Chi ha paura di voi non vi ha guardato negli occhi

Chi ha paura di voi non vi ha guardato negli occhi

Di Paola Cecchini

E’ noto a tutti: la Grecia continentale pullula di storia, le Cicladi incarnano il prototipo dell’isola ‘case bianche e mare blu’, il Dodecanneso unisce il fascino delle colline sferzate dal meltemi con il retaggio dei mitici Cavalieri di Rodi e delle visioni di San Giovanni nella grotta di Patmos…
Da qualunque parte lo si guardi, il Paese regala emozioni, sorprese, scorci indimenticabili. Forse in questo catalogo di meraviglie le isole dell’Egeo nord orientale, vicine alla costa turca, occupano un posto un po’ defilato ed è un peccato perché sono piene di fascino, con caratteristiche diverse tra loro che esprimono con forza l’animo dell’Egeo.
Lesbo – famosa per aver dato i natali nel VII secolo a.C. ai poeti Alceo e Saffo – è forse la più conosciuta: vanta un vibrante capoluogo (Mitilene) ricco di splendidi palazzi ed è famosa per l’olio d’oliva e l’ouzo, distillato secco a base di mosto d’uva, aromatizzato con anice, finocchio e liquirizia, servito con acqua e ghiaccio (gradazione alcolica: dai 38 ai 50°).
Samos dove nacque Hera (Giunone) e culla del matematico Pitagora, profumata di agrumeti …e Chios (dove si crede sia nato Omero), patria del compositore Mikis Theodorakis, nota per i villaggi medievali e per la produzione del mastice, gommoresina decantata già da Ippocrate come un buon rimedio contro i disturbi digestivi, ulcere incluse.

Proprio in questi splendidi luoghi, alle porte dell’Europa, va in scena da anni una delle più grandi tragedie umanitarie. Dalla firma dell’accordo UE-Turchia (marzo 2016) sono più di 180.000 i migranti (provenienti in gran parte da Afghanistan, Siria, Iraq, Somalia e Congo) transitati per queste isole : 847 sono scomparsi o morti nel tentativo di raggiungere la Grecia, 21 hanno perso la vita negli hotspot. Dodici gli incendi occorsi nei centri profughi.
Secondo l’UNHCR, vivono attualmente nel Paese circa 109.000 persone tra rifugiati e migranti: 70.200 nel continente, 38.800 sulle isole (Lesbo, Chios, Samos, Kos e Leros).
Considerati inutili al sistema (come d’altronde si sentono), vivono in un pauroso sovraffollamento dentro i campi profughi, sistemazioni provvisorie negli angoli più nascosti del continente, ‘non-città’ in miniatura che crescono a dismisura e che mancano di umanità e dignità.
Per le donne – specialmente quelle sole – la vita è ancora più dura. Docce e latrine (in alcuni campi esiste un servizio igienico ogni 72 persone, una doccia ogni 84) diventano zone off-limits quando tramonta il sole, a meno che non siano accompagnate da uomini. Anche lavarsi durante il giorno richiede prudenza ed attenzione. Molestie sessuali e tentativi di abusi sono le forme più comuni di violenza di genere ma non sono rari i casi di violenza sessuale, riguardanti anche bambine molto piccole. I problemi sono tanti, di ogni genere.
Ne parlo con Mara Eliana Tunno che fino a poco tempo fa ha operato come psicologa di ‘Medici Senza Frontiere’ (MSF) nel campo di Kara Tepe a Lesbo:

‘Nell’isola – dove mi sono trattenuta 10 mesi – il lavoro di MSF prosegue senza sosta dal 2015, l’inizio della crisi. L’organizzazione gestisce due cliniche : la prima, fuori dal campo di Mavrovouni (Monte nero) è prettamente pediatrica ed offre assistenza sanitaria di base, sostegno alla salute mentale dei minori e servizi per la salute delle donne incinte. L’altra, nella città di Mitilene, è preposta alla cura di vittime di tortura e violenza sessuale, nonché persone con gravi problemi di salute mentale. Le due strutture sono volutamente realizzate al di fuori dei campi a rappresentare una sorta di ‘comfort zone’, affinché i migranti possano vivere l’appuntamento con gli operatori MSF come un momento liberatorio, lontani dalle costrizioni.
Per tutti noi è fondamentale conoscere il contesto di provenienza dei nostri pazienti per poterci rapportare al meglio con loro. Non dimentichiamo che in alcuni Paesi di provenienza la salute mentale è un concetto puramente astratto o addirittura un tabù. Per questo siamo sempre affiancati da un mediatore culturale, una figura fondamentale che ci aiuta a superare le barriere culturali prima e durante gli incontri’.

