Estetica cristiano –medioevale
È fatto che i padri della chiesa sono realmente debitori di molti elementi della loro concezione estetica al pensiero greco, soprattutto là dove ripongono la bellezza nell’unità, nell’armonia, nella congruenza e convenienza delle parti. Per esempio possiamo vedere S. Agostino. S. Tommaso e anche S. Bonaventura che vedono la verità, come una certa autonomia alla valutazione artistica in rapporto all’ agire morale, anche se l’ agire artistico equivale poi ad ogni alta attività produttrice. Direi che il verbo “agire” è la chiave dell’estetica cristiano-medioevale. Nell’opera di S. Tommaso c’è una distinzione tra l’agire e il fare: Il verbo “agire” funziona come condotta morale, e il verbo “fare” come attività artistica. L’arte secondo S. Agostino è necessario oltrepassare l’animo dell’artista, per fissare lo sguardo nella grande armonia sempiterna (cioè il numero) che vive nell’idea divina.(Trascende ergo et animun artificis, ut numerum sempliternum videas.
De libero arbitrio I – II, c.16 n.42.) Cosi secondo S. Agostino la bellezza del mondo è dunque emanazione e riflesso della bellezza di Dio. Con altre parole il mondo deve esprimere la bellezza del Dio. Qui troviamo l’armonia che dice:, “Le cose nel mondo sono tuttavia arte rem nella mente di Dio, e permettono, cosi, all’artista di assomigliare la sua opera quella stessa compiuta da Dio nella creazione.” Secondo l’estetica cristiano-medioevale la bellezza è solo un mezzo per arrivare a Dio. Bonaventura credeva che la bellezza è momento di estasi, attraverso cui l’ anima è “inebriata dallo splendore sopraceleste dei misteri divini” (Bonaventura. Itinerarium mentis in Deo). I misteri divini danno nell’anima la bellezza. L’artista non si pone il problema della somiglianza con la natura, nonostante l’erudizione e l’interesse dei bizantini per le scienze, perché l’immagine deve rappresentare verità eterne. Il centro della rappresentazione diventa il volto, luogo della presenza dello spirito. Nell’estetica cristiana – medioevale incontriamo molte volte un carattere didascalico e moralistico di gran parte, soprattutto di quella patristica è dunque evidente.
A Bisanzio l’estetica medioevale ha nuove forme. Per esempio nell’immagine la carnagione della figura non è più rosea, come nell’antichità, ha toni caldi tendenti all’ocra: l’artista rifiuta di creare l’illusione di una presenza nello spazio naturale, perché la rappresentazione vuole sollecitare un’evocazione interiore. L’attenzione è concentrata sullo sguardo, perché un buon artista deve rappresentare anche l’anima.
Luigi Vassallo scrive per estetica bizantina: «Il concetto di pankalìa (cioè il concetto di bellezza dell’‟universo come un tutto unitario), derivato dagli Stoici, assume un nuovo significato con l‟innesto dell’“idea” di Dio: il mondo è bello sì, ma non in se stesso; è bello perché è opera di Dio. Se l‟universo è bello perché è opera d‟arte di Dio si profila un‟identificazione tra bello e arte, con un superamento della distinzione tradizionale nella cultura antica. L’arte ha valore se avvia il pubblico alla contemplazione e all’“imitazione” di Cristo e dei santi: pertanto l’‟arte che interessa ai padri della Chiesa non è un‟arte che afferma la propria autonomia, ma un‟arte con capacità illustrative e didascaliche.» Possiamo dire che il concetto estetico di Bisanzio è la filocalia prima e poi la pankalia. Filoκalia (in greco Φιλοκαλείν, letteralmente, amore della bellezza) è una raccolta di testi di ascetica e mistica della Chiesa cristiana ortodossa. La parola pankalia la troviamo soprattutto nel pensiero di Tommaso, quando parla di gloria di Dio. Tommaso considera che la “pankalia”, è insieme splendore, diffusione, fascino e richiamo universale verso la “bellezza” di Dio, il “Πάγκαλος” secondo Tommaso si chiama il Dio “pulcherrimus et superpulcher”, “supersubstantiale pulchrum” e (“pulcherrimus”: come dentro di tutti i generi; “superpulcher”: come straripando ogni genere).
Anche Luigi Vassallo scrive: «San Basilio ha un‟idea del bello che richiama, per certi aspetti, un‟idea greca antica (il bello come relazione tra le parti) e, per altri aspetti, l‟idea neoplatonica di Plotino (il bello non è sempre relazione di parti, è anche semplice). Nel tentativo di conciliare queste due diverse idee del bello, Basilio introduce un fattore soggettivo: la bellezza esiste nel mondo esterno sotto forma di luce, di colore, di forma e, tuttavia, per essere colta occorre la vista. Da questo punto di vista, il pensatore religioso è quello che vede più lontano e in profondità, perché sposta l‟attenzione dal mondo esterno a quello interno, dall’“oggetto al soggetto.” Anche sulla specificità della bellezza Basilio si sforza di conciliare due idee diverse ereditate dalla tradizione greca: la bellezza come proprietà delle cose e la bellezza come appropriatezza allo scopo… Ma anche per Pseudo- Dionigi la bellezza del mondo è una proprietà oggettiva del mondo non in sé ma in quanto opera di Dio: ne consegue che la bellezza del mondo è un riflesso della bellezza di Dio… Il valore dell’arte secondo San Basilio, non può più essere misurato nella conformità alla natura ma va individuato nella conformità alla bellezza perfetta che è quella spirituale… Anche la musica, in generale, appare sospetta ai cristiani perché il canto distrae dall’“ascolto in silenzio di Dio”. Ma sulla musica Basilio ha una posizione più conciliante e la riconosce come possibile veicolo della propagazione della fede.»
Però l’estetica bizantina è la Filokalia, quando la bellezza attrae, cioè attira, provoca il desiderio di relazione di partecipazione, di comunione, di congiunzione, di essere –insieme. Qui troviamo l’elemento attrattivo che potrebbe essere ogni esperienza di bellezza. La dinamica dell’attrazione è una dinamica della chiamata –alla- relazione salvaguarda anche l’alterità assoluta con la quale la bellezza è vissuta come esperienza soggettiva. La bellezza può essere vissuta dal grado dell’interesse edonistico al grado della più piena autotrascendenza, proprio come ogni avvenimento di relazione. E la Filoκalia vuole la bellezza come autotrascendenza. Ecco perché Pavel Florenskij (Le porte regali, Edizione Adelfi) sostiene che il contenuto spirituale dell’icona secondo estetica bizantina non è qualcosa di nuovo rispetto all’originale, ma l’originale stesso, l’immagine non deve perciò essere considerata una semplice rappresentazione dell’originale, ma un’evocazione una porta attraverso cui Dio entra nel mondo sensibile. Mentre le immagini dell’Occidente per esempio le pitture a olio su tela sono come dice Florenskij terrene e carnali caratterizzate dalla massima succulenza sensibile, esse costituiscono la testimonianza più chiassosa possibile su se stesse. Con altre parole l’arte tra Filokalia o Pankalia può funzionare come gratificazione sensibili passeggera inspiegabile nelle sue cause.
Apostolos Apostolou. Professore di Filosofia.
Redazione Radici