A Montreal un “regalo incantato” di Natale fra danza classica e danza contemporanea
“Come è ormai tradizione, torna anche quest’anno, a parte lo scorso quando la pandemia ha costretto al lockdown, lo spettacolo per eccellenza delle feste natalizie, quell’intramontabile “Schiaccianoci” prodotto dai Grands Ballets Canadiens (GBC) di Montréal che continua a far meravigliare i bambini … di tutte le età! La pandemia, però, ha imposto alcuni “accorgimenti” che non cambiano la godibilità di un classico della danza sempre molto apprezzato. Ma visto che, come si dice, “di necessità si fa virtù”, ecco che accanto allo Schiaccianoci si ritaglia, sul palcoscenico del Teatro Maisonneuve, uno spazio anche un bel “Cadeau enchanté” uscito dalla fantasia del direttore artistico Ivan Cavallari”.
Ad intervistarlo è stato Fabrizio Intravaia per il “Corriere italiano” che dirige a Montreal.
“Ivan Cavallari è nato a Bolzano nel 1964 e si è formato alla Scuola di danza della Scala di Milano ed a quella del Bolshoi a Mosca“Il primo atto dello Schiaccianoci – spiega Ivan Cavallari, originario di Bolzano, alla guida dei GBC dalla stagione 2017-2018 – prevede che in scena ci siano una ventina di bambini. Poiché i bambini dai 5 agli 11 anni non sono (ancora) vaccinati non potevamo mandarli in scena e così, un mese fa circa, quando abbiamo iniziato a parlare dello spettacolo, ho pensato di aggirare l’ostacolo inventando una storia che potesse sostituire il primo atto che notoriamente è quello con cui i più piccoli si indentificano maggiormente perché vedono tanti loro coetanei muoversi e giocare su scena. Mi sono detto: “Bisogna inventarsi qualcosa che si rivolga direttamente a loro!”
E così, nello spazio di un fine settimana, ho scritto una storiella intitolata “Il regalo”, che nelle versione francese è diventata il “Cadeau enchanté”, su musica del compositore brasiliano Heitor Villa-Lobos e la partecipazione di due cantanti liriche. È la storia del “Professor Natale” a cui due streghe, Batilda e Matilda, rubano i giocattoli che solamente lui è in grado di animare. È come se le due streghe portassero via i regali destinati ai bambini di tutto il mondo. Ma fin dall’inizio si vede scendere sulla scena dall’alto un pacchetto che rimane chiuso fino all’ultimo. Questo pacchetto rappresenta l’amore. È come dire: si possono ricevere tanti regali ma il più grande e il più bello è proprio l’amore. Il balletto finisce con un passo a due tra la ragazza, che rappresenta l’amore, e il Professor Natale, che pur essendo stato svaligiato ritrova il sorriso.
Nel secondo atto, il cosiddetto “Viaggio di Clara”, potendo utilizzare i bambini al di sopra dei 12 anni, quindi vaccinati, tutto si svolge regolarmente. Sarà un Natale un pochino diverso ma ugualmente bello perché c’è un po’ di tutto: canto, danza, musica, orchestra, costumi e alla fine il messaggio è che l’importante non è il regalo ma lo stare insieme, l’amarsi e il volersi bene”.
L’intervista
Cosa l’ha portata a Montréal?
“Diciamo che i percorsi – risponde Ivan Cavallari – non sono sempre “rose e fiori”. Sono partito per l’Australia, dove sono stato direttore artistico del “West Australian Ballet” dal 2007 al 2012, perché avevo fatto un “disastro” a Vienna. La critica mi aveva massacrato per uno spettacolo e così ho pensato che era meglio cambiare aria. Poi però, per ragioni familiari, avevo l’esigenza di tornare in Europa e venendo a conoscenza che l’Opera Nazionale del Reno (a Mulhouse, in Alsazia, Francia) cercava un direttore mi sono candidato e ho ottenuto il posto. Sono rimasto lì fino a quando sono entrato in rotta di collisione perché il balletto aveva un budget microscopico rispetto all’Opéra. Era difficile lavorare in quel modo ed essendo venuto a sapere che Le Grands Ballets cercavano un nuovo direttore artistico ho presentato la mia candidatura e dopo una serie di incontri e audizioni piuttosto difficili ho ottenuto il posto”.
