L’Arco di Giano riapre dopo 28 anni con le parole perdute delle donne

L’Arco di Giano riapre dopo 28 anni con le parole perdute delle donne

Dal 13 novembre la Soprintendenza Speciale di Roma e la Fondazione Alda Fendi – Esperimenti aprono, dopo ventotto anni, l’Arco di Giano: ogni sabato il monumento, tra i principali del Foro Boario, sarà fruibile con ingresso libero, dalle 10 alle 14 e dall’ultima domenica di marzo, con l’ora legale dalle 16 alle 20.


È con gioia che apriamo gratuitamente l’Arco di Giano, un monumento amato dai romani e che colpisce i visitatori di tutto il mondo. Lo facciamo”, spiega Daniela Porro, soprintendente speciale di Roma, “con la Fondazione Alda Fendi Esperimenti, che offre anche la performance NU- SHU, una virtuosa collaborazione dopo quelle con Enpam per il Museo Ninfeo, con il Senato e l’Archivio di Stato di Roma per il Palazzo della Sapienza, con il Fondo Edifici di Culto e il Vicariato, per la Cappella Cornaro. Collaborazioni che sono il segno di una Soprintendenza aperta e costruttiva”.


Per celebrare l’ apertura il 5 novembre, davanti all’Arco di Giano è andato in scena “NU-SHU – Le parole perdute delle donne”, una nuova sfida della Fondazione Alda Fendi – Esperimenti a cura di Raffaele Curi, che amalgama i segni dell’arte con la quotidianità e il presente.

I temi della conquista della parola e dell’autodeterminazione delle donne saranno il fulcro dell’azione scenica di 9 minuti, che si svolgerà alle 21.15 e si ripeterà alle 21.45. La partecipazione all’action è gratuita, nel rispetto della normativa anti-covid.


La mia Fondazione è felice di aprire al pubblico la prestigiosa area dell’Arco di Giano e di favorire la fruizione di un importante monumento”, afferma Alda Fendi, presidente della Fondazione Alda Fendi Esperimenti. “Da 20 anni ho esplorato il mondo dei Fori Imperiali lasciando testimonianze artistiche e spettacolari. Ringrazio il Soprintendente Speciale Daniela Porro per la sua lungimiranza”.


Unico arco onorario a pianta quadrangolare al centro della città, intitolato al dio bifronte proprio per la sua forma, l’Arco di Giano in realtà venne edificato dai figli di Costantino per celebrarlo dopo la sua morte nel IV secolo.

Presenza emblematica nel panorama di Roma, dopo l’attentato del 28 luglio 1993 è stato chiuso prima per restauro e successivamente circondato da una cancellata. In questi anni è stato accessibile solo su visita guidata o per rari eventi.

Torna fruibile con libero accesso una volta a settimana.


Finalmente riapriamo l’Arco di Giano alla cittadinanza e non solo con le visite guidate, con l’auspicio che in futuro si possa fare anche di più”, commenta Mirella Serlorenzi, responsabile del monumento. “In questi ultimi anni il monumento è stato oggetto di un parziale restauro, di studi e di ricerche che hanno rivelato alcuni aspetti prima sconosciuti e che ci permetteranno di completarne il recupero”.


NU-SHU – LE PAROLE PERDUTE DELLE DONNE


“NU-SHU – Le parole perdute delle donne” è un’action con le caratteristiche visionarie delle discipline dello spettacolo, della durata di nove minuti. Il Nu-shu è l’unica lingua al mondo esclusivamente femminile, un idioma segreto sviluppato in Cina tanto tempo fa dalle donne del popolo Yao, nella provincia dello Hunan, e da loro gelosamente custodito e tramandato per generazioni, con lo scopo di non farsi comprendere dagli uomini.

Cantato nelle riunioni delle donne in cucina o ricamato sui vestiti come una decorazione, il Nu-shu è un atto di ribellione alle imposizioni di una società maschilista che esclude le donne dalla vita pubblica e di riappropriazione di uno spazio vitale di esistenza che fa della parola uno strumento di libertà e di liberazione dall’uomo.


I temi della presa di parola e dell’autodeterminazione delle donne sono al centro dell’action di Raffaele Curi, che lancia un accorato invito a scardinare le logiche opprimenti della violenza di genere, al di là dei secoli e delle culture.


