In Kenya è polemica sul fast food che finisce le patatine (importate)
Nel Paese si registra invece una sovraproduzione di tuberi, ma non possono essere utilizzati
ROMA – In Kenya polemiche e minacce di boicottaggio per la catena americana di fast food Kentucky fried chicken (Kfc): all’origine della disputa, le patate fritte. Nel Paese africano i punti vendita del ristorante, noto per il suo pollo fritto e presente in tutto il mondo, hanno infatti annunciato su Twitter di non poter più servire il tubero a causa del grande consumo che ne è stato fatto durante le festività natalizie e dei contemporanei ritardi nelle importazioni del prodotto dall’estero, a loro volta dovute alle limitazioni in vigore in tutto il mondo per far fronte alla pandemia di Covid-19.
Allo stesso tempo però, come riferisce il quotidiano locale The Standard, i produttori kenyani di patate sono alle prese con una crisi dovuta alla sovrapproduzione: i coltivatori della contea di Nakuru, area dove si concentrano il maggior numero di fattorie dove si coltiva il tubero, nel sud del Paese, sono stati addirittura costretti ad abbassare i prezzi come mai prima.
L’industria legata alle patate conta inoltre di circa 800mila fattorie in tutto il Paese e impiega 2,5 milioni di lavoratori. Una contraddizione questa, che ha indignato centinaia di utenti di Twitter. In molti hanno rilanciato la notizia, diffusa dai principali media kenyani, chiedendosi perchè Kfc non possa impiegare patate prodotte in Kenya o annunciando, in tono più minaccioso, che così come vengono importati i tuberi dovranno essere importati anche i clienti, d’ora in poi.
Rispondendo a Business Daily Africa, l’amministratore delegato della catena nell’Africa orientale, Jacques Theunissen, ha annunciato che il prossimo carico di ortaggi è previsto per domani e ha spiegato che Kfc “non può comprare patate prodotte localmente al momento perchè tutti i fornitori devono essere sottoposti a un processo globale di certificazione della qualità che non può essere evitato” in alcuna circostanza.