Dopo 5 anni alla guida dei GBC qual à il suo bilancio?
“Ho firmato per altri 5 anni – afferma il direttore – quindi posso dire che è positivo. Quando ho iniziato, la compagnia aveva 27 danzatori e un indirizzo molto più contemporaneo.
Ho cercato, e questo è anche il mandato per il quale sono stato assunto, e che corrisponde in pieno alle mie idee, di portarla anche verso il balletto classico e il neoclassico eliminando dal cartellone le compagnie invitate e riempiendo gli spazi a loro destinati con le nostre produzioni.
Per fare questo ho dovuto moltiplicare il numero di danzatori e attingere nuovi talenti dalla Scuola di danza per integrarli alle grandi produzioni classiche. Quest’anno, in cartellone, ci sono, oltre agli spettacoli di danza contemporanea dei classici come “Romeo e Giulietta” e “La Bella addormentata” che richiedono tutte le nostre forze in campo. Ho voluto aggiungere il classico e il neoclassico per chiudere un cerchio, per evitare di essere una compagnia dallo stile unico, perché il pubblico ha bisogno di vedere danzatori eclettici che riescano ad interpretare sia il classico che la danza contemporanea. Tutto ciò che oggi è danza contemporanea non si sa se un giorno diventerà un “classico”.
Quello che ho cercato di portare è la creazione. Non faccio coreografie che sono state create da altre compagnie, voglio – prosegue il direttore – che i coreografi le creino per i miei danzatori perché questo ci dà modo di costruire eventualmente un’eredità più solida. Se funziona, bene, altrimenti, pazienza! Subentra, poi, anche una questione di tipo economico perché la compagnia ha bisogno di ritrovare una certa indipendenza finanziaria e senza i classici in cartellone si va in deficit. All’inizio del mio mandato, quando ho scoperchiato le carte, ho incontrato un po’ di resistenza da parte di coloro che osservavano questo cambiamento e non sapevano se la direzione presa fosse quella giusta. Ma bisogna aspettare un po’ prima di raggiungere la velocità di crociera, bisogna piantare i nuovi semi, poi si vedrà se la pianta crescerà! Questo è stato il mio lavoro nei primi 5 anni. Adesso, per i prossimi 5, spero vivamente di poter vedere i frutti, di poter vedere il giardino fiorito che ha bisogno solo di essere annaffiato”.
Cosa c’è di italiano nel suo lavoro?
“Dentro di me rimane sempre un senso di appartenenza. Ho vissuto in Italia fino a 14 anni, quando ho intrapreso la mia carriera di ballerino, “attaccandomi” all’arte, alla storia, alla bellezza e alle tradizioni italiane. È chiaro che ho una certa sensibilitè con tutto ciò che viene dall’Italia e forse, proprio perché sono italiano, vengo contattato da coreografi e danzatori italiani. Ci sono talenti strordinari in Italia, ancora poco conosciuti, mi piacerebbe molto collaborare con loro. Per il resto, di italiano rimane il mio carattere abbastanza esuberante, molto egocentrico e diretto. Ogni tanto ne pago le conseguenze perché a volte bisognerebbe essere più diplomatici”.
Cosa rappresenta per lei il mondo danza?
“Una missione, non un mestiere. Non vendiamo hamburger, facciamo teatro e il teatro è sempre stato un mondo di provocazione, un po’ turbolento, specchio della società e dell’anima. Noi non rappresentiamo solo la danza e i suoi diversi stili ma siamo portatori anche di un messaggio, almeno io la vedo in questo modo. Se ci si limita a fare solo una bella programmazione, equilibrata, va bene, però ad un certo punto l’artista deve poter esprimere se stesso e andare a cercare degli aspetti della società che magari sono meno evidenti. L’artista non deve pensare con i piedi per terra perché il mondo dello spettacolo resta e deve rimanere un mondo di fantasia, un mondo che fa pensare, che fa sognare ed è quello che vogliamo continuare a fare”.
Info-spettacolo
Casse Noisette – Le Voyage de Clara
Dal 9 al 28 dicembre, con orchestra – Sala Wilfrid-Pelletier, Place des Arts – Biglietti: 514-842-2112”.