D. MSF è presente anche a Samos?
R. Sì e vi ha incrementato le attività per rispondere al massiccio aumento degli arrivi, installando un sistema idrico e igienico-sanitario per le persone che vivono intorno al centro di accoglienza ufficiale (3.500 migranti per 648 posti), in tende di fortuna nel bosco. Forniamo loro acqua potabile e servizi igienici. Si tratta del primo passo di un intervento che include la costruzione di docce, al fine di prevenire problemi di salute legati alla scarsa igiene. Vicino al campo gestiamo un centro diurno che offre assistenza in materia di salute mentale, sessuale e riproduttiva. Nell’altra isola, Chios, i servizi MSF includono (oltre ad assistenza sanitaria generale) medicina dei viaggi per le persone che vivono nel campo di Vial (un ex-compattatore di rifiuti), nonché servizi di mediazione culturale presso l’ospedale locale.

D: Quante persone ha curato MSF negli ultimi anni?
R: 1.369 tra il 2019 e il 2020, molte delle quali in gravi condizioni psichiche. Più di 180 pazienti hanno compiuto atti di autolesionismo o tentato il suicidio. Due terzi di loro sono bambini: il più piccolo aveva solo 6 anni.

D: E’ lunga la procedura per ottenere lo status di rifugiato sulle isole?
R: Sì, piuttosto lunga, può durare anche anni. Per inoltrare la richiesta d’asilo ci si deve sottoporre ad un colloquio spesso difficile da superare, soprattutto se si è in condizioni mentali non stabili.

D: Perché è difficile superarlo?
R: Perché può durare anche sei ore ed è basato sul vissuto personale della persona in esame: può includere torture, violenze sessuali, episodi di guerra. Senza il supporto di uno psicologo o di un mediatore è facile avere un crollo emotivo dopo qualche domanda e quindi un conseguente rifiuto della richiesta. Il rifiuto ha effetti devastanti e genera estrema frustrazione: dopo aver affrontato difficoltà incredibili e spesso esser fuggiti da guerre e persecuzioni, molti di loro non riescono a reagire all’esito negativo della domanda e per parecchio tempo vengono travolti da un sentimento di totale arresa che genera ancor più frustrazione e devastazione dal punto di vista psicologico…

D: Stiamo parlando di disturbo da stress post-traumatico?
R: Proprio così. Sovente hanno difficoltà nell’elaborare i ricordi più dolorosi e continuano a vivere nella paura per molto tempo. I sintomi dello stress e della depressione sono tra quelli che il nostro staff medico vede più frequentemente: colpiscono circa il 50% dei nostri pazienti adulti e minori.

D. Anche i minori ne sono coinvolti in modo massiccio, quindi…
R Medici e psicologi notano preoccupanti sintomi nei bambini tra cui attacchi di panico, sonnambulismo, incubi, autolesionismo e idee suicidarie, oltre a comportamenti regressivi come enuresi secondaria o ritardi nello sviluppo cognitivo, emotivo e sociale.
Quando ero a Lesbo – ora lavoro a Kananga, nella Repubblica Democratica del Congo dove mi occupo di donne sopravvissute a violenza sessuale – ho seguito una bambina di 8 anni che dopo aver vissuto l’incendio del campo Moria in cui viveva ed uno scontro tra polizia e manifestanti, aveva smesso di parlare e non reagiva più ad alcuno stimolo. Tra i pazienti minori di MSF, molti hanno assistito a episodi di violenza o omicidi (40%), altri hanno vissuto almeno un episodio che ha messo a rischio la propria vita (44%) e circa il 20% ha subito abusi o maltrattamenti.

D Dove vivono a Lesbo i migranti ‘estremamente vulnerabili’, disabili e bimbi molto piccoli inclusi?
R Dall’aprile 2021 sono precipitati in un abisso. Chiuso il campo di Pikpa (che era diventato modello di accoglienza e solidarietà), è stato chiuso anche quello di Kara Tepe ed i 400 ‘estremamente vulnerabili’ sono stati trasportati nel maxi-campo di Mavrovouini che le ong hanno soprannominato ‘Moria 2.0’ poiché ne ricorda le sembianze.

