Come analizzare lo storico e secolare fenomeno dell’immigrazione ( 2° parte)
“Le varie divisioni della terra danno a ciascun popolo una diversa patria. Ma il mondo abitato offre a tutti gli uomini capaci di amicizia, una sola cosa in comune: la terra. Diogene di Enoanada, II sec. d.C. 5
Parlando di emigrazione uno dei luoghi in cui si sono consumati i peggiori misfatti è senza dubbio il mar Mediterraneo diventato ormai da anni una grande fossa comune. In tutta la sua area che lambisce decine di nazioni sono affondate centinaia di navi, sono morte decine di migliaia di emigranti tra cui donne (alcune in attesa) e bambini; il tutto nell’indifferenza delle sue due sponde, come se le tragedie non fossero di loro competenza, non li interessassero direttamente.
In questo mare sono annegate ad oggi non meno di almeno 27.382 persone (altre statistiche difficili da controllare parlano di oltre 50000 morti annegati); la metà delle stesse- non sono mai stati ritrovate e giacciono ancora sul suo fondale. Fanno tutti a gara a contare quanti ne sono sbarcati, pronti a gridare all’emergenza. Ma quanti sono riusciti davvero ad arrivare ad imbarcarsi?. Molti sono morti viaggiando su tir, camion e fuoristrada, nel deserto del Sahara, in Libia, sotto gli spari della polizia di frontiera, morti assiderati, disidratati e di fame. Il dato delle morti reali potrebbe essere molto più grande, al netto delle statistiche peraltro sempre manipolabili; nessuno oggi sa dirci con esattezza quanti siano stati i naufraghi raccolti in mare. Lo sanno solo le famiglie di coloro che un giorno sono partiti per l’Europa senza mai più tornare. Il soccorso in mare è previsto dagli articoli 1113 e 1158 del Codice della navigazione. Il comandante che omette di prestare assistenza è punito con pene fino ad otto anni di reclusione. Il fenomeno migratorio soprattutto negli ultimi anni è stato associato all’intervento ed al ruolo svolto dalle Ong.
Le Ong sono organizzazioni non governative finanziate da donazioni, raccolta fondi e dal 5 per mille; le navi di questi organismi di volontariato ed umanitari hanno svolto diverse centinaia di operazioni di soccorso salvando la vita di migliaia di emigranti. Una delle operazioni più complesse poste in essere dalle stesse è stata quando intervennero nel Mediterraneo con tredici navi dopo la strage di profughi del 2015, che coincise con la sospensione dell’operazione di soccorso Mare Nostrum.
Si trattava di un’una operazione militare e umanistica decisa dal governo di Enrico Letta iniziata il 18 ottobre 2013. L’operazione consisteva in sostanza in un corposo potenziamento dei controlli già attivi e aveva due obiettivi: «garantire la salvaguardia della vita in mare» e «assicurare alla giustizia coloro che lucravano sul traffico illegale di migranti». Il ministro Alfano dichiarò che grazie a Mare Nostrum erano stati recuperati dalle navi della Marina Militare circa 100 mila migranti. Mare Nostrum non era comunque in quegli anni la sola iniziativa attiva nel Mar Mediterraneo: la stessa affiancava Hermes e Aeneas, attivate nell’ambito del progetto europeo Frontex, il cui scopo era di contrastare l’immigrazione irregolare.
Frontex è l’agenzia per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea.
È stata creata nel 2004 e ha come principale obiettivo «aiutare le autorità di frontiera dei diversi Paesi europei a lavorare insieme». Dalla metà del 2014, proprio a causa dell’aumento dei flussi, Frontex e Mare nostrum hanno dato vita all’operazione europea Triton, che è partita il 1 novembre 2014; ad essa partecipano 29 Paesi, ed è finanziata dall’Unione europea con 2,9 milioni di euro al mese: circa due terzi in meno di quanti erano destinati a Mare Nostrum.
A differenza di Mare Nostrum, inoltre, Triton prevede il controllo delle acque internazionali solamente fino a 30 miglia dalle coste italiane: il suo scopo principale è il controllo della frontiera e non il soccorso.
La versione originaria del Trattato di Roma (1957) non conteneva alcuna disposizione in proposito; le uniche disposizioni sulla libera circolazione delle persone riguardavano i cittadini degli Stati membri. La Convenzione di Schengen del 1985 prevedeva a sua volta alcune norme comuni perlopiù funzionali all’eliminazione dei controlli sulle frontiere interne. Un passo avanti importante si ha con il Trattato di Maastricht (1992) il cui Titolo VI crea il così detto “terzo pilastro”, allora denominato “Giustizia e affari interni”, il quale include la politica di immigrazione, la politica di asilo e l’attraversamento delle frontiere esterne. Tuttavia, la cooperazione è stata assai limitata, gli atti emanati in questo settore poco vincolanti e il Trattato Schengen rimane al di fuori del III pilastro.
