Sosteniamo la libertà di stampa
In quasi tutte le Nazioni del pianeta ogni anno il 3 maggio si celebra la Giornata Mondiale della Libertà di Stampa per riaffermare l’importanza di questa libertà come diritto fondamentale di tutti gli esseri umani, senza distinzione del colore della pelle, del credo politico e religioso, per difendere i media dagli attacchi alla loro indipendenza e per ricordare tutti i giornalisti uccisi (drammatico è il ricordo dell’aggressione violenta e sanguinaria contro ad Ilaria Alpi) nell’esercizio della loro professione ed invocare la liberazione di quelli che sono stati arrestati ingiustamente ( spesso detenuti per anni senza processo e in condizioni disumane peggiori di quelle dei criminali più violenti) nel mentre esercitavano la loro mission per rendere una informazione corretta e trasparente soprattutto nel corso di conflitti sociali e politici e di guerre mettendo spesso, molto spesso a repentaglio la propria incolumità.
La Giornata è stata istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1993 a seguito della Raccomandazione adottata dalla Conferenza Generale dell’UNESCO nel 1991, che aveva risposto all’appello dei giornalisti africani e alla loro storica Dichiarazione di Windhoek sul pluralismo e l’indipendenza dell’informazione. L’UNESCO è tuttora fortemente impegnata nella protezione della libertà di espressione e la sicurezza dei giornalisti.
Quest’anno la Conferenza Mondiale in occasione della Giornata viene organizzata in Uruguay dal 2 al 5 maggio in modalità mista, in presenza e online, ed ha come tema “Journalism under Digital Siege”, con un focus sull’impatto dell’era digitale sulla libertà di espressione, sulla sicurezza dei giornalisti, sull’accesso all’informazione e sulla privacy. Nell’ambito della Conferenza Mondiale, il 2 maggio verrà consegnato il premio “Guillermo Cano” per la libertà di stampa, assegnato all’Associazione Bielorussa dei giornalisti “BAJ”, che era stata candidata da 46 Paesi, tra cui l’Italia, con il placet dell’Unione Europea. “La libertà è partecipazione” recita il testo di una popolare canzone di Giorgio Gaber e quando si parla di libertà e di partecipazione, si parla anche di libertà di pensiero e di parola indipendente e partecipativo.
Quando si parla di capacità di espressione libera e indipendente, ciascuno di noi pensa ad un diritto universale acquisito sin dalla nascita dell’uomo e delle prime civiltà. Sul piano prettamente teorico e storico dovrebbe essere così in realtà, però, la libertà di pensiero e di parola, cardine essenziale della democrazia, ha origini molto più recenti essendosi sviluppata progressivamente e parallelamente alla crescita degli strumenti di formazione e comunicazione cartacei e non e soprattutto dei media.
La giornata è una circostanza preziosa ed importante per ricordare ai Governi di sostenere e far rispettare la libertà di parola, come si legge nell’art.19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e per celebrare e valorizzare la precitata Dichiarazione di Windhoek (in Namibia). La situazione della libertà di stampa in tutto il mondo è per molti aspetti veramente drammatica; ci troviamo, infatti, di fronte ad un giornalismo «ostacolato» se non addirittura messo all’indice e tassativamente proibito in oltre 130 Paesi, costretto negli ultimi anni a fare i conti per un verso con le restrizioni dettate dalla pandemia e per altro caratterizzato da drastiche limitazioni volute per volontà politica della libertà di informazione: è questa la drammatica situazione monitorata nel World Press Freedom Index 2021.
E intanto nel Belpaese tutto resta fermo, tranne le minacce persecutorie e le denunce ai cronisti. In un contesto che vede restringersi sempre più le ‘zone bianche’ della libertà di stampa (quelle dove il giornalismo è a ‘basso rischio’ di ammalarsi). L’Italia, purtroppo, si conferma al 41° posto tra i Paesi in cui la libertà di stampa viene tutelata; è questo il verdetto per il 2021 che l’annuale World Press Freedom Index di Reporter Senza Frontiere riserva al nostro Paese. «Il giornalismo, principale vaccino contro la disinformazione – si legge nella presentazione del Rapporto – è al momento ostacolato in più di 130 Paesi». E, neanche a dirlo, è spesso la pandemia a condizionare in negativo l’accesso alle notizie e la libertà dei media.
