Tra i “luoghi della memoria” degli italiani, ovvero le reminiscenze collettive che incarnano il senso profondo della nostra identità nazionale, lo storico Mario Isnenghi ha voluto inserire anche due libri per ragazzi come “Pinocchio” e “Cuore”.

Di sicuro, questi due classici sono luoghi della memoria anche per il professor Giampaolo Borghello, che per Marsilio ha pubblicato un breve saggio di critica letteraria in cui si respira in ogni singola pagina la passione dell’autore verso i due testi: “Ho cominciato parecchi anni fa a studiare Le avventure di Pinocchio di Collodi e Cuore di De Amicis, colpito dalla vicinanza cronologica delle due opere: 1883 per la prima e 1886 per la seconda” scrive Borghello in apertura di un libro che appare davvero scritto con il “cuore”.

Due best seller di fine Ottocento, definisce l’autore i libri di Collodi e De Amicis, che, come diceva Luciano Tamburini, grande studioso dell’opera di De Amicis, “hanno coinvolto gli animi d’ogni ragazzo o non ragazzo del mondo”. Quindi, ben al di là dei confini della letteratura per ragazzi e ben al di là dei confini del Belpaese.

In “Pinocchio, Attila e oltre. Viaggiando tra Pinocchio e Cuore” (pp. 72, euro 14) – sveleremo in seguito le ragioni di questo titolo un po’ curioso – Borghello, già ordinario di Letteratura italiana all’Università di Udine e una laurea honoris causa dall’ateneo ungherese di Szeged, ripercorre le complesse vicende editoriali dei due testi.

DUE SUCCESSI PLANETARI. Nel 1923, con due milioni di copie vendute, Pinocchio supera largamente Cuore; nel 1937, poi, è addirittura Benedetto Croce a consacrare l’opera di Collodi nel pantheon della letteratura: oggi, come rimarca il professor Borghello, Pinocchio è forse il libro laico più venduto al mondo, dopo Bibbia e Corano.

D’altro canto, nel 1902 De Amicis può contemplare le numerose edizioni straniere di Cuore in una sezione speciale della sua biblioteca. Entrambe le opere, nell’economia dei percorsi dei rispettivi autori, appaiono un po’ casuali e impreviste.

Pinocchio, prima di diventare un volume, viene pubblicato a puntate sul Giornale per i bambini, ripreso per ben due volte dopo che Collodi ne decreta la fine, a causa delle richieste dei lettori: “Ti mando questa bambinata”, è la frase che scrive Collodi all’editore della rivista e che dimostra quanto poco l’autore stesso confidi nell’opera. Anche per questo, l’avvertenza di Borghello è quella di non lasciarsi sedurre dalle letture più svariate che nel corso del tempo sono state sovrapposte a Pinocchio (da quella psicoanalitica a quella religiosa), di non inquadrare Collodi come un “dotto professore di letterature classiche, moderne e comparate”, sottolineando inoltre come per “interpretare correttamente il testo senza forzature sia necessario procedere a un’attenta storicizzazione”.

Dell’idea di Cuore, invece, De Amicis parla già all’editore Treves nel 1878. Il lancio del libro avviene il 15 ottobre 1886, proprio il giorno di apertura delle scuole.

Il successo è immediato e travolgente: la cronaca diaristica di un anno scolastico a Torino, narrata dallo scolaro Enrico Bottini (a cui si intersecano le lettere dei genitori e della sorella Silvia e gli undici racconti che allargano l’orizzonte alla realtà presente e all’eredità risorgimentale) diventa subito familiare per i giovani lettori, che generazione dopo generazione fanno la conoscenza di Franti e Garrone.

A mo’ di sineddoche, la scuola rappresenta la parte per il tutto, nonché la grande protagonista dello sforzo di unificazione del Paese nei decenni postunitari.

I PANINI IMBURRATI. Se nel primo capitolo Borghello ripercorre assai gradevolmente le fortune editoriali dei due testi, altrettanto godibili sono gli altri due capitoli. Il secondo è una “noterella” dedicata alla questione dei “quattrocento panini imburrati”: alla fine del XXIX capitolo, la Fata per festeggiare la metamorfosi di Pinocchio da burattino a “ragazzo perbene” fa preparare 200 tazze di caffè e latte e 400 panini imburrati.

Proprio con questo lieto fine si interrompe per la seconda volta la narrazione di Collodi sul Giornale per i bambini.

Cinque mesi dopo, però, l’autore riprende il racconto e Pinocchio, seguendo Lucignolo nel Paese dei Balocchi, rovina il lieto fine.

Ma se chiudendo la seconda tranche della narrazione Collodi parla di “quattrocento panini imburrati di sotto e di sopra”, alla ripresa i panini diventano imburrati di “dentro e di fuori”.

Una discrepanza ‘gastronomica’ che genera un dissidio interpretativo nella storia editoriale del testo, affrontata e ripercorsa in maniera davvero ‘gustosa’ da Borghello, che chiude invece il suo libro con un capitolo dedicato alla presunta “riabilitazione di Attila” da parte di Collodi.

