Su body positivity e inclusione nella moda serve più consapevolezza

Su body positivity e inclusione nella moda serve più consapevolezza

La ricerca di Izilab sui dati estratti da tweet e articoli durante la Milano Fashion Week

di Laura Monti

ROMA – ‘Out of the bubble: dalla sostenibilità al metaverso e all’inclusività’: è questo il titolo del webinar organizzato questa mattina da Izilab e KPI6, che hanno deciso di raccontare i risultati di una ricerca basata sull’estrazione di big data nel corso della Milano Fashion Week, per capire quanto il tema della sostenibilità sia entrato nelle conversazioni sul web.

“La moda non è neutrale”, si legge nel comunicato stampa dell’evento e in effetti, almeno all’apparenza, sono tante le case di moda che mostrano sensibilità verso le tematiche ambientali e sociali che si sono imposte negli ultimi anni, anche grazie agli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030.
Anche perché, come si legge ancora nella nota, “i nostri abiti impattano sul cambiamento climatico più dei voli intercontinentali e delle spedizioni commerciali” e la moda incide “sulla cultura, sulla parità di genere, sull’inclusione sociale, sulla body positivity”.

LA RICERCA DI IZILAB

Per indagare quanto queste tematiche abbiano impattato sugli interessi degli utenti, IziLab ha analizzato i dati estratti da tweet e articoli durante la Milano Fashion Week, attraverso una metodologia innovativa: “Abbiamo utilizzato reti neurali profonde che colgono la semantica del testo. Quindi non ci siamo limitati alla ricerca tramite parole chiave”, ci ha spiegato Elisa Mercanti, data scientist di IziLab e autrice della ricerca. “Abbiamo poi effettuato un’analisi di tipo testuale, focalizzandoci sui topic della sostenibilità e inclusività”. Stando ai dati estratti, “la discussione in merito è stata deludente- ha detto Mercanti- gran parte della discussione è stata sull’aspetto estetico o sul gossip. La mole di conversazioni sul tema dell’inclusività e della sostenibilità è stata minima e a parlarne sono state soprattutto persone del mestiere”.

A marzo 2022 si è svolta anche la prima Metaverse Fashion Week, con decine di brand che hanno portato le loro creazioni su passerelle virtuali. Anche su questo argomento le conversazioni si sono soffermate poco su tematiche sociali, mentre “il tema era piuttosto il metaverso in sé”, ha proseguito Mercanti. D’altra parte, la sperimentazione della MFW sembra essersi limitata alla riproduzione in formato digitale di sfilate classiche con modelle taglia 36: “Siamo entrati nel metaverso e quello che abbiamo visto è che a livello di corpi gli avatar erano tutti molto conformi. Il colmo è stato vedere avatar di donne in costume mezze nude accanto alla macchina, quindi il massimo dello stereotipo. Non è stata colta questa opportunità di trasmettere anche messaggi diversi”, ha concluso Elisa Mercanti.

IL LAVORO SUL LINGUAGGIO

Il lavoro sui dati portato avanti dal pool di esperti è stato soprattutto sul linguaggio ed è stata la docente di Glottologia e linguistica all’Università di Tor Vergata Francesca Dragotto a guidare le operazioni: “Quello che faccio è un lavoro di critica testuale, cioè decostruire il testo per cercare di ricavare le intenzioni di chi il testo lo produce o lo commenta. Abbiamo ‘smontato’ sia la comunicazione ufficiale dei brand sia quello dell’utenza sul web e sui social”. In base all’analisi testuale, la moda sta davvero assumendo comportamenti più sostenibili o è solo ‘washing’? Per Dragotto, “un tentativo c’è stato, ma l’analisi del testo lascia trapelare che i tempi ancora non sono maturi per una piena declinazione della moda in un’ottica di sostenibilità”.

Il problema riguarda innanzitutto che cosa si intenda per sostenibilità, un concetto che, almeno in Italia, “è ancora considerato solo come ‘risparmio su quelle tinte, sulla parte del processo più inquinante…’. Invece- ha chiarito Dragotto- la sostenibilità è anche sostenibilità sociale e inclusione. Su questo, l’impressione è ancora che si rappresenti un corpo non modello solo per far vedere che c’è la buona volontà”. Anche nelle ultime Fashion Week milanesi dunque “corpi disabili o taglie 46 vengono presentati come fossero chissà che cosa, come fossero eccezionali. La biodiversità dei corpi non è ancora stata recepita dalla moda”, ha detto ancora la docente.

Un’operazione di ‘pink/green washing’ insomma, un cambio di rotta di facciata ma dietro cui non si vedono sostanziali cambiamenti di mentalità e forse proprio per questo motivo sul web gli utenti hanno dimostrato poco interesse verso il presunto percorso delle case di moda verso una maggiore consapevolezza. E la prima Fashion Week in un metaverso virtuale? “Un’occasione persa– conferma la linguista- sia dal punto di vista tecnologico che sociale”. La tecnologia usata, infatti, non è considerata la migliore fra quelle a disposizione, tanto che “vi si può accedere solo dal computer e non dal cellulare…”. E una volta entrati? Ci si trova davanti alla scelta degli avatar: “Anche qui, tutti corpi canonici, magari in un ‘range’ più ampio”. A dire il vero, nel metaverso ci si può imbattere in corpi che si discostano dal canone, ma a quel punto vengono resi del tutto surreali visto che “hanno la faccia da animale”. La moda continua quindi a soffrire di “autoreferenzialità”: “È una forma di comunicazione che celebra sé stessa e nel momento in cui è accusata di produrre danni sociali fa un’operazione sdoganamento dicendo che non è vero”, ha concluso la docente.

Oltre a Mercanti e Dragotto, al webinar hanno preso parte Andrea Modica Bosinco, manager di IZILab e Board Member di IZI SpA, Carmine Tauriello, Head of Customer Support & Content Creator di KPI6, insieme a Gianluca Giansante, partner di Comin & Partners e Giovanni Faccioli, partner di Deloitte.

Redazione Radici

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

CAPTCHA ImageChange Image

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.