L’uomo e la sua ombra. La storia e la fine dell’alienazione
Il concetto di alienazione in Occidente iniziò a suscitare l’interesse dei filosofi già a partire dal ΧVII secolo. Il primo a parlare di alienazione fu Rousseau quando sosteneva che i cittadini con il contratto sociale si alienavano di tutti i loro diritti a favore di un’entità superiore. E poi Hegel si configura l’alienazione (Entfremdung o Entausserung) come una tappa necessaria del divenire dello spirito, che, oltre ad essere vista come una negazione, va considerata come un arricchimento dello spirito, o dell’ Idea , nel suo processo dialettico. K.Marx in “Critica della filosofia del diritto pubblico di Hegel”, sviluppa un concetto di alienazione analogo a quello di Feuerbach, però in senso filosofico – politico. Qui l’alienazione ha un carattere sociale – politico.L’operaio è alienato dal prodotto del suo lavoro. Cioè l’operaio è alienato dalla propria attività, perché non produce per se stesso, ma per un altro, per il capitalista. Il lavoro diventa merce di scambio, realizzandosi una vera e propria vendita da parte dell’operaio della propria forza-lavoro, in cambio di un salario per la sopravvivenza.
Questo concetto di alienazione presenta diversi aspetti fondamentali: innanzitutto l’operaio è alienato rispetto a ciò che produce. Cosi l’operaio è alienato dalla sua stessa essenza (Wesen), poiché il suo non è un lavoro costruttivo, libero e universale, bensì forzato, ripetitivo e unilaterale. Marx paragona l’operaio al Sisifo della mitologia greca, e come la mitologia greca Come punizione per la sagacia dell’uomo che aveva osato sfidare gli dèi, Zeus decise che Sisifo avrebbe dovuto spingere un masso dalla base alla cima di un monte. Tuttavia ogni volta che Sisifo raggiungeva la cima, il masso rotolava nuovamente alla base del monte. L’operaio secondo K. Marx,è alienato dal suo prossimo, cioè dal capitalista, che lo tratta come un mezzo da sfruttare per incrementare il profitto e ciò determina un rapporto conflittuale. Lukacs definisce l’alienazione come distinzione fra soggetto e oggetto. E la filosofia di esistenzialismo, Kirkegaard, Jaspers, Heidegger, vedevano l’ alienazione come il risultato dell’ impossibilità dell’ individuo di ritornare dall’ universo anonima.
Nella società tecnologica e industriale, secondo Herbert Marcuse l’uomo è sempre e comunque alienato perché nel proprio lavoro non realizza se stesso, trova regole create da altri, è succube degli eventi esterni e non è libero. Anche per la psicoanalisi l’individuo vive in prima persona la contraddizione che lo mette in croce tra ” natura ” e ” cultura “. Cosi secondo Freud l’alienazione prende il nome della rimozione. E la rimozione è un meccanismo psichico che allontana dalla coscienza desideri, pensieri considerati inaccettabili e intollerabili dall’Io, e la cui presenza provocherebbe dispiacere.
M. Foucault definiva l’ alienazione come processi normativizzazione dei poteri sociali al di là della soggettività. E nella filmografia i film di Michelangelo Antonioni, L’ avventura, La noia, L’ eclisse, descrivano la separazione tra uomo e società come sindrome d’alienazione. L’alienazione che penetra in noi come la realtà. Però possiamo incontrare il concetto d’alienazione anche nel libro della Genesi.
