Marchigiani in Brasile: Vincenzo Ciarrocchi
‘Sono originario di Folignano, in provincia di Ascoli Piceno, e da lì partii con la mia famiglia, nonni paterni inclusi. Era il 1952. La mamma era incinta di nove mesi, e mia sorella Italia Franca nacque quindici giorni dopo. Mia zia invece partorì in nave ma la sua bambina morì e fu seppellita in mare come succede in questi casi’.
Inizia così la testimonianza di Vincenzo Ciarrocchi che da venditore di arance a cinque anni, si è laureato in Matematica dopo la pensione, arivando al dottorato.
L’ ho intervistato a San Paolo del Brasile il 30 novembre 2007.
Come si chiamava la nave, Vincenzo?
Era la Giulio Cesar.
Quando arrivaste? Lo ricorda?
Sì, perché é il giorno in cui nacque mia moglie: il 27 luglio 1952.
Perché partiste da Folignano?
Per mancanza di lavoro.
E perché sceglieste il Brasile?
Per la propaganda del governo brasiliano che pagava il viaggio.
Vi fermaste nell’Hospedaria?
No, perché ci aspettavano delle persone per andare a Cornélio Procopio dove avremmo raccolto il caffè.
Cosa ricorda della fazenda?
Si chiamava Grandi: il padrone era originaraio di Ascoli Piceno. La piantagione si trovava a diversi chilometri dalla cittadina. Ricordo che la domenica andavo in città a vendere le arance con mio cugino, portando un sacco sulle spalle. Avevo cinque-sei anni.
Andavate a piedi?
Sì, certo, allora usava così.
Avevate sottoscritto un contratto di lavoro?
Nessun contratto, si lavorava sulla parola. In passato Grandi era stato un amico della famiglia Ciarrocchi in Italia. Era venuto qua dopo la prima guerra mondiale.
Com’era la sua fazenda?
Aveva una superficie di circa 20.000 ettari. Ci lavoravano circa 800 contadini. So che ora la concimano dall’aereo.
Quando venivate pagati?
Ogni settimana. Poi avevamo la possibilità di piantare quello che volevamo tra un filare e l’altro (miglio, fagioli, frutta) e potevamo vendere la nostra produzione.
Quanto tempo restaste là?
Circa cinque anni. Da lì siamo andati a Jundiaí per lavorare nell’industria che allora cominciava a prosperare: papà lavorò nella Vigorelli (macchine da cucire), io a tredici anni iniziai a lavorare nella Krupp (forgeria, bulloni per auto e camion). Lavoravo e studiavo. Facevo la scuola C.E.N.A.I., finanziata dalle industrie, una scuola professionale.
Poi passai alla Chevrolet, che fa parte della General Motors. All’epoca si fabbricava la Opala che aveva una cilindrata di quattromilacento cavalli.
Poi mi trasferii alla Willis, ma continuavo a studiare: all’epoca studiavo disegno meccanico. Poi fu la volta della Volkswagen e lì sono rimasto fino alla pensione.
Dopo sposato, mi sono iscritto all’Università, alla facoltà di Matematica e sono arrivato al dottorato.
Insegno come volontario presso quella facoltà. Mi piace troppo la matematica!
Che pensava la sua famiglia del vostro arrivo in Brasile?
Gli uomini erano contenti, ma le donne non tanto. Mia madre, ad esempio, era triste e beveva per questo.
E’ mai tornato in Italia?
Tornai dopo venticinque anni, per la prima volta, con la mia famiglia.
Quando arrivai là, il cuore mi batté forte forte. Mi sarebbe piaciuto tornare, anzi, se non avessi qui la famiglia, lo farei!
Redazione Radici