Dèi policefali del pantheon slavo: Cultura e religione dei popoli Slavi

Dèi policefali del pantheon slavo: Cultura e religione dei popoli Slavi

Di Chiara Fiaschetti

Al centro del mondo, per le tribù slave pagane, si ergeva una quercia, l’albero sacro, tra i cui rami si stendevano i tre mondi, quello terrestre, quello celeste e, avvolto tra le radici dell’alta quercia, quello ctonio di Veles, Dio dell’oltretomba.
A proteggere l’albero sacro c’era Triglav, un uomo a tre teste, ognuna rivolta nella direzione dei tre mondi.

Secondo i biografi di Ottone di Bamberga, vescovo che attuò la cristianizzazione degli slavi della Pomerania nell’XI secolo ancora pagani, Triglav veniva rappresentato con una fascia dorata che serviva a coprire gli occhi della divinità, la quale si addolorava per le cattive azioni degli uomini.

Quando Ottone si recò a Volyn, per battezzare gli eretici pagani, i popoli slavi occultarono l’idolo di Triglav e lo donarono a un’anziana donna del posto. L’anziana, per proteggere l’idolo, lo incastonò tra le radici di un albero, così che i fedeli potessero raggiungerlo senza essere visti per pregare.
Ottone venne a sapere delle azioni dell’anziana donna e così incaricò un suo uomo di fiducia che avrebbe dovuto sradicare l’idolo di Triglav. Le radici lo tenevano ben saldo e spostarlo era impossibile. La statua della divinità rimase incastrata tra le robuste radici e così, i pagani continuarono a portargli offerte votive.
Secondo le fonti a Triglav erano dedicati almeno quattro templi raffiguranti cervi, uccelli e uomini, realizzati da mani esperte e devote.
Alcuni studiosi della mitologia slava, avvicinano la figura di Triglav a quella del Dio Svantovit, divinità a quattro teste venerata dalle popolazioni baltiche.

Ognuna delle quattro teste aveva un diverso colore: quella bianca era rivolta a a Nord, quella rossa ad Ovest, quella a Sud era di colore nero e, in fine, la testa verso Oriente era verde.
Saxo Grammaticus, storico danese, nelle Gesta Danorum risalenti al XIII secolo, narra delle conquiste danesi a sud del Mar Baltico e delle guerre contro le popolazioni slave occidentali ancora pagane. La testimonianza di Saxo Grammaticus è fondamentale per la conoscenza delle tribù slave occidentali.
Lo storico menziona l’idolo di Svantovit situato nel tempio di Arkona. Capo Arkona era il centro politico e religioso dei Rani, popolo di Slavi occidentali i quali veneravano una serie di divinità policefale.

La statua di Svantovit aveva in una mano un arco e nell’altro un corno che ogni anno i fedeli riempivano con del vino. Il vino che restava fino all’anno seguente, stabiliva la fortuna della comunità.

All’interno del santuario poteva entrarvi solo il sacerdote, il quale, per non contaminare il luogo sacro, doveva trattenere il respiro.
In un recinto nei pressi del tempio, si trovava il cavallo bianco di Svantovit, il quale lo cavalcava durante la notte per lottare contro i nemici.
Separare gli slavi dalla venerazione di Svantovit fu ardua impresa per i cristiani. Gli studiosi, infatti, credono che Svantovit, dopo la cristianizzazione degli slavi occidentali, sia stato assimilato a San Vito.
Svantovit era connesso alla profezia e alla divinazione, perché era in grado di osservare ogni cosa grazie alle sue quattro teste.
Saxo Grammaticus, racconta che gli uomini, estranei al culto pagano, erano intimoriti da quel Dio sconosciuto. Timorosi di poter destare le ire della Divinità quadricefala, si servirono di alcuni schiavi che vennero incaricati di distruggere l’idolo.

Quando la statua cadde al suolo, i danesi cristiani presero con sé tutto il tesoro accumulato nel tempio.

Redazione Radici

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