Dalla Bocconi a ‘bocca aperta’: il senatore Monti vuol mettere la mordacchia ai giornalisti
L’editoriale di Nicola Perrone
Non c’è niente da fare, dobbiamo cominciare a valutare anche gli effetti collaterali legati all’epidemia. Come quello che ha colpito il senatore a vita Mario Monti, passato dalle libere lezioni universitarie alla richiesta di mettere la mordacchia (antico strumento di tortura con cui si stringeva la lingua del condannato, ndr) alla libera stampa.
Il nostro parte dalla premessa che si parla troppo di pandemia sui media, che lui “non vuole censurare nessuno” ma che forse è tempo di starsene zitti e a cuccia. Certo limitare l’informazione nel caso di guerre tradizionali “è odioso – ha detto Monti intervistato da La7 – ma nel caso di una pandemia, quando la guerra non è contro un altro Stato ma contro un morbo che è comune a tutto il mondo, io credo che bisogna trovare delle modalità meno democratiche per somministrare queste informazioni secondo per secondo. Abbiamo accettato limitazioni alle nostre libertà di movimento. In una situazione di guerra quando l’interesse di ciascuno coincide con l’interesse pubblico pena il disastro del Paese e di ciascuno, si accettano delle limitazioni alla libertà. Noi ci siamo abituati alla possibilità di dire qualsiasi verità o sciocchezza sui media come un diritto inalienabile garantito dalla dichiarazione universale…” sulla libertà di parola. Chi dovrebbe dosare l’informazione? “Il Governo, ispirato, nutrito e istruito dalle autorità sanitarie”, ha precisato il senatore Monti.
Io non ci sto, senatore Monti, perché non penso proprio che noi siamo in uno stato di guerra, come lei vuol farci credere. Non si fa una guerra al virus, non ci sono parti giuste o sbagliate con le quali schierarsi, i morti e i malati non indossavano uniformi da soldato, non erano volontari e non pensavano affatto di andare in battaglia. Se proprio vogliamo trovare un ‘nemico’ in questa pandemia, beh, allora dovremmo volgere lo sguardo su noi umani, su quello che abbiamo fatto e stiamo facendo all’ambiente e al nostro pianeta; in che luoghi e condizioni igieniche costringiamo a vivere miliardi di altri esseri umani. Anche in una situazione difficile come quella che stiamo vivendo ci si appella ad una seria e corretta informazione, non ad una dosata dall’alto.
Per quanto riguarda il dibattito politico, invece, tiene banco l’elezione del nuovo presidente della Repubblica il prossimo gennaio. Quasi tutti si stanno sgolando per chiedere al premier Mario Draghi di restare a Palazzo Chigi, di proseguire fino al 2023. Soprattutto Silvio Berlusconi, che mai come oggi sente vicina la conquista del Colle, non passa giorno senza che sottolinei la necessità che Draghi resti lì dove sta. “Saremo i primi a collaborare lealmente all’attività di questo Governo, che deve rimanere in carica per tutto il tempo necessario, fino al 2023, fin quando saremo usciti dall’emergenza. Allora si potrà tornare alla naturale alternanza fra due schieramenti in competizione fra loro” ha detto Berlusconi incontrando i suoi capigruppo, il coordinatore nazionale e Forza Italia Giovani a Villa Gernetto.
Una mossa che ha conquistato anche Matteo Salvini, leader della Lega: “Condivido quanto afferma Berlusconi. Draghi sta lavorando bene e mi auguro che continui a lavorare a lungo e a fare il presidente del Consiglio”, ha detto il leader del Carroccio. Tra i parlamentari, alla domanda se Berlusconi può davvero farcela a conquistare i 505 voti necessari dalla quarta votazione, pochi ci credono; altri vedono in questo suo agitarsi, nel voler stare in mezzo alla trattativa sul nome del prossimo inquilino del Quirinale, la sua possibile nomina a senatore a vita, per rientrare a pieno titolo in quel Parlamento da dove fu messo fuori dopo la condanna.