La vera rivoluzione si ha con il Trattato di Amsterdam (1997), che “comunitarizza” la politica di immigrazione. Con il termine “comunitarizzazione” si indica il fatto che il sistema Schengen e tutti gli atti che sono stati emanati nel quadro di questo sistema vengono “trapiantati” all’interno delle competenze della Comunità. Nel Trattato di Lisbona l’immigrazione viene trattata nel capitolo dedicato allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia assieme ai controlli alle frontiere e all’asilo. Il Trattato prevede che le frontiere esterne siano sorvegliate in maniera efficace e che si crei un sistema integrato fra gli Stati dell’UE al fine di effettuare questo controllo. In base al diritto internazionale, nessuno Stato può espellere dal proprio territorio un rifugiato verso un territorio in cui la sua vita o la sua libertà potrebbero essere minacciate a causa della sua razza, della sua religione, nazionalità, appartenenza ad un gruppo sociale o opinione politica.
La politica comune degli Stati membri in materia di “asilo europeo” deve quindi essere finalizzata a realizzare questo principio. Le norme su cui è necessario cercare un consenso fra gli Stati membri riguardano aspetti quali le procedure, i criteri per la determinazione dello status di rifugiato, la cooperazione con gli Stati terzi da cui normalmente provengono i rifugiati. Per capire cosa sia l’immigrazione e cosa sia lo “straniero” è necessario un approfondimento di tipo filosofico-sociologico; in questo percorso riconoscere l’alterità diventa un discorso necessario da sviluppare non più da un punto di vista economico-politico.
Sembra sia facile dire che esiste qualcosa che è altro da me; i problemi iniziano nel riconoscere me stesso come un altro soggetto, cioè uno dei possibili soggetti che si trovano ad interagire in un contesto. In uno studio di Davide Zoletto emerge l’importanza dei confini con cui quotidianamente strutturiamo le nostre relazioni con l’altro per antonomasia, lo straniero. Sembra che la nostra vita proceda in una costante dimensione di epoche, cioè come se dessimo costantemente per scontato il mondo, noi stessi e le pratiche in cui siamo coinvolti. La domanda “cosa ci faccio qui?”, ovvero porre il dubbio su questa realtà, implica uno sdoppiamento dello sguardo in un qui e un là.
È il primo passo verso il riconoscimento dell’altro. Non è un caso però, che la domanda spesso venga posta dallo straniero: nel suo caso, definire la situazione è un atto prioritario per la propria sopravvivenza. Chi sta qu”, invece, porta con sé un insieme di conoscenze, schemi di comportamento, credenze tali, che solo raramente è disposto a metterle in dubbio. Sono parte della propria identità.
La sola presenza dello straniero può essere a volte fastidiosa perché rappresenta la visibilità di un là, e cioè rappresenta la minaccia di decentramento della nostra prospettiva. In una prospettiva multiculturale, lo spazio dell’interazione necessitata con lo straniero può ridursi al luogo della mia intenzionalità, in un linguaggio che non è, o non è ancora, il linguaggio dell’altro. Così si costruisce anche il suo là, con una ridefinizione di identità che tenta anche un addomesticamento.
Questa nostra ricerca non può che concludersi con il nobilissimo messaggio pronunciato da Papa Francesco in occasione della giornata mondiale del migrante e del rifugiato: «Il forestiero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso perché anche voi siete stati forestieri in terra d’Egitto.
Io sono il Signore, vostro Dio» (Lv 19,34). Durante i miei primi anni di pontificato ho ripetutamente espresso speciale preoccupazione per la triste situazione di tanti migranti e rifugiati che fuggono dalle guerre, dalle persecuzioni, dai disastri naturali e dalla povertà. Si tratta indubbiamente di un “segno dei tempi” che ho cercato di leggere, invocando la luce dello Spirito Santo sin dalla mia visita a Lampedusa l’8 luglio 2013. Nell’istituire il nuovo Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, ho voluto che una sezione speciale, posta ad tempus sotto la mia diretta guida, esprimesse la sollecitudine della Chiesa verso i migranti, gli sfollati, i rifugiati e le vittime della tratta.
Ogni forestiero che bussa alla nostra porta è un’occasione di incontro con Gesù Cristo, il quale si identifica con lo straniero accolto o rifiutato di ogni epoca. Il Signore affida all’amore materno della Chiesa ogni essere umano costretto a lasciare la propria patria alla ricerca di un futuro migliore. Tale sollecitudine deve esprimersi concretamente in ogni tappa dell’esperienza migratoria: dalla partenza al viaggio, dall’arrivo al ritorno.
E’ una grande responsabilità che la Chiesa intende condividere con tutti i credenti e gli uomini e le donne di buona volontà, i quali sono chiamati a rispondere alle numerose sfide poste dalle migrazioni contemporanee con generosità, alacrità, saggezza e lungimiranza, ciascuno secondo le proprie possibilità. Al riguardo, desidero riaffermare che «la nostra comune risposta si potrebbe articolare attorno a quattro verbi fondati sui principi della dottrina della Chiesa: accogliere, proteggere, promuovere e integrare».
Un messaggio dall’altissimo valore etico e morale quello di Papa Francesco. Una straordinaria linea guida che deve illuminare le nostre azioni ed il nostro modo di approcciarsi con gli altri, soprattutto quando questi altri sono diversi da noi. Non dimentichiamoci che se a guidare il mondo è l’amore la nostra vita sarà decisamente migliore.
Giacomo Marcario