L’Europa dista appena un passo
Di Daniela Piesco Vice Direttore Radici
Il sole si ritira lasciando la scena al freddo. Chi può si infila nelle tende abbandonate sulla strada o nel fango. Non sono riscaldate ma almeno proteggono dalla pioggia in arrivo dal cielo, anche se nulla possono quando l’acqua sale da sotto. Quelli rimasti senza una casa di tela, cercano un angolo protetto dove bruciare della plastica. Si intiepidiscono mani e piedi prima di stringere le spalle in una coperta da campo, sdraiati al suolo tra rifiuti e pozzanghere. I più giovani scelgono di dormire in ginocchio, gli uni sugli altri nel mezzo delle transenne, pur di preservare un posto in fila per l’indomani. La città è una bolgia! Qualcuno riempie il vuoto del portafoglio con il digiuno. A volte il furto è l’unica soluzione per tirare avanti. Manca tutto, quindi si ruba di tutto. Lo si fa per il freddo, per la fame, per la disperazione. C’è chi si lascia andare vinto dalla stanchezza, rimanendo però sospeso a mezz’aria, sorretto dalla volontà del vicino, mai come ora fratello. Lo sforzo collettivo trasforma la folla in una creatura pensante, resiliente, animata dall’istinto di sopravvivenza.
L ’Europa dista appena un passo.(Emanuele Confortin)
Un esodo di europei dentro l’Europa
Con il proseguimento delle ostilità, l’esodo dei rifugiati cresce giorno dopo giorno. Secondo UNHCR, i profughi che hanno trovato rifugio fuori dall’Ucraina sono più di 2,7 milioni – di cui la metà sono bambini.
Alle frontiere la situazione continua ad essere drammatica. Decine di migliaia di donne, bambini e anziani attraversano i confini ogni giorno, spesso in villaggi e piccoli paesi in cui mancano i servizi per sostenere un così alto numero di persone in stato di necessità.
Donne e bambini sono stremati dal viaggio, accompagnato dalle bombe e dal gelo che non dà mai tregua, dai morsi della fame e dalla sete. Sono spaesati e confusi, disperati per aver perso tutto in così poco tempo e preoccupati per i propri cari rimasti in Ucraina.
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia sta determinando, come ampiamente previsto, un imponente flusso di profughi diretto verso i paesi confinanti. Si sta scappando da un conflitto che già nelle prime fasi ha investito direttamente diverse regioni dell’Ucraina, rendendo difficile poter organizzare forme di protezione all’interno del paese.
L’Ucraina nel sistema migratorio europeo
C’è da dire che già dal maggio 2017, è stato eliminato l’obbligo di visto per i cittadini ucraini che vogliono recarsi nell’UE per un massimo di 90 giorni per motivi professionali, turistici o familiari. Una sostanziale liberalizzazione dei movimenti che ha non poco facilitato la mobilità verso l’Unione.
Secondo gli ultimi dati disponibili i cittadini ucraini residenti nei paesi della UE o dell’EFTA sono poco più di un milione, la maggior parte dei quali si trova in Italia (236 mila), Repubblica Ceca (163 mila), Polonia (145 mila), Germania (135 mila) e Spagna (105 mila). Complessivamente questi cinque paesi accolgono il 77% dell’emigrazione ucraina in questa parte del continente e disegnano una geografia particolare, con una forte concentrazione nei paesi meridionali e orientali dell’Unione.
Si tratta nella maggior parte dei casi di una emigrazione prevalentemente femminile, con punte del 77,6% del totale in Italia e dell’81% in Grecia.
Spesso la quota di donne si mantiene al di sopra del 60%, con la vistosa eccezione della Repubblica Ceca (43,7%), dell’Ungheria (35,6%) e delle repubbliche baltiche. Differenze così nette evidenziano modelli migratori profondamente diversi, con flussi prevalentemente femminili verso il nucleo storico dell’Unione e una composizione più tradizionale in quelli diretti verso i nuovi membri con i quali, peraltro, la differenza di reddito con l’Ucraina risulta molto meno marcata.
In sintesi si può affermare che negli anni le relazioni migratorie tra Ucraina e UE si sono consolidate dando vita a collettività di dimensioni importanti, come avviene in Italia.
I flussi recenti mostrano poi come l’immigrazione da questo paese si stia caratterizzando come una delle origini preferite da diverse nuove realtà d’arrivo della parte orientale dell’UE.
Un quadro su cui va ora ad inserirsi una migrazione forzata, di dimensioni sempre più vaste e il cui momento d’arresto appare purtroppo difficilmente prevedibile.(Fonti : Denisenko, M., Strozza, S., & Light, M. (Eds.). (2020). Migration from the Newly Independent States: 25 Years After the Collapse of the USSR. Springer International Publishing)
La direttiva Ue 55 del 2001
Una menzione speciale in tema di esodo merita la famosa direttiva Ue 55 del 2001 che paradossalmente non è mai stata attivata, anche di fronte all’emergenza in Libia o alla recente crisi afghana.
Ma con la guerra alle porte dell’Unione le cose cambiano, e con i paesi del Gruppo di Visegrad direttamente coinvolti dall’esodo dei profughi ucraini, i paesi membri hanno trovato un nuovo approccio sul tema delle ricollocazioni.
L’Unione europea ha di fatto attivato per la prima volta una direttiva rimasta dormiente per vent’anni, e proprio mentre il Parlamento europeo era ad un passo dal cancellarla.
L’eccezione,che in questo caso non si sa se conferma la regola o il suo contrario, è ovviamente figlia del conflitto in Ucraina e riguarda la direttiva 55 del Consiglio dell’Unione europea del 20 luglio 2001, che consentirà ai profughi di ottenere la cosiddetta protezione temporanea, evitando che le procedure per la tradizionale richiesta di asilo mandino in tilt la burocrazia dell’accoglienza nei singoli paesi.