Per quanto riguarda il nostro Paese, «il 41° posto nella classifica mondiale sulla libertà di stampa è il risultato della situazione in cui si trovano numerosi colleghi minacciati, alcuni dei quali sotto scorta, e dello stallo in cui versano le proposte di legge di tutela del diritto di cronaca e della professione» Ed i problemi in realtà sono veramente tanti: dalla cancellazione della pena detentiva per i giornalisti, peraltro sollecitata dalla Corte Costituzionale, al contrasto alle querele bavaglio, mentre sono numerose le proposte di riforma che il Parlamento continua a rinviare.
Per non parlare dell’assenza di politiche di sostegno del lavoro regolare e di contrasto al precariato dilagante. Il risultato senza fare misteri è sotto gli occhi di tutti e il Rapporto annuale di Reporter Senza Frontiere lo monitora in maniera realistica ma impietosa: l’informazione italiana risulta pesantemente indebolita da problemi strutturali che colpiscono i cronisti e il mercato del lavoro, dove libertà e autorevolezza sono schiacciate dal peso insopportabile della precarietà, dalla prepotenza e tracotanza e dalle imposizioni delle proprietà editoriali molto spesso al servizio e addirittura condizionate dai partiti politici ed asserviti al potere economico.
Una brutta ed annosa questione che di certo non rende libera, trasparente l’informazione, così come peraltro si aspettano i cittadini ogni giorno. Il 73% dei 180 Paesi valutati da Reporter Senza Frontiere è caratterizzato da situazioni ritenute ‘gravissime’, ‘difficili’ o ‘problematiche’ per la professione del giornalista. Se questa quota di territori dipinti in nero, rosso o arancione sulla mappa del mondo rimane stabile rispetto all’anno scorso, solo 12 Paesi su 180, ovvero il 7%, contro l’8% del 2020, mostrano una ‘buona situazione’: una ‘zona bianca’ che «non è mai stata così ristretta dal 2013», secondo Rsf.
Se il Paese più virtuoso resta la Norvegia, che mantiene il primo posto per il quinto anno consecutivo davanti a Finlandia, Svezia e Danimarca, l’Europa rimane comunque la regione più sicura, il Report evidenzia come la Germania scenda in 13esima posizione per via delle «decine di giornalisti attaccati da manifestanti vicini a movimenti estremisti e cospiratori durante le manifestazioni contro le restrizioni anti-Covid», mentre la Francia deve il suo 34esimo posto alle aggressioni e agli arresti legati alle manifestazioni contro il disegno di legge “sicurezza globale”. Piuttosto buona’ la situazione dall’altra parte dell’Atlantico, con Giamaica e Costarica che si confermano nella top ten dell’Index. Restano dietro all’Italia gli Stati Uniti (44), dove «l’ultimo anno di mandato di Donald Trump è stato caratterizzato da un numero record di aggressioni (quasi 400) e arresti di giornalisti (130)».
Mentre in ‘zona rossa’ si trova il Brasile (111), «dove il presidente Bolsonaro ha fatto del dileggio ai giornalisti con minacce, arresti e limitazioni il suo tratto distintivo», spiega il Rapport. Al 150esimo posto troviamo la Russia, che si è adoperata per limitare la copertura delle manifestazioni dei sostenitori di Alexei Navalny e che proprio in questi mesi sta dimostrando che tale posizione nella classifica di Report è ben meritata per la sua tracotanza nell’invadere un Paese libero e democratico come l’Ucraina e ponendo in essere verso i giornalisti, la stampa e i media in genere un atteggiamento di ostruzionismo, controllo con limitazioni che rendono la professione del giornalisti difficile e soprattutto rischiosa. La libertà di stampa è come l’aria che respiriamo, essenziale e vitale; purtroppo però di tanto rischiamo di prenderne atto quando questa libertà viene meno o fortemente condizionata.
Giacomo Marcario