Il cliente è il nostro ultimo giudice: Intervista (quasi) rubata con Carlo Cracco

Il cliente è il nostro ultimo giudice: Intervista (quasi) rubata con Carlo Cracco
Di Giangi Cretti 
“Un pezzo della sua popolarità presso il grande pubblico la deve al fatto di essere diventato anche un personaggio tv come giudice di una delle trasmissioni dedicate alla cucina che negli ultimi anni sono andati via via moltiplicandosi. Ma i buongustai non è da questo che sono attirati, quanto dalla sua cucina: di certo fra le più creative tra quelle celebrate non solo a Milano, dove il suo ristorante ha trovato nuova sede in Galleria Vittorio Emanuele, in un prestigioso ed elegante locale disposto su 5 piani”.
“Formatosi, come detto, con Gualtiero Marchesi, si è affinato con stage da Ducasse a Montecarlo e Senderens a Parigi, prima di approdare a Firenze all’Enoteca Pinchiorri. Segue il ritorno da Marchesi, all’Albereta di Erbusco, e poi il percorso in solitaria con base a Milano e propaggini a Mosca e, recentemente, ma solo d’estate, a Portofino. Ho avuto il piacere di gustare la sua cucina in occasione della premiazione dei Numeri UNO a Berna, dove è stato invitato dall’Ambasciatore d’Italia in Svizzera, in concomitanza con la Settimana della cucina italiana nel mondo. Sono riuscito a distrarlo per qualche minuto dai fornelli per una rapida intervista.

D. Lei si forma nella cucina di grandi chef: Gualtiero Marchesi, Alain Ducasse, solo per citare i più conosciti anche fra i profani. Cosa deve a questa tradizione gastronomica, per quanto riguarda la sua formazione?

R. Io ho avuto la fortuna di approcciare questi maestri quasi agli inizi della mia carriera… quindi l’opportunità è stata quella di una crescita che si è consolidata in un momento storico che ha caratterizzato la nostra cucina e che la trasformazione che poi ha contraddistinto tutti gli anni a venire. Una fase importante, nella quale la cucina stava cambiando in maniera molto radicale in Italia e della quale uno come Gualtiero Marchesi è stato il precursore.
D. Lei ha avuto questa opportunità. Oggi lei ne vive un’altra, oltre a quella che è il suo lavoro di chef celebrato e riconosciuto, in quella che da fuori sembra essere l’iter formativo dei nuovi talenti: passare attraverso programmi televisivi. Insomma un percorso profondamente diverso dal suo e da quello si è soliti pensare. Apparire in tivù è davvero non è solo un modo per arrivare alla notorietà, generalmente temporanea, mentre le basi per acquisire una solida professionalità sono altre? 

R. No, non c’entra nulla. La televisione è un altro mestiere, chi va in televisione va per altri motivi. La formazione rimane quella classica. Perciò lavoro, lavoro e ancora lavoro in ristorante, girare il mondo, conoscere culture e cucine diverse, fare esperienze diverse.
D. Il fatto è che lei si presti, il suo nome, la sua fama e la sua reputazione in queste trasmissioni…

R. È un altro aspetto diverso da quello professionale, è servito a traghettare la cucina e farla conoscere al grande pubblico ma non sicuramente a selezionare dei ragazzi da seguire poi nel lavoro.

D. Quindi la professione viene ancora acquisita ai fornelli…

R. È un percosro molto semplice, quasi amatoriale e poi chi ha le capacità, i numeri e la passione vera va avanti… ma sono sempre molto
pochi.

D. Lei è arrivato in vetta…

R. diciamo che ci provo…

D. …beh la sua storia è ormai decennale… Sicuramente è faticoso arrivarci, ma molto più faticoso sembra essere rimanerci. Se pensiamo anche l’esperienza di alcuni dei suoi colleghi abbastanza famosi, i quali, forse presi da una certa ansia da prestazione, quando si sono visti togliere magari una stella o un riconoscimento, sono andati in depressione che per alcuni è finita in tragedia. 

R. Sicuramente il mestiere di cuoco è un mestiere abbastanza usurante e difficile. Arrivare in cima si arriva, rimanerci è un po’ più complicato. Però, quello che poi è più importante è il lavoro che determina la professionalità. Inoltre il cliente è il nostro ultimo giudice. Se il ristorante funziona e la cucina è buona non c’è motivo di buttarsi giù. È ovvio che le guide possono esser di stimolo e giocare un ruolo importante, ma non sono certamente tutto.

D. Come esce la gastronomia italiana da questo periodo di pandemia?

R. Ne esce con le ossa un po’ più fragili. Sicuramente quello che precedeva la pandemia è stato un momento importante di grande sviluppo e fermento. Ora ci sono un po’ di riposizionamenti dei ristoranti, poi vedremo quanti e quali riusciranno a recuperare e a rimanere tali. Però, come detto tutto il settore ne esce un po’ più fragile.

D. Lei si è impegnato e si sta impegnando per cercare un aiuto pubblico, del governo…

R. … oltre a fare il resto faccio anche quello…

D. Con quali speranze?

R. No, no io non ho speranze. Io non vivo di speranze io vivo di lavoro e l’idea è quella di cercare di ottenere una struttura snella ma competente presso il Ministero (dell’agricoltura – ndr), dove noi possiamo interfacciarci e soprattutto migliorare quelle che sono oggi le condizioni lavorative, burocratiche e fiscali. Basta pensare, in termini di sostegno pubblico, a quello che hanno ricevuto i nostri colleghi in Svizzera, in Germania, rispetto a quanto ricevuto in Italia. È sufficiente questo piccolo paragone, per constare che noi non siamo molto tutelati, perché noi non abbiamo nessuna forma di sindacato o di associazione di categoria che in qualche modo ci aiuti e ci supporti. Per cui stiamo cercando di crearla attraverso un registro della ristorazione, attraverso delle leggi e anche con il contributo dello stato in modo da creare la struttura per poi dare, non tanto un aiuto economico perché non è quello di cui abbiamo bisogno, ma un vero e proprio nel riconoscimento di questo lavoro, e della nostra professione”.

(Ospite a Berna, Carlo Cracco è stato intervistato da Giangi Cretti per “La rivista”, trimestrale della Camera di Commercio Italiana in Svizzera che dirige a Zurigo)

Redazione Radici

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