All’interno della cancellata dell’Arco di Giano, settanta sontuosi kimono nuziali in seta bianca, frutto di una lunga ricerca condotta in Cina da Alda Fendi, evocano la presenza e le storie di altrettante donne, chiamate da Raffaele Curi a svelare al pubblico il loro volto e la forza della loro voce sulle note dell’aria “Je veux vivre dans le rêve” tratta da “Romeo et Juliette” di Charles Gounod, nella versione del soprano Nadine Sierra, fino all’accendersi della luna, simbolo dell’affascinante, ciclico mistero delle donne.


L’unico a movimentare la scena sarà un uomo.


Un atto di denuncia dei meccanismi culturali che sfociano nel femminicidio, quello firmato da Curi, che definisce questa sua action come una “carezza per le donne”: ovvero un invito a ritrovare la propria voce per denunciare ogni sopruso e un monito a educare le nuove generazioni fin dalla più tenera età, per scardinare la catena dell’odio nascosta dietro un’idea malsana di amore, che in realtà è possesso, prevaricazione e disconoscimento della dignità femminile.


L’ARCO DI GIANO


L’Arco di Giano deve il suo nome agli studiosi del XVI secolo, che interpretarono i quattro ingressi come la specularità delle due facce del dio Giano. Inoltre, ianus in latino significa passaggio coperto, porta ed è probabile sia stato abbinato a questo luogo come punto di ritrovo e di riparo. Studi recenti hanno chiarito come l’arco abbia una funzione celebrativa e sia stato costruito dai figli di Costantino in onore del padre, alla sua morte avvenuta nel 337.

L’edificio è anche presente nei Cataloghi Regionari (registro degli edifici di Roma compilato nel IV secolo dopo Cristo) come Arcus Divi Constantini.


A differenza di tutti gli altri archi onorari costruiti a Roma, quello di Giano si distingue per la peculiare pianta quadrangolare (12 x16 metri), con quattro pilastri di sostegno coperti da una volta a crociera su cui poggiava un alto attico.

La forma inusuale si deve probabilmente a un altro arco quadrifronte, costruito da Costantino stesso a Malborghetto, sulla via Flaminia, per celebrare la vittoria nella battaglia di Ponte Milvio.


Si tratta dell’ultimo edificio monumentale realizzato nell’antichità al Foro Boario, in una posizione per molti versi simbolica, all’incrocio tra l’antica Salaria e la strada che conduceva dall’antichissimo emporio sito sulle rive del Tevere, e da cui ebbe origine il primissimo nucleo dell’Urbs, verso la Magna Mater, unica porzione del Palatino che gli imperatori lasciarono a uso pubblico non inglobandola nel palazzo imperiale.


L’intero edificio è stato costruito in mattoni e rivestito in marmo, conserva ancora lo schema decorativo originale: i pilastri sono decorati da due file di tre nicchie semicircolari coperte da una semicupola a conchiglia, in cui erano collocate delle statue (48 in totale). Le quattro chiavi di volta dell’arco sono decorate con le rappresentazioni di Roma e Giunone (sedute), di Minerva e, forse, Cerere (in piedi).


Come l’arco di Costantino, anche l’Arco di Giano fu realizzato con materiali provenienti dalla distruzione sistematica di edifici che, all’inizio del IV sec. d.C., erano in disuso. Questi materiali, smontati e rilavorati per la nuova messa in opera, presentano ancora i resti di alcuni elementi decorativi originali che consentono il riconoscimento della loro precedente funzione.


Come molti altri edifici della Roma imperiale, anche l’Arco di Giano deve la sua sopravvivenza a un successivo riutilizzo con una funzione diversa: nel Medioevo venne infatti trasformato in fortificazione dai Frangipane, la stessa famiglia che aveva trasformato in fortezza il Colosseo, e la sua torre compare citata in un documento risalente al 1145 ed era ancora visibile fino al XVIII secolo.


Parzialmente interrato durante i secoli, l’edificio tornò pienamente alla luce nel 1827: durante questo intervento allo scopo di togliere le aggiunte di epoca successiva venne anche asportato l’attico, di cui rimaneva solo il nucleo in mattoni e per questo ritenuto medioevale, ma originariamente coperto di marmo, come il resto dell’arco.


Dopo l’attentato di origine mafiosa a San Giorgio al Velabro del 1993, l’Arco di Giano è stato recintato con una cancellata di protezione. L’ultimo restauro curato dalla Soprintendenza Speciale di Roma di una porzione della facciata che guarda verso Piazza della Verità è terminato nel 2017.

Redazione

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