RIABILITARE ATTILA? Il mostro marino evocato nelle Avventure di Pinocchio è definito “l’Attila dei pesci e dei pescatori”, in quanto non inghiotte solo i pesci ma anche chi li pesca. Il condottiero degli Unni, il “flagello di Dio”, torna a più riprese nelle opere dello scrittore e giornalista fiorentino, sul filo dell’ironia e dell’ambiguità: Collodi ricorre perfino all’espediente letterario di trovare una lettera dello stesso Attila nella sua camera.

Una missiva che rappresenta un rimbalzo dissacrante tra passato e presente, che punge tra gli altri il non amato Giuseppe Verdi, reo di aver fatto interpretare l’Unno a un basso e non a un baritono. Un modo per ironizzare sulla tendenza modaiola della “riabilitazione”, molto viva evidentemente ai tempi di Collodi.

Una tendenza, viene da pensare, che interessa anche i nostri giorni, basti pensare alla nostalgia della Prima repubblica o alla rivalutazione di certo cinema trash.

CINEMA E TV. Uscendo fuori dal perimetro del saggio, i decenni a noi più vicini hanno visto una vitalità mai sopita di Pinocchio: dalle edizioni illustrate dell’opera si è infatti arrivati alle trasposizioni su grande e piccolo schermo, dal film d’animazione della Disney del 1940, a quello di Benigni del 2002 fino a quello di tre anni fa di Garrone.

Indimenticabile per il pubblico italiano lo sceneggiato televisivo di Luigi Comencini del 1972, con un superbo Nino Manfredi nei panni di Geppetto. Un mito, quello di Pinocchio, che continua a vivere nelle sue “varianti”, per dirla alla maniera di Claude Lévi-Strauss. La vitalità di Cuore non è certo paragonabile al libro di Collodi, sebbene vadano menzionati almeno il film del 1948 diretto da Dulio Coletti e Vittorio De Sica (che interpreta anche il maestro Perboni), una miniserie sempre di Luigi Comencini del 1984 (con Johnny Dorelli nei panni di Perboni) e un’altra più recente del 2001.

FRANTI DA ELOGIARE? Su Cuore, rispetto a Pinocchio, il passare del tempo e il mutare di sensibilità hanno infierito molto di più, come certi giudizi pesanti, che sembrano un po’ il contraltare di quello con cui Croce consacra Pinocchio.

Umberto Eco scrive infatti un “elogio di Franti”, trasformando in eroe l’anti-eroe del romanzo di De Amicis. L’autore del Nome della Rosa ritiene Cuore un “turpe esempio di pedagogia piccolo borghese, classista, paternalistica e sadicamente umbertina. Pound, che biograficamente era fascista, scrisse un tipo di poesia che Hitler, se l’avesse conosciuta, non avrebbe potuto fare a meno di bruciare; De Amicis, che era socialista ed ebbe le lodi di Turati, scrisse un libro in cui tutte le tare del costume italiano prefascista (e spesso protofascista) venivano magnificate e proposte ad esempio ai giovinetti”.

Ed Eco avanza l’ipotesi che Franti, “simbolo di un’Italia subalterna e umiliata, spinta fuorilegge dal perbenismo di classe, si riscattasse all’alba del secolo esercitando col nome d’arte di Gaetano Bresci”, l’anarchico venuto dall’America per uccidere il re Umberto I al principio del ‘900. Chissà se anche qui non ci sia l”eco’ della tendenza alla riabilitazione su cui ironizzava Collodi… Sicuramente non è su questa linea il giudizio di Borghello, secondo cui “per affrontare ai nostri giorni correttamente la lettura e l’interpretazione di Cuore” è “necessario tener sempre ben presenti questi due parametri: Cuore è un testo di edificazione e un libro ‘strappalacrime’.

L’edificazione consiste nell’esortare costantemente al rispetto del prossimo, al bene e alla virtù; oggi, come sappiamo, si parla spesso con sufficienza e ironia di ‘buonismo’: io invece credo che non sia da sottovalutare o da disprezzare la vecchia e storica categoria dell’edificazione”, mentre per “strappalacrime insisterei anche qui su una nozione stabile e pacifica, senza nessuna venatura ironica o polemica. Diciamo che, nello snodarsi di Cuore, gioca una componente genuinamente sentimentale, emotiva, educativa, pedagogica”.

E poi la centralità della scuola nella società, che rappresenta il “cuore” del romanzo. Un valore sempre più attuale, tutt’altro che “sadicamente umbertino”…  E siamo sicuri che Franti, invece di esercitare con il nome d’arte di un rivoluzionario in lotta per una società migliore, non si celi dietro i bulli, i prepotenti e i furbi che animano le cronache, non solo scolastiche, di questo bellissimo e disgraziato Paese?(© 9Colonne )