È un inno alle grandi star del cinema del Novecento e soprattutto al divismo come motore che ha messo il turbo al processo di emancipazione femminile ‘Dive del cinema’ (Giulio Perrone editore) appena uscito in libreria e negli store digitali.
Nella sua carrellata sulle grandi attrici che hanno lasciato il segno nel Novecento Francesco Costa, scrittore, sceneggiatore, critico nonché docente di storia del cinema, raccontando fasti professionali, interpretazioni, amori e vite da montagne russe che sembrano a loro volta dei film, fornisce un prezioso manuale (ogni scheda è condita dalla filmografia parziale).
Ma, soprattutto, nella sua compilazione punta ad esaltare la portata del modello esistenziale delle dive per le donne che il cinema invece lo hanno solo guardato. “Il mio è un inno alla forza e al coraggio di quelle attrici che hanno portato alla luce la forza e la creatività femminile nella cultura occidentale e che, riuscendo a farsi strada in un settore dove la strada riservata alle attrici era a dir poco impervia hanno illuminato il cammino di tutte le donne” spiega all’AGI Costa che colloca la nascita del divismo e della carica eversiva delle attrici all’epoca del cinema muto italiano , a cui è dedicato il primo capitolo del libro con la Borrelli e Francesca Bertini.
Libro ad alto tasso femminista, ‘Dive del cinema’ sottolinea il potere delle dive del muto in un’Italia in cui la condizione delle donne era a dir poco penalizzata, con l’altra metà del cielo lontana dai seggi elettorali e non solo: “Le dive italiane aprirono un varco nelle costrizioni che imbrigliavano il desiderio di libertà delle spettatrici – sottolinea Costa – belle e seduttive, sullo schermo si prendevano gioco del maschio e portavano uomini di potere alla follia e al suicidio, incapaci di sottrarsi al loro richiamo. Mentre, nella vita vera, fondavano case di produzioni e passavano anche dietro la macchina da presa per dirigersi da sole”. Nella suddivisione del suo racconto e dei suoi capitoli Costa segue il filo storico-sociale.
Ecco quindi l’emancipata e intraprendente diva americana dei ruggenti Anni Venti, “le dive del ventennio fascista” “Le sirene del regime nazista” capitanate da Leni Riefenstahl (“Hitler pensava di servirsi di lei per propagandare il suo verbo, ma lei si è servita di lui per erigere un monumento al proprio genio nella storia del cinema”). E poi fertilissimo, c’è il periodo della “diva nell’Italia del dopoguerra”, con le varie Magnani, Mangano, Loren, Lollobrigida: “Mentre l’Italia risorgeva dalle sue macerie, il divismo femminile visse una stagione di irripetibile felicità. Era il periodo in cui le figlie del popolo vedevano nel cinema l’occasione per riscattare infanzie di sacrifici e rinunce. Belle e coraggiose, imparavano l’inglese e approdavano a Hollywood” .
Seguono “le favolose ragazze italiane degli anni Cinquanta” , da Lucia Bosè a Virna Lisi, le dive francesi e tedesche del dopoguerra, le antidive in stile Jane Fonda e Shirley Mc Laine che sostituirono l’armamentario tutto fascino e mistero delle star che le avevano precedute con l’impegno politico e sociale. Perché due sole italiane, Monica Bellucci e Margherita Buy per il cinema nostrano di fine Novecento? “Perché da almeno vent’anni il cinema italiano non ha più creato ruoli significativi per le donne, sono quasi sempre le mogli o le fidanzate del protagonista”. Ma le preferite di Costa chi sono? “Da ragazzino adoravo i capelli rossi e il piglio volitivo di Susan Hayward, Oscar nel ‘59 per “Non voglio morire” – spiega – da adulto Romy Schneider, bella e tormentata. Senza dimenticare Audrey Hepburn, che con la sua aria da elfo ha conquistato uomini e donne”.