D: Cioè?
R: In realtà è peggio del primo perché si trova in una posizione ancora più pericolosa : è sul livello del mare e d’inverno si allaga continuamente essendo esposto a qualsiasi evento atmosferico. A differenza del primo, poi, é strutturato per nascondere le persone che ci vivono alla comunità locale. Si può lasciare il campo solo se si hanno appuntamenti medici o legali ma dopo aver presentato una lettera che lo dimostri e dopo che questo documento è stato vagliato da chi vigila l’accesso al campo. E’ una regola che vale per tutti: adulti, bambini, anche donne incinte. In teoria ci sono giorni e orari specifici in cui le persone possono lasciare il campo- più o meno tre ore la settimana- ma gli orari e le norme cambiano continuamente e senza preavviso. Ho visto tanta umanità e resilienza tra quanti vi abitavano e tutti lamentavano di non sentirsi più degli esseri umani: sulle loro tende ci sono dei numeri ed è tutto ciò che rimane di loro.

D: Come una prigione…
R: Eh sì… alcuni sono stati rapiti in Iran e in Iraq durante il viaggio, poi arrivano in Europa…

D: …di cui hanno un’idea altissima e quasi un timore riverenziale…
R: …e si ritrovano prigionieri in un campo. Taluni non possono crederci: non l’avrebbero mai immaginato! Io li ho visti appena sbarcati e nonostante l’inferno vissuto, erano comunque pieni di entusiasmo e di speranza. Qualche mese dopo nel campo erano diventate persone vinte, disperate.
‘Io non sono un criminale, perché vengo trattato così?’- mi sono sentita chiedere tante volte.

D: C’è una cosa che mi incuriosisce: ho letto che – anche se non esiste ancora una specifica ricerca relativa al campo dell’etnopsichiatria – i medici MSF hanno notato sintomi più diffusi in alcune culture rispetto ad altre. Cosa si intende esattamente?
R: Nella mia esperienza posso dire di aver notato sintomi più diffusi in alcune culture rispetto ad altre: le persone provenienti dall’Afghanistan, in generale, soffrono maggiormente di depressione, autolesionismo, crisi epilettiche e svenimenti, mentre tra coloro che provengono dai paesi africani si segnalano più sovente casi di allucinazioni e altri sintomi psicotici.

D: Parlando in generale, possiamo dire che la politica migratoria dell’Europa e della Grecia è purtroppo quella della ‘non accoglienza’…
R: …in effetti punta a rendere difficili le condizioni di vita, in modo da scoraggiare l’arrivo di altri migranti a cercare sicurezza in Europa.

D: Mi pare che il governo di Mītsotakīs si stia muovendo in questa linea su diversi fronti:

  • ha approvato una legge più severa sulla protezione internazionale che ha ridotto la già limitata capacità dei richiedenti asilo di ottenere assistenza sanitaria. La nuova legge prevede altresì che i minori possano essere detenuti e il disturbo da stress post-traumatico non debba più essere qualificato come ‘vulnerabilità’;
    -sta iniziando ad utilizzare anche i centri dove venivano rinchiusi i dissidenti durante la dittatura dei colonnelli (1967-1974);
    -ha deciso lo scorso giugno di riconoscere la Turchia come luogo sicuro, con l’obiettivo di mandare indietro afghani, siriani, somali, pakistani e bengalesi;
    -ha dotato le forze armate che sorvegliano il confine con la Turchia dei cosiddetti ‘cannoni sonori’, violente sirene capaci di raggiungere i 162 decibel, insopportabili per l’orecchio umano abituato a 60 decibel.

E’ proprio vero che…
‘Chi ha paura di voi non vi ha guardato negli occhi.
Chi ha paura di voi non ha visto i vostri volti.
Chi ha paura di voi non vede i vostri figli.
Dimentica che la dignità e la libertà trascendono paura e divisione.
Dimentica che la migrazione non è un problema del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale, dell’Europa e della Grecia.
È un problema del mondo’.
(Patriarca ecumenico Bartolomeo I, Lesbo, 16 aprile 2016
Papa Francesco, Lesbo, 5 dicembre 2021)

Foto:
1) Piedi di un bambino di 8 anni che ha camminato per 150 km con i genitori in agosto per raggiungere la Grecia (Musli Alievski, ‘Stay human’onlus), 2020
2) Campo di Vaiochore : una bimba riposa nella tenda (Musli Avievski, ‘Stay human’onlus), 2020
3) Campo di Moria. Verifica prima della distribuzione di alimenti (Enri Canaj/ Magnum Photos), 2020

Redazione Radici

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