E’ il peccato Originale a seguito dell’infrazione del divieto, posto da Dio ad Adamo ed Eva di mangiare i frutti. La disobbedienza verso Dio da parte dell’uomo e ciò che ha diviso l’uomo da Dio, cioè dall’autenticità, dalla vita autentica (l’incarnazione di Dio)che riferita a quel tipo di esistenza che rispecchia la vera realtà interiore dell’uomo caratterizzato dalla singolarità. Qui possiamo dire che l’alienazione deriva dal pronome indefinito “alius” dal greco antico allos, cioè altro. E il frutto dell’albero proibito esprime il trasferimento dall’autenticità, all’inautenticità, l’esistenza in cui il singolo smarrisce il proprio sé stesso o la propria natura. (L’autenticità molte volte si trova insieme con la proprietà.)Omero ha assunto un’altra forma, un’altra dimensione. Ha visto l’alienazione come sonno. La parola – chiave per Omero è Il “sonno”. Il sonno che coglie Ulisse durante il viaggio da Schèria ad Itaca. L’Itaca sempre secondo Omero è l’autenticità. Giunti al libro XIII, vediamo dopo l’ennesimo banchetto, cinquantadue giovani Feaci robusti rematori, riescono finalmente a riportare ad Itaca Ulisse, e lo lasciano addormentato come un angioletto sulla spiaggia dell’isola, circondato da molti doni e da grandi ricchezze. Vediamo: XIII.73-80: (I Feaci preparano la nave che riporterà Ulisse a Itaca)
Una coperta e un telo di lino ad Ulisse stesero sul ponte della nave ben cava, che dormisse senza destarsi,a poppa; anche lui poi salì e si giacque in silenzio. Sedettero essi ciascuno agliscalmi,con ordine, e sciolsero dalla pietra forata la gomena. E mentre curvi rivoltavano il mare col remo, a lui cadeva sulle palpebre un sonno profondo, continuo, dolcissimo, assai somigliante alla morte. Il sonno è dolce come l’alienazione. In Odissea, VIII, 443-445 si presenta il modo dell’alienazione. Vedi tu ora il coperchio, facci un abile nodo, che in viaggio nessuno lo forzi, quando tu appunto dormirai dolce sonno, viaggiando sopra la nave nera. Curioso questo sonno simile alla morte (un sonno pesante) da cui Ulisse non si sveglia.(Και τώ νήδυμος ύπνος επί βλεφάποισιν έπιπτε…Νήγρετος ήδιστος, θανάτω, άγχιστα έοικώς). Vediamo: Odissea, VIII, 564-571.
Solo questo una volta udii predire dal padre, da Nausìtoo: diceva che si adirerà Poseidone con noi, ché di tutti siamo i trasportatori impuniti. Un giorno – diceva – una solida nave delle genti feace tornante da un accompagno sul mare nebbioso, distruggerà, e poi coprirà la nostra città d’un gran monte. Così parlava il vecchio, e questo il dio compirà o lascerà incompiuto, come piace al suo cuore. Si sveglia Ulisse, (dal sonno dell’alienazione) e ha raggiunto un grado di elevazione. Ulisse è cambiato, è trasfigurato e non è più riconoscibile. Al termine del viaggio l’Ego è purificato e si può ricongiungere con il Sé. Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi, ci sono due modi di oltrepassare l’ alienazione, (vediamo l’ opera di Adalbert von Chamisso “L’ uomo che ha perso la sua ombra” anche la poesia di Alfred de Vigny “Moise” ( Mosè), la poesia di Charles Baudelaire “L’albatros” e la poesia di Stepfane Mallarme “Le Cygne” Cigno) o la riappropriazione di se stessi, modo fastidioso e senza troppe speranze, o l’ altro quello dell’ Altro assoluto. Però l’alienazione è finita. L’Altro come minaccia, l’Altro come specchio, l’ Altro come sguardo, l’ Altro come potestà , l’ Altro come opacità tutto finito.
Già, è la trasparenza degli altri diventare la minaccia assoluta. Non c’è Altro come differenza, come specchio, e come superficie riflettente, perché la coscienza di sé è minacciata d’irradiazione nel vuoto. La rappresentazione del Altro è finita prima ancora di cominciare, visto che la rappresentazione in quanto copia di un’ altra non è accaduta mai. E’ un “inizio del non inizio”. Con la fine della rappresentazione vediamo oggi la filosofia nella decentralizzazione, la politica nell’inizio dell’incertezza, e l’arte come pura ripetizione. Ma anche l’utopia della disalienazione finita anch’ essa. Perché sparisce la divisione di fronte alla demoltiplicazione.
L’Altro nella demoltiplicazione nasconde lo Stesso. Non è più l’inferno degli altri, è l’inferno dello stesso. Questo è il nostro attuale ideale-clono. L’uomo espurgato dell’altro, espurgato della sua divisione esiste come vuoto, alla metastasi di se stesso alla paura della ripetizione.
Apostolos Apostolou.Professore di filosofia politica e sociale.