“Change of perspective”: ai weiwei alla galleria continua di Roma
Scultore, pittore, performer, fotografo, architetto e urbanista, artista concettuale, collezionista, regista (sua la direzione della Turandot al Teatro dell’Opera di Roma), scrittore ed editore, blogger, attivista per i diritti umani e dissidente, Ai Weiwei è tante anime in una.
La cifra che scandisce la sua parabola di uomo e di artista è una riflessione acuta, che non cade mai nella retorica, visionaria e in grado di disorientare sempre e comunque.
La costante necessità di comunicazione e denuncia di Ai Weiwei prende forma in un vasto e assai diversificato panorama di realizzazioni visive. Costante è la sua riflessione sul significato delle tradizioni del suo mondo d’origine.
Aperta al pubblico sino al 22 maggio, la mostra presso la Galleria Continua Roma, dal titolo “change of perspective”, si propone di esaminare il forte legame di Ai Weiwei con la tradizione e la millenaria cultura cinese verso la quale l’artista manifesta un rispetto deferente, accompagnato da un’incredibile capacità di proiettarsi nella modernità.
Dissacrazione e rottura con il passato, ma anche rivendicazione di appartenenza e salvaguardia degli elementi di autenticità e unicità di una cultura inestimabile e incredibilmente ricca, sono gli elementi che caratterizzano questa mostra.
Ai Weiwei interpreta i motivi, le immagini, le metafore, i processi di fabbricazione e i materiali tradizionali in modo ludico e iconoclasta per arrivare a una critica – a volte nascosta, altre più gridata – del sistema politico.
“Penso che le mie opere siano profondamente radicate nella comprensione della tradizione cinese, sono un uomo contemporaneo, penso che reinterpretare l’artigianato e la cultura in questo linguaggio sia molto importante, distruggere e dissacrare è un modo per comprendere quello che è successo in passato”, dichiara l’artista.
La porcellana è tradizionalmente considerata come la più alta espressione di arte cinese. Dall’esperienza diretta di Ai Weiwei con le maestranze del distretto di Jingdezhen – punta di diamante della Cina nella lavorazione di questo materiale prima della rivoluzione industriale – nascono una serie di opere che costellano il percorso espositivo.
Tra queste: “Wave Plate” un raffinato piatto in porcellana con finitura celadon grigio-verde che richiama le luminose qualità estetiche della giada. Il motivo dell’onda che si sviluppa fino a culminare in un vortice, è un omaggio di Ai Weiwei all’arte della dinastia Yuan (1271-1368) nella quale l’acqua era appunto un tema ricorrente; “Set of Spouts”, una scultura sempre in porcellana rivestita da una coperta spessa straordinariamente levigata e morbida di un bianco sporco traslucido e luminoso realizzata con beccucci di teiere rotte.
Nelle teiere il beccuccio rappresenta il percorso che il vapore attraversa per trasferire il suo calore all’esterno diffondendo conforto e consolazione; nondimeno la parola “spouts” (in senso figurato “sputare”) evoca la storia di Ai Weiwei come dissidente politico, “uno che sputa opinioni inaccettabili”.
Ad alcuni celebri dissenti politici del passato Ai Weiwei dedica una parte della mostra. Si tratta di una serie di ritratti realizzati con la tecnica del mosaico utilizzando quasi diecimila mattoncini Lego multicolore. I volti che prendono vita da questo lavoro sono quelli di Dante Alighieri, Filippo Strozzi, Girolamo Savonarola e Galileo Galilei. Dante, l’esiliato per eccellenza della storia letteraria italiana; Filippo Strozzi, bandito dalla famiglia Medici e tornato a Firenze dopo vent’anni trascorsi lontano dalla patria; Girolamo Savonarola, figura discussa, ritenuto nell’Ottocento un “martire della libertà”, scomodo frate predicatore, giustiziato per l’opposizione al regime mediceo e per i sermoni contro la Chiesa di papa Borgia; Galileo, il rivoluzionario scienziato toscano emblema della battaglia per la libertà di pensiero, incarcerato e processato per aver difeso le proprie idee.
Nelle tinte non realistiche dei mattoncini, un mezzo di comunicazione che l’artista definisce “democratico” perché tutti lo conoscono e lo possono usare, i volti di questi personaggi acquisiscono il carattere ludico e giocoso della Pop Art.
