Viktor Orban è rilassato, siede al tavolo di un ristorante del centro storico di Bruxelles. È un habitué, quando è nella capitale belga, non manca mai. Camicia bianca, senza cravatta, abito scuro. Siede al centro del tavolo e anche mentre cena è nella posizione di chi gli ordini li dà e non li prende.
Intorno a lui, otto uomini, due in cravatta, gli altri casual come il capo. Orban ha le braccia incrociate. Il cameriere si rivolge sempre a lui per primo, ma quando si tratta di ordinare il premier ungherese lascia il posto agli altri e scherza “sono troppo vecchio”. Quando arriva il suo turno, chiede ostriche, “le migliori”, il perlage dello champagne è già nei calici.
A tavola si parla, qualche risata, ma è chiara la tensione sul vertice Nato e il Consiglio europeo, non ci sono solo scambi verbali, occhiate, a un certo punto nelle mani di Orban spuntano dei fogli, probabilmente è la bozza del suo intervento per il summit dei capi di Stato e di governo.
È il momento di parlarci, anche a costo di essere rimbalzati dalle guardie del corpo che sono a 50 centimetri dal nostro tavolo (sono loro, dalla manica di uno degli agenti spunta un microfono, non è proprio James Bond), ma bisogna pur provarci. Perché l’Ungheria è un Paese importante nel contesto dello scenario di guerra, Orban è un leader solido, non ha problemi di consenso, come invece hanno altri alle prese con turni elettorali, vedere Macron e Biden.
Può darci la risposta che svela il problema, lo dipinge, lo chiarisce, lo complica. Ci avviciniamo, Orban si alza dal tavolo, è il momento giusto, presentazione veloce, stretta di mano, prima domanda secca: “Signor primo ministro, lei è d’accordo con la linea di Joe Biden sulle sanzioni?”. Alza gli occhi al cielo, sospira, scuote la testa e sentenzia: “È una strada difficile da percorrere“.
Lo è, soprattutto perché in Europa serve l’unanimità che fino a stasera non c’è e l’Ungheria ha già fatto sapere che sull’energia non se ne parla (“il consenso europeo non sarà certamente possibile”, ha anticipato nei giorni scorsi il ministro degli Esteri Peter Szijjarto). Orban la vede così: “L’Europa dipende dal gas russo”.
Assist per la seconda domanda: lei pagherebbe il gas in rubli? Qui Orban stende sul pavimento un sorriso e fa una battuta: “Siamo pieni di rubli”. La realtà, ricorda, è che “abbiamo firmato un contratto con la Russia lo scorso ottobre per 15 anni di forniture, noi siamo tranquilli”.
Terzo assist, perfetto per fare tappa a Berlino: i problemi sono forse della Germania? Orban qui non si sbilancia, ma lascia andare un “probabile”. Tolte dal tavolo per stasera le sanzioni sul gas russo, cosa si aspetta dai vertici di domani? Il premier tira un sospiro, lungo, lo sguardo di Orban cerca un orizzonte: “Speriamo di non creare altri problemi”. È una notte mite a Bruxelles, a pochi chilometri da qui, tuonano i cannoni.