Fino ad oggi lo strumento è sempre stato negato dall’Europa, anche di fronte alle richieste dell’Italia e alla recente crisi afghana. Ma adesso la guerra è davanti alla porta di casa e l’Unione dovrà esprimersi anche sulla distribuzione dell’esodo.
Certamente l’attuazione della direttiva per facilitare il soccorso dei cittadini ucraini è una decisione positiva e importante, ma allo stesso tempo sottolinea l’inadeguatezza del sistema di accoglienza per tutti gli altri profughi in fuga da persecuzioni e conflitti.
L’invasione russa ha già spinto più di 700mila persone dentro ai confini europei, e per la prima volta il flusso interessa proprio i paesi che più strenuamente si sono opposti a ripensare il sistema di accoglienza europeo attraverso la distribuzione di quote come l’Ungheria.
Ma se da un lato l’attivazione della direttiva 55/2001 darà agli ucraini uno strumento che rimane precluso ad altri profughi , dall’altro potrebbe rappresentare l’occasione di rivedere l’approccio complessivo dell’Unione su asilo e migranti, procedure di crisi comprese.
E gli italiani?
Al momento stanno reggendo, ma non si può abusare della loro capacità di tenere. Perché prima o poi non ce la faranno.
Occorre evidenziare la necessità di un salto di qualità da parte del Governo sull’emergenza profughi;servono maggiori risorse. Ogni giorno che passa arrivano alcune centinaia di profughi. C’è bisogno che si riconosca l’eccezionalità di questa situazione.
Credo sia fondamentale che ci sia la possibilità di sostenere l’accoglienza in famiglia di queste persone. Questa generosità va assolutamente colta e non frenata dalla burocrazia. Non ci si può permettere che le spese per l’accoglienza, che spettano allo Stato, ricadano sulle spalle degli enti locali, e quindi dei cittadini.
Sarebbe paradossale che questa generosità venisse scambiata per ingenuità.
E comunque l’accoglienza in famiglia non può essere l’unica soluzione, va supportata. C’e’bisogno che il sistema dei Cas della Protezione civile funzioni.E in questo momento,è bene sottolineare che sta faticando molto.
Ma vi è di più!
Anche l’aumento dei posti Cas è per il momento solo un aumento nominale, perché i bandi non vengono fatti. Si deve assolutamente evitare che tra qualche settimana gli alberghi abbiano un costo eccessivo poiché con la primavera sarà difficile usarli per i profughi. In tal caso si sarà costretti ad usare le tende?
Occorre, insomma, evitare una crisi umanitaria nel nostro territorio.
Il problema alimentare non riguarda solo il terzo mondo
A differenza di quanto si pensa, il problema alimentare non riguarda solo il terzo mondo ma anche i Paesi più industrializzati dove le differenze sociali generano sacche di povertà ed emarginazione che si sono fatte più consistenti a causa della crisi legata all’emergenza sanitaria. Fra i nuovi poveri ci sono coloro che hanno perso il lavoro, piccoli commercianti o artigiani che hanno dovuto chiudere, le persone impiegate nel sommerso che non godono di particolari sussidi o aiuti pubblici e non hanno risparmi accantonati, come pure molti lavoratori a tempo determinato o con attività saltuarie che sono state fermate dalla limitazioni rese necessarie dalla diffusione dei contagi per Covid.
Persone e famiglie che mai prima d’ora, avevano sperimentato condizioni di vita così problematiche.
Con la crisi un numero crescente di persone è stato costretto a far ricorso alle mense dei poveri e molto più frequentemente ai pacchi alimentari, anche per le limitazioni rese necessarie dalla pandemia.
La pandemia ha avuto un impatto sociale molto forte nel nostro Paese
La pandemia ha avuto un impatto sociale molto forte nel nostro Paese: nel 2020 l’Istat ha calcolato, rispetto al 2019, più di un milione di italiani in povertà assoluta, cioè nelle condizioni di non disporre dei beni necessari per condurre una vita accettabile. In totale sarebbero 5,6 milioni i cittadini che versano in questa condizione. Ma con l’eccezione del 2019, quando si era verificato un miglioramento, è da anni che le statistiche ufficiali registrano un incremento della povertà nel nostro Paese.
Su questa dinamica ha avuto ed ha certamente una forte incidenza l’aumentata presenza di stranieri residenti nel nostro Paese: una fetta rilevante di poveri è infatti rappresentata da loro. Basti considerare un solo dato: l’incidenza della povertà assoluta tra cittadini di origine straniera nel nostro Paese è del 29,3% (al Sud la percentuale è persino superiore: 31,9%) contro il 7,5% di quella relativa a cittadini italiani.
C’è però anche un altro aspetto da considerare..
Negli ultimi anni abbiamo assistito in Italia come in molti altri paesi occidentali, a un fenomeno sconosciuto nel passato: all’aumento del Prodotto interno lordo, quindi della produzione e della ricchezza generale, non ha corrisposto una simmetrica riduzione della povertà.
Anzi è successo l’esatto contrario: insieme al Pil è cresciuta anche la povertà. E si è allargata la forbice tra chi ha molto e chi ha molto poco. Un fenomeno importante che dovrebbe far riflettere a fondo sull’efficacia delle attuali politiche sociali e redistributive. Ma che finora è stato affrontato solo con logiche assistenziali,come il costosissimo reddito di cittadinanza,rivelatesi però largamente inadeguate.
Daniela Piesco
pH Sebastia Caldas