Trump e il “talento” di fabbricare la realtà e il pericolo per la democrazia
“Il presidente Barack Obama è nato negli Stati Uniti. Punto e basta”. Così Donald Trump nel mese di settembre del 2016 dopo una campagna di più di cinque anni nella quale metteva in dubbio la cittadinanza dell’allora inquilino alla Casa Bianca. Obama era stato costretto a rilasciare il suo certificato di nascita dopo le insistenze di Trump e la campagna che cercava di mettere in dubbio la legittimità del primo presidente afro-americano.
L’allora candidato repubblicano che sarebbe due mesi dopo stato eletto il successore di Obama era però riuscito con insinuazioni basate sul nulla a creare un’altra realtà, costringendo il presidente degli Stati Uniti ad agire per mettere a tacere le chiacchiere. Il problema però rimase. Persino dopo il rilascio del certificato di nascita e l’accettazione di Trump la macchia rimase e per non pochi sostenitori del tycoon Obama si congelò come illegittimo.
Fabbricare una realtà è la specializzazione di Trump. Ha fatto la stessa cosa con il risultato dell’elezione del 2020, asserendo l’esistenza di frode elettorale che gli ha rubato la vittoria. I fatti però indicano che lui non risiede più alla Casa Bianca dove l’attuale inquilino è Joe Biden. Poco importa. Il 45esimo presidente continua con la fabbricazione della realtà che ha usato come perno per giustificarsi che non ha perso, che non è un perdente, ma tutto semplicemente, è stato vittima di un furto.
Trump si è sempre dichiarato intelligentissimo. Come mai si è lasciato derubare considerando che da presidente in carica durante l’elezione aveva sommi poteri? Trump ha usato questi poteri per tentare, ma senza successo, di ribaltare l’esito elettorale. Forse non è dopotutto tanto intelligente oppure ha veramente perso. La seconda opzione è quella vera come ha spiegato in modo semplice e netto l’attuale presidente. Biden ha puntualizzato che nella stessa scheda elettorale di parecchi Stati in bilico persi da Trump molti altri candidati repubblicani come governatori, senatori, parlamentari, hanno infatti vinto. Solo il candidato presidenziale repubblicano ha perso.
Solo per il candidato repubblicano presidenziale c’è stata la frode, dunque, mentre per gli altri che hanno vinto tutto è andato liscio. E nei casi in cui nella stessa scheda elettorale dove alcuni repubblicani hanno perso alcune contese, nessuno ha gridato frode. Lo Stato della Georgia è un ottimo esempio. I candidati repubblicani per governatore, vice governatore e procuratore generale hanno vinto mentre la vittoria per i due senatori è andata ai democratici. Nessuna frode elettorale è stata menzionata e i candidati perdenti al Senato hanno accettato la loro sconfitta. Solo Trump ha fatto il contrario. E ovviamente per Trump, nessuna frode è stata menzionata negli Stati dove lui ha vinto.
La realtà fasulla di Trump però gli è stata utilissima non solo per non ammettere che ha perso ma anche dal punto di vista di potere. Subito dopo gli assalti al Campidoglio sembrava che i leader del suo partito lo avessero abbandonato, considerandolo responsabile di avere incitato i riottosi a violare la costituzione con il tentato blocco della certificazione dell’elezione presidenziale. Mitch McConnell, l’allora presidente del Senato, Kevin McCarthy, leader della minoranza alla Camera, ed altri esponenti di spicco del Partito Repubblicano avevano criticato aspramente Trump.
Pochi mesi dopo però hanno cambiato rotta e alla recente commemorazione degli assalti al Campidoglio tutti si sono assentati. Gli unici repubblicani presenti al discorso di Biden sono stati Liz Cheney, parlamentare del Wyoming, e suo padre Dick, già vicepresidente durante l’amministrazione di George W. Bush figlio (2001-2009). Tutti gli altri parlamentari e senatori le cui vite furono messe in pericolo negli assalti l’anno scorso hanno dimenticato, seguendo la linea fasulla di Trump.
La falsa realtà dell’ex presidente che i riottosi erano patrioti è stata abbracciata dal Partito Repubblicano, sempre padrone del 45esimo presidente. In parte ciò si deve alla paura inculcata da Trump poiché i politici che “sgarrano” dovrebbero subire primarie difficilissime costretti ad affrontare avversari con l’endorsement dell’ex inquilino della Casa Bianca. Si tratterebbe, in termini pratici, di suicidio politico. Pochissimi coraggiosi sono pronti a sfidare l’ira di Trump.
Liz Cheney appare l’unica ad avere il coraggio di farlo. La stragrande maggioranza ha abdicato le loro responsabilità per non incorrere nell’ira del capo e la probabile perdita del loro seggio. Ne sa qualcosa anche il senatore Mike Rounds, repubblicano del South Dakota, il quale ha recentemente chiarito in un’intervista alla Abc che l’elezione del 2020 è stata completamente legittima. Per la sua onesta ammissione, Trump lo ha immediatamente etichettato di essere un “cretino” e un “Rino” (repubblicano solo di nome) che non riceverà mai più il suo endorsement.
Rounds ha poco da preoccuparsi poiché non dovrà ricandidarsi fino al 2026. Non sorprenderebbe affatto se le minacce dei fan dell’ex presidente gli piombassero addosso come è successo a quei pochissimi che hanno avuto la temerarietà di contraddire l’ex presidente. Difficile capire come i membri del Partito Repubblicano continuino a tollerare una condotta simile del loro capo.
La “big lie” della frode che gli ha rubato la vittoria è stata anche monetizzata. Il Super Pac di Donald Trump Save America ha raccolto più di 100 milioni di dollari, il 75 dei quali può essere usato come crede il tycoon. I contributi vengono richiesti per proteggere la democrazia in America con lo slogan Stop-the-Steal (Fermiamo-il-Furto), ossia le elezioni che vengono rubate ai repubblicani e in particolar modo al loro leader. Difficile capire come i donatori credono che Trump, da ultra ricco come si professa, abbia bisogno di fondi dai suoi sostenitori.
Ma il potere della realtà fabbricata da Trump si estende mediante il suo linguaggio bellicoso che straripa nelle azioni violente dei suoi più fedeli sostenitori. Questi continuano a minacciare gli avversari politici del 45esimo presidente incluso i funzionari ai seggi elettorali incaricati di contare i voti. Due di questi funzionari della Georgia, Ruby Freeman and Shaye Moss, hanno subito tali minacce da vedere la loro vita in serio pericolo. La Freeman è stata consigliata dalla Fbi di chiudere il suo business e non ritornare ad abitare nella propria casa. Le due hanno deciso di denunciare Trump ed alcuni dei suoi collaboratori incolpandoli dei loro problemi.
L’ex presidente non è più al governo ma con la sua realtà fasulla, accettata dal suo partito, rappresenta un pericolo alla democrazia americana come ha indicato Biden nel suo recente discorso alla commemorazione degli assalti al Campidoglio. L’attuale presidente ha descritto i tragici eventi come una pugnalata alla democrazia. Il sistema ha retto questa volta. Succederà lo stesso o Trump sta preparando un secondo tentativo per porre fine alla democrazia al Paese come ha già fatto con il suo partito?
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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.