Jacqueline Morineau: La Mediazione familiare secondo il Modello Umanistico
“Lo spirito della mediazione è l’abitudine all’ascolto, all’accoglienza, a stare nel silenzio senza avere paura, sapendo che solo qui, nel silenzio, possono essere accolte parole di solitudine, dolore, paura, rabbia, sussurrate e urlate, che non hanno ascolto in altri spazi, rifiutati o negate, che attendono solo orecchi e cuore che le accolgono.
Per spirito della mediazione si intende quel “saper essere” e quel “saper fare” nel quotidiano che permette di vivere in modo autentico con sé stessi e insieme all’altro nel rispetto delle reciproche differenze e nella consapevolezza del reciproco dono, con l’umiltà dell’umanità”
(Jacqueline Morineau)
Il Modello Umanistico di Mediazione familiare teorizzato e messo in pratica da Jacqueline Morineau, ricevendone consensi e adesioni a livello planetario, è uno spazio fisico e metafisico che accoglie il disordine, la sofferenza e la separazione. E’ l’accompagnamento al grido per la ferita subita, alla lotta con sé stessi, un “rito” simile all’antica tragedia greca, in cui è possibile trasformare un’energia distruttiva in opportunità di crescita e di cambiamento.
Riconoscere/scoprire/nominare parti inaccettabili di noi e dell’altro (crisis), porta ad una maggiore e più profonda conoscenza, unica via per la scoperta di un nuovo incontro, di una nuova relazione possibile partendo solo dall’accettazione profonda della diversità.
Per J. Morineau la Mediazione, e in particolare quella familiare, “è un cammino di vita, di incontro con sé stesso e con l’altro ad un livello di verità e di spiritualità, che riconosce e restituisce alla persona la sua dignità nella dimensione dei valori universali più elevati.”
Lo spirito della mediazione, fine ultimo a cui tende il Mediatore familiare, è il dono per la trasformazione del conflitto in vita, è quel soffio che, partendo dall’atteggiamento di ascolto, si esprime attraverso la presenza anche silenziosa del Mediatore. E’ la ricerca di uno spazio di umiltà necessario per condividere la lotta di essere; è la fonte viva alla quale attingere per vivere la guarigione della propria anima e proporla come dono di unione con l’altro.
E lo spirito della Mediazione accoglie e restituisce spazio, respiro, riconoscimento, dignità, pace.
Da uomini ad altri uomini. In questa accezione lo spirito della Mediazione concorre alla trasformazione della società proponendo una nuova visione dell’Uomo ed alla costruzione di una Cultura di Pace. In una delle sue ultime pubblicazioni “Il Mediatore dell’Anima” la Morineau ci conduce per mano alla ricerca della felicità proprio attraverso il percorso della Mediazione familiare.ne riporto di seguito alcuni dei passaggi più significativi ed intriganti: “Non c’è felicità senza pace e non c’è pace senza giustizia.
Aristotele affermava che il fine supremo delle buone azioni che ogni essere umano può compiere nella sua vita ed obiettivo primario della stessa Giustizia, è il raggiungimento della felicità”. Sfortunatamente, tante volte, la Giustizia non riesce a rispondere a questo obiettivo per mancanza dei mezzi necessari ma anche perché ha perso di vista la finalità originale della sua funzione.
Dopo la rivoluzione francese, sul finire del XVIII secolo, la legge positiva è diventata la risposta al bisogno di giustizia, ma, si sa, non sempre la norma giuridica contribuisce a creare “la giustizia”; quando maggiore è il caos tanto più alto è il conflitto; le soluzioni giuridiche possono risultare insufficienti e non soddisfare in maniera adeguata le attese delle persone. Per questo motivo, nel 1983, l’allora Ministro della Giustizia francese, Robert Badinter, propose una forma alternativa alla giustizia repressiva e diede impulso alla Mediazione come alternativa alla lite giudiziaria, come espressione di giustizia dolce finalizzata alla riattivazione del dialogo e del confronto in grado di restituire il conflitto ai confliggenti affinchè gli stessi potessero, con senso di responsabilità, dare delle risposte condivise alle problematiche della separazione Di fronte al conflitto, che può condurre al caos, alla separazione, alla divisione, siamo impotenti. È un’esperienza comune a molti di noi che ci mette di fronte al senso della vita.
