L’ondata di attacchi in Israele e le tensioni in vista del Ramadan
In otto giorni undici persone hanno perso la vita in tre attacchi terroristici che hanno colpito nel profondo il Paese. Sul fuoco soffiano Hamas e la Jihad islamica
Alta tensione in Israele, con il Ramadan alle porte e la pasqua ebraica poco più avanti. In otto giorni undici persone hanno perso la vita in tre attacchi terroristici che hanno colpito nel profondo il Paese a Beer Sheva, nel profondo sud del deserto del Negev, nella città costiera di Hadera, a sud di Haifa, e a Bnei Brak, cittadina ultra-ortodossa alle porte di Tel Aviv.
Un’ondata di attentati come non succedeva da anni (bisogna risalire al 2006 per avere una settimana così ‘nera’) e, almeno in due casi su tre, perpetrati da arabo-israeliani e rivendicati dall’Isis, una circostanza nuova che ha messo in allarme le autorità. Il ministro della Difesa, Benny Gantz, è volato ieri dal re giordano Abdallah II, oggi è stata la volta del presidente israeliano Isaac Herzog, mentre il 10 marz alla corte hashemita c’era stato il ministro degli Esteri Yair Lapid.
La settimana scorsa era stato ad Amman il ministro della Pubblica sicurezza, Omer Barlev, per vedere il capo della diplomazia giordano Ayman Safadi. Tutti sforzi per cercare di evitare fiammate di violenza durante il mese sacro islamico e mantenere la calma, a cominciare da Gerusalemme, così da non ripetere gli eventi che nel maggio dell’anno scorso avevano portato all’ennesimo conflitto armato con Gaza.
Sul fuoco soffiano Hamas e la Jihad islamica: il leader del Movimento islamico, Ismail Haniyeh, ha elogiato “l’attacco eroico” messo a segno ieri a Bnei Brak da un palestinese di Jenin, mentre la Jihad islamica ha sottolineato la determinazione palestinese a “far pagare all’occupazione il prezzo della sua aggressione”.
“Qualsiasi summit di normalizzazione non garantirà al nemico la sicurezza”, ha punzecchiato dal Libano il movimento sciita di Hezbollah, attaccando lo storico vertice avvenuto nei giorni scorsi nel deserto del Negev e al quale hanno preso parte i ministri degli Esteri di Israele, Emirati, Bahrein, Marocco ed Egitto, insieme agli Usa. Una conseguenza diretta degli Accordi di Abramo firmati nel 2020 tra lo Stato ebraico e alcuni Paesi del Golfo e del Maghreb, condannati come un ‘tradimento’ dai palestinesi.
Parole dure sono invece arrivate da Ramallah: il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, dopo essere rimasto in silenzio in occasione dei precedenti attentati, stavolta si è fatto sentire e ha “condannato l’uccisione di civili israeliani”, sottolineando come l’assassinio di “civili israeliani e palestinesi non faccia che peggiorare la situazione”.
Condanna è arrivata anche dall’Egitto, che ha esortato entrambe le parti a “intensificare gli sforzi per mantenere la calma, senza degenerare in ulteriori ondate di violenza”. In ballo, per i palestinesi, c’è l’allentamento delle misure di sicurezza messo in atto dalle autorità israeliane in vista del Ramadan, come l’aumento del numero di permessi per pregare alla moschea di al-Aqsa, ma anche di quelli per lavorare in Israele destinati agli abitanti di Gaza – dovrebbero arrivare a un totale di 20 mila – annunciato la settimana scorsa dal premier israeliano Naftali Bennett.
Intanto, le forze di sicurezza hanno compiuto una serie di arresti in Cisgiordania, tra il campo di Balata a Nablus, Betlemme, Kedum, Ramallah, Marda, Yàbad e alcuni villaggi a sud di Betlemme. Tra i fermati, il fratello di Diaa Hamarsheh, l’attentatore 26enne di Bnei Brak, e alcuni parenti. Dopo un incontro dei vertici della sicurezza, Gantz ha deciso di schierare un migliaio di soldati per aiutare le forze di polizia nell’identificare potenziali aggressori sui social media e sventare l’ingresso illegale nel Paese di persone e armi.
Dall’attentato a Beer Sheba, 12 battaglioni aggiuntivi sono stati inviati in Cisgiordania e altri due al confine con Gaza, insieme a cecchini, forze speciali e operativi dell’intelligence. Tra i motivi di preoccupazione, la ricorrenza oggi della Giornata della Terra, celebrata dagli arabo-israeliani e dai palestinesi per commemorare i manifestanti uccisi il 30 marzo 1976 dai soldati israeliani durante manifestazioni di protesta per l’esproprio di terre.
L’Higher Arab Monitoring Committee ha deciso di proseguire con gli eventi come previsto: “Non permetteremo agli aggressori di dettare l’agenda”. L’appuntamento principale si terrà nella città di Sakhnin e da lì i manifestanti proseguiranno per Arabeh e Deir Hanna, i tre luoghi in Galilea dove avvennero gli scontri mortali. Eventi sono previsti anche nella Striscia di Gaza ma gli organizzatori nell’enclave palestinese hanno fatto sapere che si terranno al porto e non vicino al confine con Israele, per ridurre la tensione.