Breve recensione del libro di Federico Rampini – Mondadori Editore

Breve recensione del libro di Federico Rampini – Mondadori Editore

Nella breve parodia con cui introduce il corposo volume, Federico Rampini, attraverso un dialogo apocrifo e immaginifico, cerca di evidenziare tutto ciò che unisce anziché dividere Joe Biden e Xi Jinping anche se chiude questa simulazione affermando che il realtà il Presidente USA ha due motivi per invidiare il suo omologo cinese: il primo è la durata dell’incarico, lui è agli esordi mentre Xi è al vertice dal 2012 e non ha limiti temporali di mandato.

Il secondo è che Biden guida una nazione lacerata, “quasi mezza America lo considera un usurpatore mentre Xi usa il nazionalismo come collante ideologico per spronare i cinesi alla coesione”.

Il resto del libro è una lunga e interessante analisi su un conflitto geopolitico e geoeconomico tra le due superpotenze, rispetto a cui chi vive in Europa e in Italia può avere solo una pallida rappresentazione. Basterebbe il titolo del saggio di Rampini per comprendere l’impostazione data al testo: “Fermare Pechino” non è un eufemismo sulla soffice via della seta (un errore tutto italiano aver firmato quel Memorandum: Presidente Draghi, anche quello è da ‘fermare’) ma una sorta di imperativo categorico-strategico perché possa realizzarsi il progetto americano “di invertire la rotta prima che sia troppo tardi”.

E il sottotitolo a latere ne è il correlato speculare: “Capire la Cina per salvare l’Occidente”. Sono finiti i tempi della ‘diplomazia triangolare’ usata da Kissinger per incunearsi nel dissidio Russia-Cina e trarne vantaggi: allora, correva l’anno 1973, l’abile consigliere per la sicurezza nazionale di Nixon riuscì nel capolavoro di aprire alle due superpotenze mantenendo rapporti diretti con l’una e con l’altra.

Kissinger ha sempre ispirato la politica estera americana ad un principio pragmatico: “gli USA non hanno nemici ma interessi”. Come siano cambiate le cose ad Anchorage in Alaska, nell’incontro USA-Cina del marzo 2021  Rampini lo descrive con perspicacia e lungimiranza.

Sul tavolo delle trattative sono calate le carte: la questione di Taiwan (per Pechino il nodo da risolvere entro i prossimi 5 anni), i missili di Kim Jong-un come diversivo-deterrente ad usum-Cina, mentre il segretario di Stato Blinken ha giocato un due di picche su un accordo per disinnescare il pericolo nord- coreano e sulla  questione climatica puntando l’indice sulla dittatura imperante in Cina per effetto di una supremazia (il 92% della popolazione) del ceppo Han, razzista persino con le minoranze interne.

Da parte sua Yang Jiechi ha ribaltato le accuse sugli USA: “non siete più i guardiani del mondo” e dovete risolvere i vostri conflitti etnici esistenti da secoli. Razzismo e diritti umani sono per entrambi la lancia e lo scudo dell’attacco e della difesa. Ciò che Rampini evidenzia è la compattezza cinese a motivo della supremazia etnica ‘Han-centrica’ e lo sfaldamento degli USA in una miriade di minoranze.

Potremmo dedurre che la democrazia USA ha indebolito il Paese, di fatto spaccato a metà, mentre la dittatura cinese tacita le minoranze interne e si presenta compatta agli esordi del terzo millennio. Cìò che Rampini descrive è uno sbilanciamento di forze tra un’America declinante (anche nelle relazioni internazionali con i Paesi alleati, la Nato ha perduto vigore e l’Europa soffre i conflitti interni ad es. sulle politiche fiscali e l’emigrazione, ma anche sui sistemi scolastici) e una Cina che punta sulla forza della coesione, creando le premesse per una egemonia geo-economica espressa con una dirompente forza espansiva sui mercati.

Oltre che su un’esponenziale crescita della forza militare. Ciò che indebolisce gli USA sono i dissidi ideologici interni e lo scarso credito che gli ideali patriottici ricevono dai giovani americani. La Cina ha occultato in fretta il ricordo del massacro di Piazza Tienanmen del 1989: la stessa scuola subisce gli influssi di una cultura militaresca che impone studi severi, esami selettivi, formazione e indottrinamento.

Senza contare che frode e menzogna sono considerasti mezzi utilizzabili per ottenere risultati: circa il 90 % degli studenti cinesi che ambiscono ai college americani dichiara dati falsi, CV gonfiati, saggi copiati.

Peraltro la durezza della selezione meritocratica imposta in Cina esita risultati attesi nel mercato del lavoro.

Circa le preoccupazioni per la questione climatica l’assenza di Cina e India al Cop26 di Glasgow è stata una risposta scoraggiante, nonostante l’ottimismo di Boris Johnson: come dire, le regole che ci riguardano non le negoziamo, le stabiliamo noi (l’India ha imposto il ‘pashing down’ invece che il ‘pashing  out’, cioè la riduzione lenta dell’uso del carbone).

Persino il mondo del cinema e degli intrattenimenti su base tecnologica esprime una spinta fortissima alla supremazia sul resto del mondo: Rampini cita il caso della serie di film Wolf Warrior 1 e 2 in cui l’imperativo categorico trasmesso è “chiunque offenda la Cina, ovunque si trovi deve essere sterminato”. Il ‘Rambo’ cinese descritto nel sequel è diventato un’icona da seguire, persino per le diplomazie accreditate all’estero: aggressività, dirompenza, attacco, ostensione della forza sono i modelli comportamentali che stanno dilagando i particolare tra i millennial.

