La crisi tra Russia e Ucraina, la debolezza dell’Europa e il ruolo della Cina
Nelle ultime settimane le tensioni sul fronte russo-ucraino sono tornate minacciosamente ad aumentare. Gli Stati Uniti di Joe Biden, sovrani dell’assente politica estera europea, hanno promesso di inviare qualche migliaio di uomini in Europa Orientale per difendere gli interessi americani nei Paesi NATO, anche se per ora viene escluso – almeno ufficialmente – qualsiasi loro impiego all’interno degli affari del Paese di Zelenskyy. La Russia di Putin, dal canto suo, non retrocede di un passo, anzi. Sul fronte ora si contano circa 130 mila uomini dispiegati, tra mezzi corazzati, meccanizzati ed unità speciali. I tentativi di risolvere la crisi diplomaticamente sono tutti, per ora, andati in fumo. La questione è seria e, come sempre accade quanto c’è di mezzo la risoluzione di questioni internazionali, l’Europa non muove un muscolo.
Il precipizio è vicino, anche se l’invasione russa, data da Biden e dall’intelligence statunitense come certa prima a dicembre, poi a gennaio e infine a febbraio, non c’è. Nel frattempo i telegrammi fanno avanti e indietro dall’Atlantico e, tra una smentita e l’altra, nessuno pare retrocedere dalle proprie posizioni. D’altronde sia Putin che il suo omologo americano si sono spinti fin troppo in là per chiudere la faccenda come se nulla fosse accaduto. Il russo non può spingere più di tanto sull’acceleratore del gas – ci sono i contratti da rispettare – mentre l’americano non può mantenere una promessa che darebbe al Cremlino la possibilità di intervenire ufficialmente – cioè far entrare l’Ucraina nella NATO. Cosa fare per uscire da uno stallo che diventa ogni giorno sempre più pericolo e destabilizzante?
A prescindere dalle possibili risposte che si possono dare a questa domanda, c’è un attore che avrebbe le potenzialità per mediare tra i due giganti ma che, per forza di cose, è del tutto inadeguato ad agire. Si tratta dell’Unione Europea.
Sprovvisto da sempre da una qualsivoglia predisposizioni per la politica estera e da sempre prono alle direttive che arrivano da Washington o, se del caso, dalla Berlino di Angela Merkel, Bruxelles si ritrova, ancora una volta, invischiata in una situazione che avviene a ridosso dei suoi confini e che potrebbe pregiudicare il fragile equilibrio creatosi in Europa Orientale all’indomani della caduta del muro di Berlino.
D’altro canto, ciò che non rende tranquillo Putin non è tanto l’interesse delle minoranze russofone in Crimea e nel Donbass, anche se non si può mettere in dubbio l’importanza che queste rivestano nella propaganda russa, ma il fatto che NATO e UE siano quasi la stessa cosa e vadano nella stessa direzione. Esiste un problema di sicurezza di fondo che lo zar del XXI secolo non può di certo ignorare. Basterebbe aprire una cartina geografica per comprendere quanto il senso d’accerchiamento, da sempre uno dei topos geopolitici della Russia, sia sentimenti più vivi e vividi della politica estera di Mosca. Dopo la fine della Guerra fredda gli europei hanno fatto incetta delle ex repubbliche sovietiche, diminuendo drasticamente la zona d’influenza dell’ex impero sovietico e, di conseguenza, le zone cuscinetto che garantivano una certa distanza tra la madrepatria russa e l’Occidente europeo filo-americano. A Mosca questo sentimento vive e si nutre del timore che le armi di Bruxelles e di Washington siano troppo vicine al cuore del Cremlino.
Ciò spiega l’avversione di Putin all’entrata dell’Ucraina nell’Unione Europea e nella NATO. Non si tratta di argomenti estranei a Biden, ad Angela Merkel e ai leader euopei, sia chiaro, ma le promesse fatte nel 2008 dagli americani agli ucraini hanno mantenuto vivo e hanno alimentato i timori dei russi che, prima o poi, qualcuno facesse un passo in questa direzione. Fino ad ora non è accaduto nulla, ed è improbabile che accada anche nel prossimo futuro. L’Ucraina, come già più volte ripetuto, ha la stessa funzione che svolgono la Bielorussia e la Transnistria, cioè “garantire l’ossigeno” alla politica estera di Mosca. Ovviamente in questa discussione si collocano anche le scarse simpatie di Putin nei confronti del sistema dei valori democratici garantito dall’Unione Europea, considerato una mera provocazione che lo zar cerca di osteggiare con ogni mezzo appoggiando partiti euroscettici e attacchi hacker.
