Perché la narrazione ideologica non funziona più
Non sono soltanto i russi a dover narrare il conflitto alla propria opinione pubblica e al resto del mondo. Anche l’Occidente ha la stessa esigenza di dover giustificare la propria presa di posizione nei confronti della Russia, cercando di suscitare nei cittadini quelle che possono essere definite “emozioni utili”.
Ma se la necessità di creare una narrazione è bipartisan, gli obiettivi sono diversi. I russi usano la propaganda per compattare il fronte interno, agli occidentali serve soprattutto per creare un’adesione “universalistica” alla propria causa. Il messaggio non è rivolto soltanto agli alleati, ma a tutti i cittadini “del mondo libero”.
Anche la comunicazione occidentale, però, ha le sue falle. Le controindicazioni sono maggiori che nei regimi autoritari a causa della presenza di un’opinione pubblica generalmente più libera e di una stampa più attiva e non controllata dal governo. Inoltre, il messaggio che viene trasmesso è complesso, intriso di principi che non sempre trovano il loro posto nelle cause in gioco. Dalla democrazia ai diritti umani: la guerra è sempre guerra, anche se fatta per una “giusta causa”.
Dopo il 1989 gli Stati Uniti sono diventati l’unica superpotenza del pianeta grazie alla “vittoria a tavolino” ottenuta sull’Unione Sovietica. Da allora gli americani hanno esteso il proprio controllo tentacolare sul globo grazie ai benefici della globalizzazione ma hanno compiuto anche dei grossolani errori strategici.
Nei suoi discorsi, Biden ha messo Cina e Russia sullo stesso piano, presentandole come una minaccia esistenziale agli Stati Uniti. Così facendo ha compiuto un enorme errore strategico – voluto? – spingendo ulteriormente Mosca tra le braccia di Pechino. Xi e Putin non sono alleati naturali, anzi. Negli anni ‘70 gli americani usarono Pechino in funzione anti-sovietica. Russia e Cina non parlano la stessa lingua geopolitica, dato che sono rivali strategici in Asia e in Europa. Eppure entrambi si sono avvicinati e lo hanno fatto perché messi sullo stesso piano da Washington. La creazione di un consorzio tra i due Paesi potrebbe creare non pochi grattacapi agli americani nelle aree contese.
Nonostante siano consapevoli dei rischi, gli Stati Uniti continuano a rivolgersi nei loro confronti adoperando quella arroganza e la superiorità morale che le numerose guerre sostenute tra gli anni ‘90 e 2000 hanno fatto loro perdere, almeno a livello narrativo. Un linguaggio da “fine della storia” che ogni giorno si dimostra sempre più fuori luogo.
Anche gli errori di comunicazione del presidente hanno pesato. Biden ha ammesso di auspicare un regime change in Russia e continua a comunicare con la tipica arroganza occidentale affermando la purezza ideologica degli Stati Uniti. Non parla di interessi condivisi dalla fine della guerra ma spinge sull’acceleratore dello scontro tra bene e male.
Gli Stati Uniti hanno perso il loro pragmatismo a favore di una visione del mondo che non paga in termini strategici. La famosa espressione “esportare la democrazia” non è e non può essere un messaggio universalistico. Anzi, poiché non tutti i Paesi sono democrazie, i governi non ritengono di dover appoggiare una causa nociva per loro stessi virando verso altri lidi.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli americani avevano conquistato il mondo grazie all’unicità di un messaggio che, in fin dei conti, riguardava tutti perché faceva sì che i Paesi seguissero la strada americana perché era nel loro interesse.
Alla Casa Bianca, poi, si parlava un’altra lingua, cioè quella del compromesso. Alcuni strappi ideologici erano necessari per garantire gli interessi statunitensi. Quello compiuto da Nixon negli anni ‘70 con la Cina, era uno di questi.
Con un approccio così netto, per di più in tempi in cui l’ideologia lascia il tempo che trova, il rischio è di avere un’opinione pubblica occidentale (USA ed Europa) disgustata dagli eventi bellici e il resto del mondo disinteressato. Brasile e India importano dalla Russia fertilizzanti e carburanti, Cina e Russia continuano ad avvicinarsi sempre di più mentre Africa e Sudamerica si vendono al primo offerente.
Anche l’Arabia Saudita, tradizionalmente vicina agli americani, ha dato forfait e si è smarcata dalla causa di Biden.
La narrazione ideologica non funziona più. O meglio, non funziona senza qualcosa di tangibile.
Ovviamente ciò non significa che non si debba condannare la Russia per l’invasione, anzi. La soluzione, però, non sta nei sermoni o nelle prediche ideologiche su quanto la democrazia sia la miglior forma di governo del mondo, per quanto questi discorsi possano essere romantici e rassicuranti.