La Bambina
da “Il tessuto dell’anima” di Rossella Cerniglia
Io non sono niente. Giaccio in una cupola trasparente che ha dentro un mondo simile a quello che sta di fuori, ma che incredibilmente mi opprime. Ho la visione di me sepolta, distesa dentro a questa semisfera che mi angoscia e mi opprime. Una vegetazione si scompone, fruscia, galleggia sopra di me, come fossi una specie di Ofelia che annega nel suo delirante torpore.
La cupola racchiude tutto un mondo. Il mio passato e il mio presente vi sono come annegati. Il mio futuro è l’oppressione e la tristezza e il buio che sono dentro a ogni cosa. Vi cammina dentro una bambina di pochi anni, a cui nessuno bada, cui nessuno fa festa; una bambina che vive solo di sé, in sé chiusa, in un dolore che trema e spaura; la sua strada è sola, le è davanti, e lei non sa se andare o rimanere, non sa cosa troverà andando, ma lì, lì dov’è, non vuol restare. Vuole andar via e non sa dove, e nessuna mano la guida, e tutto è così triste e solo.
Nella semisfera piove. Un pianto inclemente viene giù dal cielo a dire com’è triste l’essere sola. La bambina ha un’anima, un dentro che le fa male, che sommuove il suo pianto e lo mescola alla pioggia di continuo. Ma nessuno sa che ha un’anima, un dolore nel fondo, e per tutti è una cosa, come se di lei non ci fosse altro che l’involucro esterno del suo corpo. La bambina è sola, non sa come dire che c’è, che ha un dentro che piange.
Tutti le preferiscono il fratello, biondissimo e ricciuto, una vera rarità nel Meridione. Un bambino che è un po’ più grande e che perciò capisce di più, gli altri pensano; e lei sta da canto. Non ha riccioli biondi, e il portaritratti su cui stanno le due foto, una davanti e una dietro, mostra sempre l’immagine del fratello biondo e ricciuto, mai la sua.
Una volta l’hanno sgridata perché ha provato a girarlo. Lei non piace, la sua immagine non è bella altrettanto. Ora che la mamma è morta, tutti stanno intorno al fratello, gli insegnano a fare qualche cosa, si divertono con lui, lo divertono. Con lei giocano poco. Lei è piccola, lei non capisce.
Ho riguardato le poche foto dei suoi quattro-cinque anni: è a scuola, ha intorno i compagni dell’asilo; è smarrita, ha uno sguardo così strano, incredulo e goffo, di fronte a questo vuoto che è la sua vita senza abbracci, senza affetti, senza sguardi d’orgoglio per lei.
Non sa a chi rivolgere la sua anima che implora, e il suo sguardo dall’aria intontita ha un dolore cupo che ristagna, un dolore incompreso che la estranea da tutto e la fa straniera nel mondo, lontana dagli occhi e dal cuore degli altri.
Ma oggi l’ho incontrata, finalmente sono stata a tu per tu con lei, come se non ci fosse nessun tempo a separarci. Ho pianto e amato la bambina che non c’era per nessuno. Una così sola non l’avevo mai conosciuta! Quando l’ho vista andava dietro a tutti, sperando, forse, che qualcuno si accorgesse che era sola e le prendesse la mano per guidarla, per condurla da qualche parte, per condurla con sé.
Stamane, con gli occhi pieni di pianto, ho raccolto, finalmente, la sua incredibile solitudine, quella di chi non aveva che se stessa cui raccontare il suo dolore, che non aveva una mano cui aggrapparsi né un sorriso che l’aprisse alla speranza. E io ho preso la sua piccola mano, io ho carezzato i suoi capelli, io ho mescolato il suo pianto col mio, io l’ho nascosta nel mio cuore.
Rossella Cerniglia