I paesi produttori di petrolio Opec+ hanno concordato un ulteriore aumento in misura modesta della loro produzione di oro nero, mentre si intensificano le preoccupazioni per la domanda derivanti dalle restrizioni anti-Covid della Cina. Gli esponenti dei tredici paesi membri dell’Organizzazione e i loro dieci partner (Opec+), compresa la Russia, hanno convenuto “di adeguare al rialzo la produzione mensile totale di 432.000 barili al giorno per il mese di giugno”, ha annunciato l’alleanza in un comunicato dopo il meeting mensile.
Come nei mesi precedenti, il cartello si attiene alla sua strategia di aumenti di produzione molto graduali iniziati nella primavera del 2021, quando l’economia si stava riprendendo dai drastici tagli al greggio imposti dallo shock pandemico.
Nonostante le pressioni, l’invasione russa dell’Ucraina, che ha causato un’impennata dei prezzi, non ha scosso i membri dell’alleanza, che si rifiutano di prendere il ritmo per cercare di calmare il mercato. Nonostante i prezzi siano saliti di nuovo questa settimana dopo l’annuncio di una proposta di embargo europeo sul petrolio russo (entrambi i barili di riferimento, il Wti e il Brent, sono avanzati del 5%), il livello di produzione resta alto.
L’Opec+ ha finora resistito agli appelli di tutte le parti, una cautela ora rafforzata dalla situazione in Cina. Il paese, che è stato in gran parte intatto negli ultimi due anni, sta affrontando la sua peggiore ondata nelle ultime settimane, che sta minando la sua strategia zero Covid. Pechino ha chiuso decine di stazioni della metropolitana mercoledì e i residenti ora temono il lockdown, come a Shanghai, la città più grande della Cina con 25 milioni di persone, dove si registra la maggior parte dei casi.
Secondo la maggior parte degli analisti, il rallentamento in Cina è certamente un fattore che giustifica uno status quo dell’Opep+, nonostante la pressione internazionale per aumentare l’offerta di fronte all’attuale crisi energetica.
Pesano anche i timori di un rallentamento economico globale causato dalla guerra in Ucraina: alla fine di aprile, l’Fmi ha tagliato drasticamente le sue previsioni di crescita globale per il 2022 a causa delle “onde sismiche” causate dal conflitto, in particolare l’inflazione galoppante che mina il potere d’acquisto dei consumatori. In questo clima febbrile, l’Opec+ ha rivisto al ribasso le sue previsioni sulla domanda globale di petrolio.
Per quanto riguarda le nuove sanzioni economiche previste contro la Russia, tali novità non dovrebbero rimescolare le carte per il momento. Nel suo sesto pacchetto di sanzioni, la Commissione europea raccomanda “il divieto di tutto il petrolio russo, grezzo e raffinato, trasportato via mare e via oleodotto” entro la fine del 2022, così come annunciato dal suo presidente Ursula von der Leyen al Parlamento europeo. Una prospettiva che minaccia l’offerta in un mercato già teso.
Mentre l’unanimità tra i 27 è imperativa, l’Ungheria, che è fortemente dipendente dalle forniture russe, ha respinto il progetto “nella sua forma attuale”. Tuttavia, la tesi più accreditata sostiene che se l’UE riuscisse a convincere i suoi membri a ratificare il piano avrebbe un enorme impatto sulle esportazioni di petrolio russo.
Secondo altri analisti, l’atteggiamento attendista dell’Opec+ sta diventando sempre più insostenibile e contrario alla missione di regolare il mercato di questa alleanza forgiata nel 2016. Tra una mancanza di investimenti in infrastrutture petrolifere in alcuni paesi membri e problemi operativi, il cartello infatti non riesce regolarmente a rispettare le sue quote di produzione. AGI