Il messaggio di Dante per noi: ritroviamo l’umanità
Markus Krienke
Esattamente 700 anni fa morì Dante Alighieri, ma il suo messaggio di dar valore all’umanità in ogni singola persona e storia di vita è più attuale che mai.
L’eternità, perciò, non sta in un Paradiso al di là della concretezza di questo mondo, dove le individualità scompaiono. Se leggiamo la Divina Commedia in questo modo, è chiaro che troviamo le vere storie da analizzare nell’Inferno.
Come sarebbe, però, se con il Paradiso identifichiamo la pienezza di vita che si realizza con il rispetto e l’ascolto dell’altro nella sua presenza corporea e concreta? Non scaturirebbe da ciò una nuova etica della mitezza che riesce a rinunciare alla volontà di dominio, simboleggiata da Ulisse, e che si potrebbe trovare nel principio che «bene è ciò che dà realtà all’altro»?
Con questo sguardo, in realtà formulato dalla filosofa Simone Weil, Filippo La Porta ci presenta nel suo ultimo libro un Dante inaspettato (Come un raggio nell’acqua. Dante e la relazione con l’altro, Editrice Salerno 2021). Un Dante che proprio nell’apprezzare la corporeità e l’individualità di ogni creatura si rivela uomo del Sud, contro il “principio nordico” dell’astrazione e dell’interiorità, cioè del “volgere le spalle” alla realtà.
A Dio però piace la differenza e la molteplicità (l’ha creata lui!), oppure, come dice Dante, «s’aperse in nuovi amor l’etterno amore» (Par., XXIX 18).
Che cosa ciò potrebbe significare per noi? Forse questo: anziché giudicare subito l’altro, dovremmo imparare innanzitutto ad ascoltarlo.
Ciò non vuol dire che dobbiamo “lasciar passare” tutto – e lo sanno tutti gli insegnanti e professori che in questi giorni hanno ripreso servizio! Ma se non “do realtà” all’altra persona, le tolgo proprio la possibilità che possa crescere e fiorire secondo la propria natura e le proprie capacità. In questa negatività, secondo Dante, sta infatti l’atteggiamento di «[c]hi, per esser suo vicin sopprsso,/ spera eccellenza» (Purg., XVII 115-16).
Uno tale sa valere solo nella misura in cui abbassa l’altro. Chi prima di aspettare l’altro, impone i propri schemi su di lui o lei, toglie non solo la realtà a lui o lei, ma anche la possibilità che ci possono arricchire e mostrarci qualcosa di quel Paradiso dove per Dante i personaggi non sono scomparsi ma sono diventati luminosi (che è una cosa ben diversa).
Non è questo proprio quel “principio della creazione”, si chiede La Porta nel suo libro, con cui Dio stesso si relaziona al mondo e secondo il quale agisce la «provedenza che governa il mondo» (Par., XI 38)? Dio non governa come un despota che impone ai sudditi cosa devono fare, ma con l’amore e la mitezza che dà realtà a tutte le creature.
Ciò ovviamente non significa che anything goes, e che la creatura non sarà chiamata alla responsabilità di fronte a lui. Ma ci insegna, a noi tutti, cioè in modo laico, che la nostra umanità la realizziamo fino in fondo solo se diamo realtà gli uni agli altri.
Dal Paradiso di Dante, insomma, proprio da quel libro poco considerato specialmente chi si oppone a una “lettura religiosa” della Divina Commedia, ci arriva un messaggio nuovo, inaspettato, e di grande forza ispiratrice, ma soprattutto universale, cioè appunto laico.
Nel XX secolo, la filosofa Maria Zambrano ha tradotto quel principio nella considerazione bellissima che «ogni volta che si presta veramente attenzione alle cose si distrugge un po’ di male in se stessi».
Per questo, lei è per La Porta una delle «Beatrici novecentesche», insieme a Hannah Arendt ed Edith Stein: loro due perché valorizzano l’empatia e l’amicizia come atteggiamenti etici. Attenzione, empatia e amicizia, infatti, sono alla fine le tre parole con cui si vede concretamente che cosa significa «dare realtà all’altro», e che sono i principi di quella nuova ed eterna umanità che Dante annuncia a noi oggi, uomini e donne del III millennio, in un modo nuovo e fresco.
A quanto pare, anche 700 anni dopo la morte, Dante è ancora un vero maestra di vita…