Il percorso espositivo si conclude nella hall del prestigioso The St Regis hotel, dove l’artista si congeda con un ultimo toccate tributo alla potenza della natura e con l’invito a riflette sul ruolo dell’uomo nel fragile e mutevole equilibrio naturale. “Palace” è il frutto della collaborazione di Ai Weiwei con gli artigiani e le comunità locali di Trancoso insieme ai quali ha individuato le radici e i tronchi di un albero in via di estinzione, il Pequi Vinagreiro, tipico della foresta fluviale di Bahia.
Queste rare radici, alcune delle quali più che millenarie, sono state modellate e assemblate per creare sculture dalle forme audaci e sorprendenti. Tra i marmi e i cristalli del lussuoso albergo romano “Palace” ti disorienta e ti incanta, “creatura” selvaggia – eppure in qualche modo anche domata – ti apre a una visione carica di magia.
Dal 25 marzo al 3 aprile 2022 il Museo Nazionale Romano ospita alle Terme di Diocleziano l’opera “La Commedia Umana” di Ai Weiwei un enorme lampadario dalle dimensioni colossali composto da oltre duemila pezzi di vetro soffiato a mano e fuso dai maestri vetrai di Berengo Studio di Murano. L’esposizione, prodotta e organizzata dal Museo Nazionale Romano e Berengo Studio con la Fondazione Berengo, vede la collaborazione di Galleria Continua.
Ai Weiwei è stato definito l’artista più influente del nostro tempo.
Dopo aver denunciato la corruzione del governo e il mancato rispetto dei diritti umani e della libertà di parola in Cina, è stato arrestato, picchiato, messo in isolamento e gli è stato vietato di viaggiare. La sua attività di dissidente è andata di pari passo con la sua carriera artistica e ha continuato a produrre opere che testimoniano le sue convinzioni politiche, dando allo stesso tempo ampio spazio alla creatività e alla sperimentazione.
La produzione negli ultimi trent’anni ci permette di esplorare il suo rapporto ambivalente sia con la cultura occidentale che con la cultura del suo paese, diviso tra un profondo senso di appartenenza e un altrettanto forte impulso alla ribellione.
Ai Weiwei è nato nel 1957 a Pechino. Suo padre, il poeta Ai Qing, fu etichettato come “di destra“ nel 1958 e Ai e la sua famiglia furono esiliati, prima a Heilongjiang, nel nord-est della Cina, e poi subito dopo nei deserti dello Xinjiang, nel nord-ovest della Cina. Dopo la morte di Mao Zedong nel 1976, Ai Qing fu riabilitato e la famiglia tornò a Pechino.
Ai si sarebbe iscritto alla Beijing Film Academy ed era uno dei membri del gruppo di artisti “Stars“. Ai si è trasferito negli Stati Uniti nel 1981, vivendo a New York tra il 1983 e il 1993. Ha studiato brevemente alla Parsons School of Design. A New York, Ai ha scoperto le opere di Marcel Duchamp e Andy Warhol. Ritornato in Cina nel 1993 per prendersi cura del padre malato, Ai ha contribuito alla creazione dell’East Village di Pechino, una comunità di artisti d’avanguardia. Nel 1997 ha co-fondato i China Art Archives & Warehouse (CAAW), uno dei primi spazi artistici indipendenti in Cina. Ha iniziato a interessarsi all’architettura nel 1999, progettando il suo studio house a Caochangdi, nella periferia nord-est di Pechino.
Nel 2000, ha avviato il suo studio di architettura, FAKE Design. Nel 2007, come partecipante a documenta 12, ha portato 1001 cittadini cinesi a Kassel nell’ambito del suo progetto Fairytale. Nel 2008, insieme al team svizzero di architettura di Herzog e de Meuron, ha progettato lo stadio nazionale di Pechino. Nel 2010, ha ricoperto il pavimento della Turbine Hall della Tate Modern con 100 milioni di semi di girasole in porcellana. Nel 2012, ha ricevuto il Premio Václav Havel per il dissenso creativo, dalla Fondazione per i Diritti Umani. Nel 2015 ha ricevuto l’Ambassador of Conscience Award, da Amnesty International, per le sue azioni a sostegno della difesa dei diritti umani. Nel 2017 il suo epico viaggio cinematografico “Human Flow” ha partecipato alla 74a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Il film offre uno squarcio potente sulla massiccia migrazione umana contemporanea. Acquisito nel corso di un anno ricco di eventi in 23 paesi, “Human Flow” segue una catena di storie umane che si estende in tutto il mondo in paesi tra cui Afghanistan, Bangladesh, Francia, Grecia, Germania, Iraq, Israele, Italia, Kenya, Messico e la Turchia. (aise)