Quando Berlinguer scelse la Nato
di Paolo Pagliaro
Il 15 giugno 1976 il Corriere della Sera pubblicò un’intervista di Giampaolo Pansa a Enrico Berlinguer in cui il segretario del Pci sosteneva che sarebbe stato meglio per il suo partito e per l’Italia restare sotto l’ombrello della Nato. “Mi sento più sicuro stando di qua”, disse Berlinguer.
Fu una svolta radicale e una scelta di campo netta, certamente coraggiosa, dati i tempi e i legami del Pci con Mosca; e fu in qualche modo anticipatrice di quella che oggi spinge il partito democratico e la sinistra riformista a sposare le posizioni più intransigenti contro Putin e l’espansionismo del Cremlino.
Il giornalista e scrittore Siegmund Ginzberg, che fece a Botteghe Oscure la sua gavetta di intellettuale militante, in un articolo pubblicato dal Foglio e da Reset, si chiede cosa direbbero oggi dell’invasione dell’Ucraina i dirigenti del Pci. Sentito anche Gianni Cervetti, l’uomo che Berlinguer aveva incaricato di recidere ogni cordone ombelicale con il Cremlino, Ginzberg non ha dubbi: filosovietici forse, ma putiniani mai, i comunisti italiani ripudierebbero Mosca.
E certo non si si appiglierebbero come scusante per l’invasione dell’Ucraina all’aggressività della Nato.
Metterebbero al bando – scrive Ginzberg – uno capace di isolare il proprio paese da metà del mondo, fargli rischiare il collasso economico, compattare tutta l’Europa e l’Europa con l’America, far riarmare non solo la Nato ma anche la Germania, mettersi contro quelli che aveva nel suo libro paga e far sembrare dalla parte della ragione persino i nazisti. Perché questo sta facendo Putin, e la sinistra anche in Italia mostra di averlo ben compreso.