L’ordinanza del sindaco di Terni e l’apoteosi del populismo

L’ordinanza del sindaco di Terni e l’apoteosi del populismo

Di Donatello D’Andrea

“Sia fatto divieto a chiunque i porre in essere comportamenti diretti in modo non equivoco ad offrire prestazioni sessuali a pagamento, consistenti nell’assunzione di atteggiamenti di richiamo, di invito, di saluto allusivo ovvero nel mantenere abbigliamento indecoroso o indecente in relazione al luogo ovvero nel mostrare nudità, ingenerando la convinzione di esercitare la prostituzione”. No, questo non è uno dei passaggi di una legge afghana, ma quello di un provvedimento del sindaco di Terni, Leonardo Latini, contro la prostituzione.

La logica sta tutta qui: “per combattere un fenomeno diffuso faccio un’ordinanza che in sostanza non dice nulla e spara nel mucchio”. Si tratta di un modo di pensare diffuso non solo a Terni, o in Umbria in generale, ma in tutta Italia. L’iper-legislazione è uno dei grandi dilemmi che colpisce politica (e burocrazia) nella misura in cui si preferisce legiferare ogni singola fattispecie in maniera generale, invece che intervenire concretamente. In questo caso, però, l’esagerazione è così evidente da mettere in dubbio non solo il provvedimento stesso ma tutto il contesto in cui è stato concepito.

E no. In questo caso non si tratta di strumentalizzare un evento per fini politici, come affermato dagli stessi interessati perché, a prescindere dalle finalità dell’indignazione, la prostituzione e l’abbigliamento non c’entrano proprio nulla. Di solito si puniscono l’adescamento, il favoreggiamento e lo sfruttamento della prostituzione e non chi assume atteggiamenti e si veste in modo tale da sembrare una prostituta. Quest’ultima non è nient’altro che una concezione patriarcale della visione della donna, al cui interno si concentrano elementi riferibili al sessismo e alla misoginia.

La norma parla pure di “comportamenti diretti in modo non equivoco ad offrire prestazioni sessuali a pagamento”, cioè un classico passaggio a vuoto che non vuol dire nulla e lascia un margine d’incertezza inadeguato per giudicare senza incorrere in numerosi errori di valutazione. Tecnicamente, poi, non fa altro che ribadire punti già previsti da norme di rango superiore (tipo il divieto di adescamento o di causare intralcio al traffico) e di conseguenza l’ordinanza è pressoché inutile se non nella misura di fare un po’ di propaganda per accontentare quei cittadini che si lamentano del degrado.

Ed è per questa serie di motivi che il provvedimento amministrativo in discussione, pare soltanto un tentativo di moralizzare l’abbigliamento. E non è il primo, dato che si tratta della seconda ordinanza di questo tipo a Terni ed è possibile rinvenire norme del genere in tutta Italia, come se il degrado sociale di alcune zone, il quale genera episodi che vanno dalla criminalità alla prostituzione, possano essere combattuti o corretti ricorrendo al qualunquismo e non alla prevenzione.

Sinceramente dopo l’affossamento del ddl Zan ci si augurava che la politica, nel suo profondo, potesse provare un po’ di vergogna. Invece, seppur il fondo sia stato toccato da un bel pezzo, la classe dirigente preferisce continuare a scavare. Ordinanze del genere che, secondo Latini, “sono state adottate in tutta Italia da sindaci di destra e di sinistra” (e in che modo la notizia dovrebbe far sentire meglio?) non fanno altro che confermare quanto il bigottismo e l’oscurantismo siano propri di una fetta consistente della società italiana.

Combattere un fenomeno degradante non significa partorire certi obbrobri amministrativi bensì riqualificare i quartieri in cui tale fenomeno si verifica, coinvolgendo le associazioni che si occupano di prostituzione e le forze dell’ordine. Per alcuni politici, però, è molto meglio creare scompiglio adottando provvedimenti “caciara” per far parlare di sé ma senza risolvere alcunché. E’ forse questa l’essenza del populismo?

Donatello D’Andrea

Redazione Radici

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