandemia segna la fine del “sogno australiano”

 Di Dario Castaldo e Chiara Pazzano 

Alcuni italiani hanno detto “basta” e hanno lasciato l’Australia, spinti dai lockdown e dalla chiusura dei confini ma anche dall’incertezza sul futuro e dalla mancanza di fiducia nella strategia del governo contro il COVID.

Né dà conto un articolo a firma di Dario Castaldo e Chiara Pazzano pubblicato sul portale di SBS Italian, lo Special Broadcasting Service che diffonde notizie in lingua italiana in tutta l’Australia.


Dallo scoppio della pandemia, mezzo milione di immigrati, molti dei quali lavoratori qualificati, hanno lasciato l’Australia.Lo rivela un rapporto parlamentare pubblicato all’inizio di agosto e confermato dall’Australian Bureau of Statistics, secondo il quale nel solo mese di maggio ci sono state 106.230 partenze dall’Australia, il dato mensile più alto dall’inizio dell’emergenza COVID. A giugno sono state 98,350 le persone che hanno lasciato il Paese.
I confini dell’Australia sono chiusi da marzo 2020 ed almeno fino al 17 dicembre di quest’anno sarà necessario richiedere un’esenzione per uscire dal Paese.
Uno dei documenti richiesti dal governo per concedere l’esenzione al viaggio è una dichiarazione che “non si intende tornare in Australia per almeno almeno tre mesi”.

Forse di più, visto che ci sono ancora moltissimi i residenti permanenti e cittadini australiani bloccati all’estero.


La chiusura dei confini e i lockdown hanno spinto alcuni italiani a ritornare a vivere nel Bel paese o a considerare di spostarsi in altre Nazioni, dove è consentito viaggiare e dove non sono più in vigore misure restrittive in quanto una percentuale significativa della popolazione è vaccinata.

O dove, semplicemente, i governi non hanno mai preso in considerazione la strategia dell’eliminazione del COVID.


Dopo sei lockdown vissuti a Melbourne e data l’impossibilità di vederne la fine del tunnel, Diego Ghirardi e la sua compagna hanno raggiunto il limite.


Nei primi mesi, vedendo quel che succedeva in Italia, ero d’accordo con il modo in cui l’esecutivo Morrison gestiva la situazione, tenendo i confini internazionali chiusi e imponendo misure restrittive“, racconta Ghirardi.


Secondo l’ingegnere meccanico ligure, i lockdown di Melbourne l’anno scorso sono stati duri, “però si vedeva che i numeri scendevano“.


In Australia si sono registrate circa mille morti in un anno e mezzo, mentre ci sono stati dei periodi in cui in Italia o in altre nazioni si sentivano quei numeri quasi giornalmente”.


Dopodiché, secondo Diego, al governo è mancato un piano d’azione nel medio-lungo periodo. Dopo i primi sei mesi di contenimento [del virus] non è subentrata una strategia per uscirne. E non si vede tuttora.


Il quarantottenne genovese, che nel 2010 è diventato cittadino australiano, ha parlato a SBS Italian da Los Angeles, negli Stati Uniti, dove si è trasferito a luglio.


Dalla California confessa che “la spada di Damocle di un altro possibile lockdown, non appena viene registrato qualche caso di COVID-19” non gli manca per niente.

Quando racconta le misure severe in vigore a Melbourne durante i lockdown, le persone del posto restano fortemente sorprese.


Secondo Ghirardi, le autorità australiane sottovalutano il costo psicologico dei lockdown e dei confini chiusi, specialmente per gli australiani che hanno famiglia all’estero.


C’è stato un momento scatenante nel quale assieme alla proposta lavorativa che gli è giunta dagli Stati Uniti Girardi ha detto basta.


Nel giro di un mese è mancato un parente della mia compagna ed è anche mancata mia nonna e non puoi dire “Adesso prendo un aereo e vado”.


Quindi ho pensato: bisognerebbe evitare di ritrovarsi in questa situazione in futuro”.


Quando è arrivata l’offerta di lavoro negli Stati Uniti, Diego e la compagna non ci hanno pensato due volte.


Ottenere l’esenzione per andarsene non è stato facile, racconta l’ingegnere meccanico, che di tornare a Melbourne non pensa affatto, almeno finché le cose in Australia non cambieranno decisamente.


Al Primo Ministro Scott Morrison e alla società australiana direi che il Paese ha perso la sua umanità“.


L’Australia resta la mia seconda casa, ma finché non si tornerà alla situazione del 2019 non ho alcuno stimolo a rientrare”.


Anche per Mario* la pandemia ha segnato la fine del sogno australiano. Manager di un’azienda internazionale, nel 2018 si era trasferito a Melbourne con moglie e due figli, ed aveva immediatamente apprezzato la qualità della vita downunder.


All’inizio abbiamo visto l’Australia come un posto dove ci saremmo potuti fermare per molti anni… l’Australia sarebbe dovuta essere il Paese nel quale far crescere i nostri figli in un contesto sereno, easy-going, a contatto con la natura. Per cui da questo punto di vista c’erano tutti i presupposti per fermarci a lungo”.


Poi, spiega Mario, con l’arrivo del COVID sono cambiate tante cose. La pandemia da un lato ha amplificato il concetto di distanza rispetto a casa, dall’altro ha cambiato un po’ il nostro modo di vedere l’Australia come sistema-paese.


La chiusura dei confini internazionali da marzo dell’anno scorso, e una rilassatezza incredibile nel gestire il piano di vaccinazione hanno cambiato radicalmente il mio modo di vedere l’Australia.Rimane un posto dove secondo me si può vivere bene. Però è anche un Paese che si vende molto meglio di quanto effettivamente sia”, aggiunge Mario.


Tutte ragioni che due mesi fa hanno spinto Mario ad accettare un’offerta lavorativa in Europa e a tornare a vivere nel Vecchio Continente con tutta la famiglia.


Nonostante avessimo lasciato casa nostra molti anni prima e nonostante avessimo vissuto lontano dall’Italia per tanti anni, questo isolamento forzato ci ha fatto per la prima volta sentire lontani da casa. Questa è stata la prima volta in cui la distanza ci è veramente pesata”.


Oltre a residenti permanenti e cittadini, a partire in questi mesi ci sono anche alcuni residenti temporanei che hanno tenuto duro dopo che la maggior parte è partita nel 2020.


Daniele Cazzato ha 25 anni e la ragione principale per cui è tornato in Italia è stato il fatto che le persone della sua età all’inizio del programma di immunizzazione in Australia non potevano ricevere il vaccino Pfizer. Infatti solo dal 30 agosto la Australian Technical Advisory Group on Immunisation (ATAGI) lo ha reso disponibile per le persone d’età compresa tra i 16 ed i 39 anni.


Dalla Puglia, Cazzato ha detto a SBS Italian di essere doppiamente vaccinato e di essere felice di essere tornato in Italia a fine luglio.


Sono felice di essere partito quando l’ho fatto perché il lockdown di Sydney è stato poi esteso anche alle aree regionali, il che mi avrebbe coinvolto in quanto vivevo al Lithgow. Qui invece ho la libertà di spostarmi liberamente””. 

Redazione

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