Ma infine ci sarà un giudice?
di Paolo Pagliaro
Carla Del Ponte, 75 anni, molti dei quali trascorsi a indagare su genocidi e crimini contro l’umanità, trova ancora la forza per indignarsi di fronte alle immagini delle fosse comuni che giungono dall’Ucraina. Il governo di Kiev- dice l’ex procuratrice del Tribunale penale internazionale – dovrebbe impedire che i corpi vengano seppelliti tutti insieme. Sarebbe importante dare a ciascuno un nome, capire se si tratta di civili o militari, scoprrire qual è stata la causa della morte, perché solo così ci sarà il presupposto tecnico per incriminare i colpevoli.
Del Ponte pubblica in questi giorni con Add Editore un libro che si intitola “Per la giustizia” dove si chiede, tra l’altro, un mandato di arresto internazionale per il presidente russo Vladimir Putin. Un gesto politico, una forte presa di posizione collettiva.
Il libro è un lungo e dolente appello perché il diritto internazionale riprenda il posto che gli spetta e che gli era stato assegnato con i processi di Norimberga e Tokyo che avevano giudicato le atrocità della Seconda guerra mondiale.
Ora invece il diritto internazionale si trova in una zona grigia dove la politica ha spesso il sopravvento. Nessuno Stato vuole veramente farlo rispettare, non gli Stati Uniti, non la Russia, non la Cina. Nel Tribunale per la ex Jugoslavia, a Carla Del Ponte gli Stati Uniti non permisero di indagare sulla Nato per crimini di guerra. Per i crimini in Siria, furono invece Cina e Russia a opporre il veto.
Ma Del Ponte non si scoraggia, ci invita a credere nella giustizia internazionale. E guardandosi intorno, uno si chiede da dove le venga questa ostinata fiducia.