Il Papa incontra Orban, serve fraternità contro i rigurgiti di odio
Incontro di 40 minuti durante la visita in Ungheria. Richiamo contro l’antisemitismo e un’allusione ai migranti con i vescovi: la diversità è ricchezza di Eliana Ruggiero
Papa Francesco e il premier ungherese Orban
AGI – Un forte richiamo contro l’antisemitismo “che ancora serpeggia in Europa e altrove” ed è “una miccia che va spenta”, ma anche l’invito, altrettanto forte, a evitare le chiusure nei confronti dei migranti anche se “la diversità fa sempre un po’ paura perché mette a rischio le sicurezze acquisite e provoca la stabilità raggiunta”. Papa Francesco a Budapest, prima veloce tappa (circa 7 ore) del suo 34mo viaggio apostolico, dal “cuore dell’Europa” (come lui stesso ha definito il suo pellegrinaggio) esorta all’apertura, all’incontro con l’altro e invita a promuovere “una educazione alla fraternità” per respingere “i rigurgiti di odio che vogliono distruggerla” e prevaricare Un incontro di 40 minuti
Il Pontefice ha incontrato il premier ungherese Viktor Orban. Un incontro breve, circa 40 minuti, durante il quale erano presenti anche il presidente dell’Ungheria, Janos Ader, e il vice primo ministro Zsolt Semjen; e da parte vaticana il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, e monsignor Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati.
“Clima cordiale”
Il Vaticano subito informa che il colloquio “si è svolto secondo il programma previsto, in un clima cordiale”, e precisa che tra i temi trattati vi sono “il ruolo della Chiesa nel Paese, l’impegno per la salvaguardia dell’ambiente, la difesa e la promozione della famiglia”. Appare quindi paradossale il post su Facebook di Orban che informa di aver chiesto al Santo Padre “di non lasciare che l’Ungheria cristiana perisca”.
E anche il dono offerto a Francesco, secondo quanto riferisce il portavoce del premier ungherese: una copia della lettera che il re Bela IV nel 1250 aveva scritto a Papa Innocenzo IV, in cui chiedeva aiuto dell’Occidente contro i bellicosi tartari che minacciavano l’Ungheria cristiana. Una risposta Bergoglio la dà al premier sovranista nel discorso pronunciato più tardi, in Slovacchia però, quando in un incontro ecumenico alla Nunziatura di Bratislava sottolineando l’importanza che l’Europa ritrovi le radici cristiane.
Il richiamo all’Europa
“Come possiamo auspicare un’Europa che ritrovi le proprie radici cristiane se siamo noi per primi sradicati dalla piena comunione? Come possiamo sognare un’Europa libera da ideologie, se non abbiamo il coraggio di anteporre la libertà di Gesù alle necessità dei singoli gruppi dei credenti?”, si domanda il Papa argentino che spiega: “È difficile esigere un’Europa più fecondata dal Vangelo senza preoccuparsi del fatto che non siamo ancora pienamente uniti tra noi nel continente e senza avere cura gli uni degli altri. Calcoli di convenienza, ragioni storiche e legami politici non possono essere ostacoli irremovibili sul nostro cammino”.
E aggiunge: “specialmente in questo periodo sofferto”, “solo stando dalla parte dei più deboli usciremo davvero tutti insieme dalla pandemia”.
Il tema migranti
A Budapest Papa Francesco non ha mai pronunciato, nei discorsi pubblici, la parola “migranti”. Lo fa però (e le sue parole vengono diffuse più tardi ai giornalisti) in un incontro con i vescovi ungheresi – alcuni di loro vicini alle posizioni di chiusura di Orban -, ricordando che proprio i migranti “hanno trasformato” l’Ungheria “in un ambiente multiculturale”.
La diversità per Francesco è un’opportunità”. “Possiamo avere due atteggiamenti: chiuderci in una rigida difesa della nostra cosiddetta identità oppure aprirci all’incontro con l’altro e coltivare insieme il sogno di una società fraterna”.
E rincara la dose ricordando che proprio a Budapest nel 2017, si è svolto l’incontro con i rappresentanti di altre Conferenze Episcopali dell’Europa centro-orientale: “Avete ribadito che l’appartenenza alla propria identità non deve mai diventare motivo di ostilità e di disprezzo degli altri, bensì un aiuto per dialogare con culture diverse. Dialogare, senza negoziare la propria appartenenza”, avverte.
Ecco quindi che la Chiesa deve costruire “nuovi ponti di dialogo”. Chiudendo il 52esimo Congresso eucaristico internazionale a Budapest, di fronte a oltre 100 mila fedeli, Francesco invita a lasciarsi risanare da Gesù richiardo alle “nostre chiusure” aprendoci “alla condivisione” e guarendoci “dalle nostre rigidità e dal ripiegamento su noi stessi”, liberandoci “dalla schiavitù paralizzante del difendere la nostra immagine”.
Ma dal Pontefice anche un forte avvertimento, lanciato nell’incontro con il Consiglio ecumenico delle Chiese e le Comunità ebraiche, sulla “minaccia dell’antisemitismo, che ancora serpeggia in Europa e altrove.
Una miccia che va spenta
È una miccia – sottolinea – che va spenta. Ma il miglior modo per disinnescarla è lavorare in positivo insieme, è promuovere la fraternità”. “Ogni volta che c’è stata la tentazione di assorbire l’altro non si è costruito, ma si è distrutto; così pure quando si è voluto ghettizzarlo, anziché integrarlo. Quante volte nella storia è accaduto! Dobbiamo vigilare, dobbiamo pregare perché non accada più”, la sua esortazione, perché, dice rivolgendosi ai leader religiosi, “nessuno possa dire che dalle labbra degli uomini di Dio escono parole divisive, ma solo messaggi di apertura e di pace. In un mondo lacerato da troppi conflitti è questa la testimonianza migliore che deve offrire chi ha ricevuto la grazia di conoscere il Dio dell’alleanza e della pace”.
Lunedì Papa Francesco ha in programma una visita al presidente della Repubblica slovacca Zuzana Caputova e l’incontro con autorità, società civile e corpo diplomatico. Poi l’incontro con i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i seminaristi e i catechisti. E nel pomeriggio una visita in forma privata al Centro Betlemme, dove le suore di Madre Teresa assistono i senzatetto.