La tesi dell’esperta, intervistata dall’agenzia Dire, è che dopo un anno segnato da tensioni anche internazionali, in nessuna delle quattro macroregioni del Paese la pace con la Russia sia più considerata accettabile “a ogni costo”. “Stando a una rilevazione condotta a dicembre e pubblicata pochi giorni fa”, sottolinea Zolkina, “appena l’8 per cento degli intervistati ritiene che rinunciare alla prospettiva di un’adesione all’Alleanza atlantica possa garantire la pace nel Donbass”.
A organizzare il sondaggio è stato un istituto, la Fondazione iniziative democratiche, che dalla sua nascita nel 1992 si impegna per “un’integrazione europea ed euro-atlantica dell’Ucraina”. La prospettiva sarebbe però quello di una ricerca “indipendente” e “guidata dai dati”. Dai numeri riparte Zolkina, intervenuta di recente con un suo commento sul quotidiano Financial Times.
“Anche nelle regioni del sud e nell’est dove si parla il russo la gente comincia ad accusare di meno gli oligarchi ucraini e di più Mosca per il conflitto esploso nel 2014″ dice l’esperta. La sua tesi è che il mutamento riguardi anche i distretti a ridosso del confine con le repubbliche di Lugansk e Donetsk, che nel Donbass si sono proclamate indipendenti da Kiev. “Rispetto al 2020 è aumentata la quota di chi non parla di guerra civile ma di un conflitto provocato da Mosca” dice Zolkina. “E’ la prova che la propaganda del Cremlino non porta risultati e che in qualche caso è addirittura controproducente”.
Il conflitto nel Donbass, nell’est dell’Ucraina, è cominciato dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia nel marzo 2014. Secondo l’Ufficio dell’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani (Ohchr), a oggi sono state uccise oltre 14mila persone, tra le quali circa 3mila civili. Oltre 7mila i feriti. Secondo stime del governo di Kiev, a causa delle violenze le persone sfollate all’interno dell’Ucraina sono un milione e mezzo.