Sulla banalità della realtà
Di Daniela Piesco Vice Direttore Radici
Banale è un aggettivo d’origine francese che, etimologicamente, significa ciò che è “comune a tutto il Villaggio”. Definisce, nella traduzione nella lingua italiana, tutto ciò che di scontato conosciamo per esperienza e che, quindi, è irrazionale discutere, non perché sia un dogma ma esattamente per il contrario: perché il tempo lo ha reso vero al di là di ogni ragionevole dubbio.
La forza di gravità, il movimento d’inerzia, sono fenomeni banali, in natura, proprio perché il discuterli è irrazionale, scontato, privo di originalità. La banalità è irreparabile perché non è suscettibile di trasformazione, manca di prospettiva, preesiste al momento.
Per capirci vorrei farvi leggere dei versi di Bertolt Brecht. “Vescovo, so volare”, il sarto disse al vescovo. “Guarda come si fa!” E salì, con arnesi che parevano ali, sopra la grande, grande cattedrale. / Il vescovo andò innanzi. “Non sono che bugie, non è un uccello, l’uomo: mai l’uomo volerà”, disse del sarto il vescovo. / “Il sarto è morto”, disse al vescovo la gente. “Era proprio pazzia. Le ali si son rotte e lui sta là, schiantato sui duri, duri selci del sagrato”. “Che le campani suonino. Erano solo bugie. Non è un uccello, l’uomo: mai l’uomo volerà”, disse alla gente il vescovo.
Nel dialogo si confrontano due ideologie: una laica e l’altra religiosa. Ambedue provano a sostenere i loro rispettivi torti.
Aveva torto il sarto perché l’uomo non è un uccello. Aveva torto il vescovo perché l’uomo oggi vola.
Per volare, però, si è dovuto inventare un artificio: l’uomo vola, a dispetto del vescovo, ma non lo ha fatto, a dispetto del sarto, seguendo i trattati di ornitologia.
La realtà è tsumanarai : banale, insignificante,sconsolata
Ci sono autori che scrivono poesie per generare immagini esteticamente piacevoli e ci sono autori che si divertono a nascondere messaggi all’interno dei propri versi. Poi c’è Nishiwaki
Junzaburō (1894-1982), un poeta giapponese attivo nel ventesimo secolo che rientra in entrambe queste categorie.
Nishiwaki dice che la realtà è banale: usa una bellissima parola giapponese: tsumaranasa.La realtà è tsumanarai : banale, insignificante,sconsolata.
Ma la poesia deve partire da questo,deve essere fondata sulla realtà.Anzi la poesia per il poeta giapponese sarebbe nostalgia proprio di questo silenzio,di questa insignificanza che è dentro alle cose.Perché la realtà viene vissuta come una leggera tristezza e non come il moltiplicarsi della foresta ariostea.
Ma come può essere insignificante il fruscio delle onde?
Non è forse vero che,per dirla con Wallace Stevens ‘uno guarda il mare /come uno improvvisa al pianoforte‘ ?
La poesia non può avere come scopo l’estinzione
Poesia non è solo il poetare, poesia è il suono di tutte le muse:la danza, la storia, la lirica, la tragedia, che penetrano in noi e vibrano insieme a noi, insieme all’Homo poeticus, alla scintilla divina di ognuno.
La metafora è quell’immagine, quella similitudine che mostra il legame tra tutte le cose. È attraverso la metafora che ci si può collegare con tutto il cosmo. La poesia che penetra in noi è lo specchio del mondo esterno, la poesia che nasce da noi è lo specchio di te stesso. Il poeta divinatore è posseduto dal dio e vede verso fuori, vede verso dentro e mostra questo suo specchio. La sua poesia.
Questo vedere è un rituale iniziatico verso i mondi interiori di cui il mondo esteriore è solo un riflesso.
Come l’amante si apre all’amata, così il poeta, si apre nel più profondo, lì dove è più vulnerabile.
‘Quando ti apparirà chiara la banalità della vita..’
Nascere e scoprire
quello che altri hanno già scoperto;
soffrire
per ciò che altri hanno già sofferto;
godere e perdere
ciò che altri hanno già goduto e perso,
come la stessa canzone
composta e cantata;
come una poesia
già scritta e riletta.
Perché le stagioni
sono sempre quattro.
Perché dopo la pioggia
viene sempre il sole.
E quando sembrerà che tutto abbia perso di significato
e quando ti apparirà chiara la banalità della vita,
allora incontrarla
è come un miracolo;
vedere un mondo diverso
attraverso i suoi occhi,
attraverso il suo cuore:
scoprire che ogni cosa è nuova,
bella, intensa, ancora da vivere.
Perché in fondo la banalità della vita è tutta qua:
vedere con nuovi occhi,
ciò che è sempre stato lì
e scoprire che è ancora lì…
nonostante tutto…(Stefano Crifò)
Vivendo una nuova vita,
mai più banale…
Anche oggi assistiamo ad un dialogo simile tra coloro che credono al progredire inarrestabile dei rapporti tra esseri umani diversi, etnie diverse, società culturalmente diverse, religioni diverse e coloro che credono al fatto che ciò non sarà mai possibile. Hanno torto entrambi come già lo ebbero il sarto e il vescovo. Hanno torto non perché mancano di motivi per affermare ciò che dicono, ma perché ignorano le banalità della realtà. Esse si manifestano da sempre, in questo senso, attraverso travagli sociali che lentamente, con il tempo, con i sacrifici, giungono ad un nuovo assetto sociale in cui le originarie etnie e diversità diventano non confuse e non divise generando una novità.
Ciò che è banale può essere solo ed esclusivamente governato, guidato, condotto verso finalità e valori positivi, con difficoltà, ingegno, modestia e tempo.
C’è poi chi non ama prescegliere alcun traguardo verso cui dirigersi,ma preferisce con torbido sbadiglio,abbandonarsi al destino,tanto da ritenere quanto mai vero ciò che disse,quasi oracolarmente il massimo dei poeti :
‘Esigua è la parte di vita che viviamo.Tutto lo spazio che rimane della vita stessa non è infatti Vita,ma solo tempo “.Seneca,la brevità della vita.
Daniela Piesco
Redazione Radici
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