La cultura del perdono per una Pace possibile e durevole in Ucraina

La cultura del perdono per una Pace possibile e durevole in Ucraina

«Se vogliamo veramente amare, dobbiamo imparare a perdonare» (Madre Teresa di Calcutta)

Si moltiplicano ogni giorno di più e sempre con   più forza gli appelli che invocano a gran voce  il cessate il fuoco, i bombardamenti, le aggressioni, gli stupri e le violenze più atroci  in tutta l’Ucraina  Tra le tante voci autorevoli citiamo quella di mons. Paolo Pezzi, Arcivescovo di Mosca e Presidente dei vescovi russi, Un appello accorato quello di mons. Pezzi che punta direttamente ai cuori: “Come diceva domenica il Papa, è sempre triste quando l’odio, la violenza, l’incomprensione avvengono tra popoli cristiani.

Domenica, dicevo questo alla nostra comunità: occorre che noi crediamo veramente nella forza del perdono. Occorre ripartire dal perdono. Il perdono però chiede una conversione del cuore perché chiede di cambiare lo sguardo sull’altro. Certo, è un miracolo. Però, non dobbiamo dimenticare che la preghiera è veramente potente. Non è quello che si fa quando ci si trova sull’ultima spiaggia e non si ha altro da fare. La preghiera piega non solo il cuore degli uomini, ma piega anche il cuore di Dio, come Santa Teresina ci insegna. Noi a questo dobbiamo credere. Non bisogna avere paura. Chiedere con tutto il cuore e con tutta sincerità a Dio il miracolo del perdono. Il perdono non solo è possibile ma è necessario”, incalza l’arcivescovo. “Non c’è un’altra strada”.

Questo è quello che ci ha lasciato Nostro Signore. Non esiste una soluzione magica dei problemi. Dove è in gioco la libertà dell’uomo, è possibile l’iniziativa. E l’iniziativa positiva è il perdono, offrire e desiderare misericordia”. Nei giorni scorsi l’ambasciatore russo presso la Santa Sede, Aleksandr Avdeev, ha detto che si sta lavorando per preparare tra giugno e luglio il secondo incontro tra Papa Francesco e il Patriarca della Chiesa ortodossa russa Kirill. In questi processi così difficili di pace, quanto è importante che i leader delle Chiese cristiane, di Mosca e di Roma, si incontrino? “Penso – risponde Pezzi – che aiuti molto.

Basterebbe pensare allo storico incontro tra Paolo VI e il Patriarca Atenagora, alla fine del Concilio Vaticano II, a Gerusalemme, e alla dichiarazione di perdono reciproco che sottoscrissero. Abbiamo visto quello che è avvenuto dopo, negli anni a venire, e cioè un crescere di incontri e passi di dialogo importanti. Certo, non significa che tutto avvenga come un colpo di bacchetta magica, però il perdono è certamente un impulso anche alla pace, alla giustizia e a una ripresa sociale ed economica.

Il perdono è una forza che agisce a 360 gradi”. Nella passione seconda Luca, ascoltata domenica scorsa, Gesù dalla croce rivolge al Padre una preghiera per i suoi crocifissori; “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).Una preghiera che esprime per i suoi carnefici non solo perdono, ma persino comprensione, offrendo loro una scusante per il loro agire crudele: “non sanno quello che fanno”.

Gesù sa bene come è complicato l’animo dell’uomo che spesso lo porta ad agire senza sapere bene neppure il perché o anche credendo di cercare il bene mentre in realtà sta operando il male. Il perdono, il perdonare è un percorso terapeutico: che aiuta a liberarsi dalle tossine della rabbia, del rancore e della voglia di vendetta. Perdonare chi ti ha fatto un grande torto o peggio un grave danno non è mai facile. Serve tempo, e un semplice metodo.  Il perdono è sinonimo di dono, non per niente ne incorpora non solo la parola ma il senso.

È il dono è la cessione di una parte di sé stessi, un concedere senza condizioni e senza contropartite. Le pagine più belle e più autentiche, anche per l’esperienza vissuta in prima persona, su questo tema ci sono arrivate da Gandhi, che associava il perdono anche a una scelta politica ed esistenziale ispirata a un esercizio totale della non violenza. Perdonare, recuperare il torto o l’offesa subita, che può essere un tradimento o altro, e chiudere i conti in sospeso, a volte, può essere difficile. Però, c’è sempre un buon motivo per perdonare: la salute. Le ricerche delle neuroscienze vanno sempre di più nella stessa direzione: il perdono fa bene, molto bene.

Aumenta l’autostima, allena i neuroni che aiutano a sviluppare buone relazioni umane ed empatia. Perdonare è forse uno dei gesti più difficili da fare nella vita. Azzerare rancore,voglia di vendetta, risentimento e finanche  un giustificato e forse sacrosanto, dolore.  Vi possono essere molti motivi alla base di una scelta così difficile, in particolare quelli religiosi, visto che, per esempio, nella dottrina cristiana il perdono è alla base dell’amore e delle relazioni umane fino al Divino. Il primo a perdonare, come abbiamo detto,  è stato Gesù Cristo, ucciso dagli uomini e sacrificatosi per loro. Il perdono, che non significa dimenticare o azzerare la memoria, è una liberazione.