Infine la morte diventa la nostra unica certezza. La separazione è la prima prova tragica della vita, perché alla nostra nascita veniamo separati e il risultato immediato è un grido; questa “identità” di separazione ci conduce a cercare, durante tutta la nostra esistenza, la possibilità di ritrovare l’altra parte di noi “perduta”, per ridiventare un tutt’uno. È un lungo cammino che va compiuto, irto di difficoltà.
Ma va affrontato con spirito di condivisione con tutta l’umanità. La Mediazione raccoglie il grido di questa nostra società “autodistruttiva”, perché abbiamo bisogno innanzitutto di incontrare la guerra che è dentro il nostro cuore.
Noi creiamo purtroppo la morte e non la vita. Siamo impotenti di fronte agli ostacoli. La Mediazione familiare va aldilà della risoluzione di un conflitto, perché esso è tante volte un pretesto. Se accettiamo di incontrare la sofferenza (che è pur sempre un’esperienza di separazione) e, attraverso di essa, la nostra realtà umana, possiamo aprirci alla parte profonda, più elevata: la nostra anima.
Il passaggio più interessante ed intrigante che occupa una posizione chiave nel progetto della Morineau è quello finalizzato a spiegare le differenze importanti tra la Mediazione umanistica rispetto agli altri modelli ed a ridefinire la mission dello stesso Mediatore familiare sino a farlo diventare “Mediatore dell’anima”. Per raggiungere questo obbiettivo occorre metabolizzare il pensiero dell’uomo dei greci : corpo, anima e spirito come un vissuto e non come un concetto. Occorre lavorare su ciascuna di queste parti.
Il corpo non dove essere ignorato, l’anima dove essere accolta con tutte le sue emozioni, per aprirsi al livello superiore che tocca un’attesa, un ideale, uno slancio verso ciò che è il bello della vita. Questa è la parte più elevata dell’anima, che si apre al livello spirituale e permette di passare dalle tenebre alla luce.
Tutti abbiamo questa dimensione, indipendentemente dal credo, dalla religione, dalla etnia, tutti abbiamo questa attesa di infinito, un bisogno di ordine, di una certa forma di ordine interiore.
Quando nella quotidianità delle relazioni ci allontaniamo da questa dimensione “più alta” siamo guidati dalle nostre emozioni e questo crea il conflitto, il conflitto ci porta a sua volta alla sofferenza, sia interiore che interpersonale. Nei momenti di maggiore sconforto e di profondo isolamento, il grido e le lacrime sono il solo linguaggio che l’anima sconvolta ha per esternare il proprio bisogno di una sua autenticità.
La crisi, oggi, non è solo economica, sociale e culturale ma soprattutto esistenziale.
Per ascoltare il grido, per disvelare il volto dell’altro oltre la maschera, per essere mediatori dell’anima, è necessario, prima di tutto, ascoltare il grido che è tante volte silenzioso e prendere coscienza della maschera che portiamo.
Il conflitto è un’occasione privilegiata per poterlo fare e permette di incontrare nell’altro se stesso, la “nostra comune umanità”. Possiamo insieme scoprire spazi di silenzio, perché il grido, che viene dai tempi primordiali appartiene a tutta l’umanità, viene da un livello profondo interiore.
Quello che si apprende durante uno stage sulla Mediazione familiare umanistica è soprattutto la concretizzazione di questo cammino attraverso lo sviluppo di diverse tappe di passaggio, dal vissuto del corpo, all’anima ed allo spirito.
Marcario Giacomo
Mediatore familiare – Comitato di Redazione di Radici