Nel 2002 il filosofo Roberto Esposito scrisse un libro intitolato “Immunitas”, in cui sosteneva che il bisogno di difendersi da un contagio, e quindi di immunizzarsi, caratterizzava tutti gli aspetti della nostra esistenza. Esposito osservava i diversi fenomeni sociali, la ricerca spasmodica dell’identità, osservava la vita che per sfuggire alla presa della morte era costretta a incorporarne il principio e non sapeva che, vent’anni dopo, la propensione della società immunizzarsi avrebbe superato ogni immaginazione.
Esposito torna sul tema con un nuovo libro pubblicato da Einaudi, questa volta con il titolo “immunità comune”. E’ una riflessione su medicina e diritto, sulle prerogative di entrambi e sul loro difficile rapporto.

Sullo sfondo c’è la guerra per il controllo dei vaccini, un affare non solo sanitario ma anche strategico nella definizione dei nuovi equilibri geopolitici mondiali.
Se ne occupa anche Silvio Garattini, fondatore dell’Istituto Mario Negri, che per Il Mulino firma un libro, “Brevettare la salute”, che è un appello a rivedere l’istituto della proprietà intellettuale in campo medico.

Nella conversazione con Caterina Visco, il decano della farmacologia italiana spiega perché non è vero che il brevetto sia indispensabile per coprire le spese dell’innovazione, visto che per produrre nuovi farmaci è spesso sufficiente acquisire i risultati ottenuti da laboratorio esterni, che quando sono pubblici vengono finanziati da noi.

Garattini, 93 anni, immagina un futuro in cui tutti possano godere dei frutti della scienza e della tecnologia, eludendo il pedaggio salato che il mercato ci chiede.