Eliminiamo rancore, rabbia, risentimento, voglia di vendetta. Tutte cose che, in fondo, avvelenano la nostra vita. Ecco perché possiamo provare almeno a fare lo sforzo del perdonare. Non esiste un metodo codificato o un manuale attestato  su come si governano le nostre emozioni, per perdonare. Semmai esiste un percorso. Una strada che ha bisogno del suo tempo, senza accelerazioni inutili, in modo che dentro di noi si sedimenti una vera volontà a chiudere una parentesi velenosa di rabbia e di rancore. Il tempo aiuta anche a guardare le cose con più lucidità, e ci consente di accettarle per come sono e non per come avremmo voluto che fossero.

Ed è sempre il tempo che offre la possibilità, senza fretta, di guardarci dentro per mettere sul tavolo anche i nostri errori. In uno straordinario saggio pubblicato sulla rivista Civiltà Cattolica, il gesuita Giovanni Cucci ci porta nel mistero del perdono e ci fa scoprire risorse ed effetti che neanche abbiamo mai immaginato. Perché perdonare? Perché non limitarsi ad evitare la vendetta?. E il perdono che cosa cambia? Parte da queste domande padre Ciucci per spiegare come il perdono sia salutare per diversi motivi. Innanzitutto si accompagna a una piacevole pacificazione  interiore, a una sorta di chiusura di conto con ciò che ci ha ferito. In secondo luogo, ci consente di vedere in modo differente la nostra storia e perfino di scoprire un volto inedito della nostra personalità: in questo senso il perdono è una fortissima espressione di libertà.

E ancora: il perdono, facendoci sentire il senso del nostro limite, è connesso per sua natura a valori positivi della vita, come la speranza, la gratitudine, l’altruismo. Tutti fattori che consentono all’uomo di allungare la vita e di guardarla con occhi ispirati all’ottimismo della nostra volontà. Per Massimo Recalcati, autore del best seller sul perdono, «Nulla è più come prima, elogio del perdono nella vita amorosa»  (edizioni Cortina)  il perdono esprime la forza del nostro amore rispetto alla debolezza dei nostri comportamenti. Ma attenzione il perdono, in quanto scelta di libertà, è un processo lento, che richiede tempo e fatica. E ha bisogno della capacità di accogliere nel profondo del nostro animo questo sentimento che appartiene in modo naturale, con il suo contrario, alla natura umana.

Dunque, per perdonare davvero non bisogna avere fretta di farlo. Una volta messi in fila i benefici e l’importanza del perdonare, non ci sarebbe altro da aggiungere tra i motivi che dovrebbero indurci a questo non facile atteggiamento nei confronti di chi ci ha fatto del male. Eppure manca ancora un tassello per completare il quadro: il fatto che, attraverso il perdono migliorano tutte le nostre relazioni umane, a catena. Saremo più forti con gli altri e più disponibili ad accoglierli con il modo giusto. Inoltre, non tutti i perdoni sono uguali. E alcuni non sono affatto perdoni. In un bel libro intitolato Ci perdiamo o ci perdoniamo (edizioni San Paolo), a proposito del perdono nella coppia, Camillo Regalia, professore di Psicologia sociale della Cattolica di Milano, distingue ben quattro tipi di perdono: completo, distaccato, ambivalente e falso.

Il perdono completo, per definizione, chiude tutti i conti in sospeso, ed è l’unico che ricrea pieno equilibrio nella coppia. Il perdono distaccato è di chi riesce a superare rabbia e rancore, ma sbatte la testa e il cuore contro il muro di un altro ostacolo: l’indifferenza nei confronti della persona che lo ha tradito. Il perdono ambivalente è di chi si trova a metà strada tra la chiusura dei conti e il risentimento che riaffiora e alterna giorni di grande disponibilità a momenti di nuova rabbia. Il falso perdono è un bluff. Lo pratica chi giura di perdonare, ma poi nei fatti non fa altro che coltivare ancora rabbia e rancore.

Cioè dolore. Per lo scrittore Jorge Luis Borges «Dimenticare è l’unica vendetta e l’unico perdono»: lo stesso Dante Alighieri quando recitava “Non ti curar di loro ma guarda e passa” più o meno diceva la stessa cosa di Borges. La differenza sta nell’accentuazione del verbo «dimenticare» che possiamo considerare come un primo gradino di accesso al perdono.  Poi tocca a noi decidere se abbiamo al forza e la volontà di andare avanti. La vendetta, invece, come il rancore, quando si spinge oltre il «dimenticare» diventa uno spreco di energie e di tempo.

Ed infine per Lawana  Blackwell: «Il perdono è quasi un atto di egoismo a causa degli immensi benefici che porta a chi perdona». Il perdono, nei tempi e nei modi necessari, senza alcuna forzatura inutile, porta benessere fisico e mentale a chi riesce a tagliare il traguardo. Certo non togliamo il diritto a nessuno di essere scettici e poco convinti ma un consiglio ci sentiamo di darlo: Vale almeno la pena di farci un pensiero.

Giacomo Marcario

Redazione Radici

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