In questo frangente si colloca anche un altro protagonista “inatteso”, la Cina di Xi Jinping. Con l’ingresso della Repubblica Popolare nel gioco russo-ucraino, le cose potrebbero cambiare profondamente. Putin e Xi si sono avvicinati molto nel corso degli anni, tanto da aver avviato una collaborazione energetica culminata nella costruzione di un enorme gasdotto (“Power of Siberia” a cui seguirà un “Power of Siberia 2” sulla falsariga del Nord Stream 1 e 2) ma fino ad oggi non esiste una vera e propria alleanza militare. Inoltre quello tra i due Paesi non è nemmeno un rapporto paritario, dato che è sbilanciato profondamente dalla parte di Pechino, la quale possiede un’economia più grande e solida e una proiezione globale di gran lunga superiore a quella di Mosca.
Non c’è dubbio, però, che il recente interessamento alla vicenda ucraina da parte del leader cinese, il quale avrebbe spinto all’acquisto da parte della borsa merci cinese Bohai Commodity Exchange circa il 50% della Borsa di Kiev, sia un segnale importante. La Cina è il principale partner commerciale dell’Ucraina e, nonostante i buoni rapporti con Putin, ha deciso di restare neutrale nella crisi. Ma in caso di conflitto, quanto a lungo questa neutralità sarà mantenuta? E quale ruolo assumerà Pechino nella gestione della crisi?
Il fatto che il ministro degli Esteri cinese Wang Yi si senta telefonicamente sia con i russi che con gli americani potrebbe fornire più di un indizio circa il ruolo che Pechino vorrebbe svolgere nella controversia. Una settimana fa da Washington era giunta la richiesta di “usare l’influenza cinese” nei confronti di Putin. In sostanza, ai cinesi non converrebbe un’Ucraina a pezzi e un’Europa in fiamme e ciò nonostante sia grande il desiderio cinese di vedere gli americani coinvolti a Kiev e distratti su altri fronti. L’instabilità non fa bene agli affari (ricordiamo inoltre che anche l’Ucraina e coinvolta nella BRI).
Ovviamente, nel caso in cui Putin decidesse di invadere l’Ucraina, anche la Cina si troverebbe in difficoltà: aiutare una Russia sanzionata, oppure adeguarsi al sistema economico-finanziario occidentale e rompere con Mosca. Nel primo caso le conseguenze commerciali ed economiche sarebbero rilevanti per un’economia in ascesa come quella cinese e interessata al mercato UE. Nel secondo caso, però, la partnership con Mosca subirebbe una battuta d’arresto quasi decisiva. Per ora la via diplomatica sembrerebbe quella maestra ma per avere conferme occorrerà aspettare la fine delle Olimpiadi di Pechino (20 febbraio), cioè il periodo in cui si teme che Putin mobiliterà le truppe (come nel 2008, quando mosse guerra alla Georgia il giorno in cui si aprirono i giochi olimpici).
Se Pechino riuscisse sbloccasse la situazione, però, ad uscirne a pezzi sarebbe ancora una volta l’Europa che si confermerebbe come il “ventre molle” dello scacchiere geopolitico globale, incapace di risolvere una crisi alle sue porte. La Germania e la Francia sono alle prese con il recente cambio di governo e con un’elezione per nulla semplice in primavera, mentre Bruxelles brancola nel buio con la transizione energetica che non piace a nessuno, soprattutto ai produttori di petrolio. Anche Roma non se la passa bene, ma questa non è una novità, soprattutto quando (non) si parla di politica estera. Per il futuro dell’Unione, però, urge prendere una posizione autonoma dai desiderata di Washington, soprattutto per dimostrare che, in fondo, gli interessi europei non sono soltanto quelli circoscrivibili alle questioni economiche ed energetiche (il gas) ma anche diplomatiche. D’altronde si sta parlando di una crisi che tocca direttamente i confini. Per uscire da quel guscio poco lusinghiero del “gigante economico e nano politico” occorre coraggio, occorre cioè una politica estera degno di questo nome.
*Classe 1997, ha conseguito la laurea in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali e frequenta la magistrale in Sistemi di Governo alla Sapienza di Roma. Appassionato di storia, politica e attualità, scrive articoli e cura rubriche per alcune testate italiane e internazionali.