Il ruolo marginale dell’Italia nella guerra russo-ucraina
Tra le evidenze emerse in seguito allo scoppio di questa guerra e meritevole di un’analisi approfondita è sicuramente la marginalità della posizione italiana.
Mentre i governi di Germania e Francia continuano imperterriti a trattare con Putin, adottando provvedimenti decisi sia in ottica europea che internazionale, mostrando sostanzialmente un attivismo utile per rinvigorire il prestigio internazionale, legittimandosi come interlocutori europei e centri decisionali strategici per la risoluzione della crisi – almeno all’apparenza – Roma ha da subito adottato un profilo più basso e attendista.
L’ultimo tiro mancino arriva dalla Polonia, dove il Primo ministro Mateusz Morawiecki ha dato forfait per un incontro con Draghi adducendo “problemi d’agenda” – nel linguaggio diplomatico è un modo elegante per disdire un “appuntamento inutile” – ma il colpo più duro è arrivato due giorni fa.
Lunedì Francia, USA, Regno Unito e Germania hanno tenuto una videochiamata per discutere di sanzioni e assistenza umanitaria. “Grande assente” l’Italia.
L’Italia, però, è assente anche dai dialoghi con Mosca, nonostante il rapporto privilegiato che lega i due Paesi. Draghi non ha mai incontrato – o sentito – Putin prima e durante la crisi.
Un altro elemento che certifica la nostra debolezza sulla scena internazionale è l’affondo del ministro Lavrov nei confronti di Di Maio. Un attacco mirato al Paese più debole della catena, complice la sfiducia nei confronti delle istituzioni e un’opinione pubblica meno culturalmente predisposta alla comprensione della politica internazionale e dei suoi meccanismi.
L’esclusione dai tavoli internazionali durante una crisi è una sconfitta cocente, ma abbastanza prevedibile nel caso dell’Italia.
Da anni la politica estera del Belpaese vive nell’incuria, nella sciatteria e nell’approssimazione. Non esiste alcuna strategia nazionale per salvaguardare gli interessi italiani nel mondo e nelle zone più calde d’Europa, del Mediterraneo e del mondo. Le istituzioni sono deboli e marginali: la stabilità politica è un prerequisito fondamentale per sedersi a tavolo con l’intenzione di “contare qualcosa”.
Un esempio di quanto detto è il maldestro tentativo di Salvini di recarsi in Ucraina; una mossa inutile dal punto di vista politico – dato che non ha nessun ruolo di governo – ed eseguito in ottica puramente propagandistica.
Inizialmente si credeva (erroneamente) che con l’arrivo di Mario Draghi l’Italia avrebbe recuperato autorevolezza. Niente di più sbagliato. La reputazione del banchiere non si discute ma, come spesso è stato affermato in questa sede, politica ed economia sono cose distinte. L’autorevolezza del Presidente deriva da trascorsi economici, non politici. Inoltre, una politica estera si costruisce con il tempo, come una tela, tessendo rapporti e trame. Non basta l’arrivo di un deus ex machina qualsiasi per risolvere la sciatteria di decenni di mal governo.
Dalla fine della Guerra fredda l’Italia non è stata capace di ritagliarsi una posizione fuori dal bipolarismo dei due blocchi. Inoltre l’affermazione di una classe dirigente priva di cultura e lungimiranza ha fatto il resto.
Da allora la politica estera italiana ha subito cocenti sconfitte, l’ultima in ordine temporale è quella in Libia a “cura” di un Paese giovane e agguerrito come la Turchia.
Sorprendersi dell’ennesimo buco nell’acqua è abbastanza inutile. La situazione è questa da decenni, di conseguenza è altresì fuorviante puntare il dito contro l’attuale governo.
L’unica cosa sensata da fare è dar luogo a una profonda riflessione sul declino della politica estera italiana e dei suoi interpreti, inadeguati e poco preparati, e avviarne un’altra – più seria – sulle possibili soluzioni. Prima di discutere di una politica estera comune, come sta accadendo in questi giorni in riferimento alla “difesa europea”, sarebbe meglio capire come “fare” politica estera.