La forza della dittatura cinese si gioca sulla compattezza e lo spirito nazionalistico.

In un mondo occidentale sfrangiato e con politiche indebolite da inconcludente autoreferenzialità, da visioni inconciliabili, da primazie rivendicate con atteggiamenti fondamentalmente dubitativi (sull’export, sul mercato del lavoro, sulle politiche fiscali, dal depotenziamento sostanziale della Nato e dallo screditamento dell’ONU e dell’OMS,  la burocrazia dei veti incrociati, sulla prevenzione dei fondamentalismi e la gestione dei migranti) tutto appare incerto e senza visione prospettica.

Persino la vicenda pandemica, la sua eziopatogenesi, gli studi scientifici, i vaccini , il coordinamento di politiche comuni sulla profilassi e la cura, i negazionismi autolesionistici ci hanno fatto dimenticare un doveroso approfondimento sull’origine del virus e i misteri, anzi i “segreti” che la Cina custodirà per sempre.

Mentre circolano veleni sui turisti stranieri che si aggirano per le strade di Pechino seminando virosi, come gli untori delle pestilenze del passato. Credere, obbedire, combattere: possono davvero essere le parole antiche declinate in imperativi nuovi: la forza di una dittatura è dirompente nell’attrezzarsi e potenzialmente devastante negli esiti. L’autoconvincimento e la determinazione della Cina, il suo espandersi a macchia d’olio nel pianeta, in ogni settore commerciale, aziendale, tecnologico finiscono per indebolire la già tenue rete dei rapporti solidali tra i paesi occidentali.

Che il Covid19 sia partito da Wuhan è ormai dimostrato (con tutte le attenuanti oggettive  sulla sostenibilità ambientale, il cambiamento climatico e l’estinzione graduale della vita e delle specie secondo i Rapporti ONU/OCSE/Ipbes che favoriscono la trasmissione per zoogenesi) la Cina ha dimostrato al mondo di sapersela cavare a buon mercato: addirittura incolpando l’occidente e l’OMS di aver mistificato i dati, per poi venderci mascherine non a norma, monopattini pericolosi e continuando ad esportare cianfrusaglie di plastica tossica.

A ciò si aggiunga la preoccupazione forse maggiore che Casa Bianca e Pentagono percepiscono mentre sembra sfuggirne l’importanza al resto del mondo e all’Europa in particolare: l’attacco a Taiwan, un’isola che concentra realtà produttive e potenzialità enormi in materia di tecnologie. Un boccone ghiotto per i cinesi in vista della riconversione ecologica, la digitalizzazione del pianeta e le nuove fonti energetiche, cominciata con la produzione della batterie e dei semiconduttori.

Quasi tutta la tecnologia che passa dalle nostre mani , compresi i microchip dei cellulari proviene da Taiwan.  La posta in gioco è enorme e Xi Jinping ritiene “doverosa, necessaria, inevitabile la riunificazione con la Cina”, anche con l’uso della forza.

Ciò determinerebbe una discesa in campo degli USA, con un conflitto bellico dalle dimensioni inimmaginabili. Dopo l’11 settembre con al- Qaeda, dopo il 2008 con il crac dei mutui, dopo il 2020 con la pandemia, si profila un nuovo orizzonte ad altissimo tasso di conflittualità, considerato che la Cina nel frattempo si è dotata di una forza militare devastante, mentre si adombra il pericolo di un uso di armi nucleari e di un ingresso belligerante della Russia.

Charles Glaser, docente di affari internazionali, sicurezza e strategie militari alla George Washington University ha lanciato un appello sulla rivista di geopolitica ‘Foreign Affairs’, invitando ad una scelta prudente, di mediazione, rinunciando a priori allo scontro armato: difendere Taiwan o morire per Taiwan? L’esperienza afghana e la presa di Kabul dai talebani è una lezione eloquente e premonitrice, “arroccarsi, ritirarsi, cedere” per evitare un conflitto dagli esiti imprevedibili nell’area del Pacifico, sarebbe una soluzione geopoliticamente prudente. Ma non senza negoziare un ‘do ut des’.

Difficile tuttavia credere nelle promesse di una Cina aggressiva, armata fino ai denti, spietata e determinata a conquistare il mondo. Questi e altri temi sono l’ordito e la trama del libro di Rampini: una lettura ineludibile per chi voglia capacitarsi dei rischi che corre il mondo se la politica espansiva della Cina da economica diventasse apertamente militare. Abbiamo chiuso il secondo millennio dicendo: mai più guerre.

E’ bene che si sappia tuttavia , anche qui in Europa e in Italia, che i destini prossimi del mondo si giocheranno sul versante opposto del pianeta.

E comunque vadano le cose ci riguarderanno da vicino, più  di quanto ci sia dato immaginare nel tran tran quotidiano delle diatribe politiche, delle ingiustizie sociali, delle derive nazionaliste o populiste,  dei negazionismi salottieri o di piazza, di tutto il chiacchiericcio che riempie le nostre giornate tra polemiche, gossip e fake news.

Il pericolo di un conflitto bellico di dimensioni planetarie incombe su destini dell’umanità. Dopo tanti proclami, trattati, convenzioni ed accordi tutto potrebbe saltare per una iniziativa di aggressione armata che parta dalla Cina. Parafrasando il film di Bellocchio la Cina è davvero vicina, prevedibilmente in modo decisamente ingombrante. Per usare un eufemismo o come dice Rampini, una parodia.

Francesco Provinciali

Redazione Radici

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